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Perchè il monetarismo ha fallito (dal blog di Krugman, 13 aprile 2016)

 

Apr 13 10:10 am

Why Monetarism Failed

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Brad DeLong asks why monetarism — broadly defined as the view that monetary policy can and should be used to stabilize economies — has more or less disappeared from the scene, both intellectually and politically. As it happens, I wrote about essentially the same question back in 2010, inspired by the more or less hysterical pushback against quantitative easing. I thought then and think now that this was fated to happen, that Milton Friedman’s project was always doomed to failure.

To repeat the key points of my argument:

On the intellectual side, the “neoclassical synthesis” — of which Friedman-style monetarism was essentially part, despite his occasional efforts to make it seem completely different — was inherently an awkward construct. Economists were urged to build everything from “micro foundations” — which was taken to mean perfect rationality and clearing markets, not realistic descriptions of individual behavior. But to get a macro picture that looked anything like the real world, and which justified monetary activism, you needed to assume that for some reason wages and prices were slow to adjust.

Inevitably the drive for purism collided with the realistic accommodations, the ad hockery, needed to be useful; sure enough, half the macroeconomics profession basically said, “what are you going to believe, our models or your lying eyes?” and abandoned any good sense Friedman had originally brought to the subject.

On the political side, there was a similar collision. Right-wingers insisted — Friedman taught them to insist — that government intervention was always bad, always made things worse. Monetarism added the clause, “except for monetary expansion to fight recessions.” Sooner or later gold bugs and Austrians, with their pure message, were going to write that escape clause out of the acceptable doctrine. So we have the most likely non-Trump GOP nominee calling for a gold standard, and the chairman of Ways and Means demanding that the Fed abandon its concerns about unemployment and focus only on controlling the never-materializing threat of inflation.

What about the reformicons, who pushed for neo-monetarism? We can sum up their fate in two words: Marco Rubio. There is no home for the kind of return to realism they were seeking.

The point is that the monetarist idea no longer serves any useful purpose, intellectually or politically. Hicksian macro — IS-LM or something like it — remains an extremely useful tool of both analysis and policy formulation; that tool is not helped by trying to state it in terms of monetary velocity and all that. And if you want macro policy that isn’t dictated by Ayn Rand logic, you have to turn to a Democrat; on the other side, there’s nobody rational to talk to. Sad!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Perchè il monetarismo ha fallito [1]

Brad DeLong si chiede perché il monetarismo – generalmente definito come il punto di vista secondo il quale la politica monetaria può e dovrebbe essere utilizzata per stabilizzare le economie – è più o meno scomparso dalla scena, sia in termini intellettuali che politici. Si dà il caso che nel passato 2010 scrissi sostanzialmente sullo stesso tema, stimolato dalle reazioni più o meno isteriche alla ‘facilitazione quantitativa’. Pensavo allora e penso oggi che era destino che accadesse, che il progetto di Milton Friedman è sempre stato condannato all’insuccesso.

Per ripetere i punti cardine della mia tesi:

dal lato intellettuale, la “sintesi neoclassica” – della quale il monetarismo nella versione di Friedman era una parte essenziale, nonostante i suoi sforzi occasionali di farlo sembrare completamente diverso – era intrinsecamente una costruzione problematica. Gli economisti venivano sollecitati a costruire ogni cosa a partire dai “fondamenti microeconomici” – termine prescelto per indicare la perfetta razionalità e la funzione equilibratrice dei mercati, anziché descrizioni realistiche dei comportamenti individuali. Per ottenere un quadro macroeconomico che assomigliasse a qualcosa del mondo reale, e che giustificasse l’attivismo monetario, si doveva assumere che per qualche ragione i salari ed i prezzi fossero lenti a correggersi.

Inevitabilmente l’impulso per il purismo entrava in conflitto con gli accomodamenti realistici, la pratica delle soluzioni ‘ad hoc’, necessari ai fini dell’utilità; di fatto, metà della disciplina macroeconomica fondamentalmente sosteneva “a cosa vuoi credere, ai nostri modelli o ai tuoi occhi fallaci?”, e Friedman, abbandonato ogni buon senso, in modo originale portò a compimento l’operazione.

Sul lato della politica, c’era un conflitto simile. Le persone di destra ribadivano ad ogni piè sospinto – Friedman aveva loro insegnato a insistere – che l’intervento del Governo era sempre negativo, rendeva sempre le cose peggiori. Il monetarismo aggiunse la clausola: “ad eccezione della espansione monetaria, per combattere le recessioni”. Presto o tardi i patiti della parità aurea ed i simpatizzanti per la scuola austriaca [2], col loro messaggio di purezza, erano destinati a cancellare quella clausola risolutiva dalla dottrina ammissibile.

Che dire dei conservatori riformisti, che avevano spinto per il meo-monetarismo? Posiamo riassumere la loro sorte in due parole: Marco Rubio. Non c’è posto per quel genere di ritorno al realismo che stavano cercando.

Il punto è che l’idea monetarista non serve più ad alcun proposito utile, intellettuale o politico. La macroeconomia hicksiana – il modello IS-LM o qualcosa di simile – resta uno strumento estremamente utile sia per la analisi che per la formulazione politica; quello strumento non è aiutato dal tentativo di illustrarlo nei termini della velocità monetaria o cose simili. E se volete una politica macroeconomica che non sia ispirata dalla logica di Ayn Rand [3], dovete rivolgervi ad un democratico; dall’altra parte non c’è nessuno con cui parlare razionalmente. Sconfortante!

 

[1] Il fotomontaggio nel testo inglese mostra il repubblicano Paul Ryan – attualmente speaker della Camera dei Rappresentanti – e la scrittrice Ayn Rand, icona della destra americana. Tra i due c’è più di mezzo secolo di distanza, ma Ryan ha varie volte ammesso di ispirarsi ai romanzi della Rand per la politica economica.

[2] Vedi “austrians” sulle note per la traduzione.

[3] Ovvero, dalla ideologia più radicale della destra americana.

 

 

 

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