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Elicotteri in soccorso di economie incagliate, di J. Bradford DeLong (da Project Syndicate, 29 aprile 2016)

 

APR 29, 2016

Rescue Helicopters for Stranded Economies

J. Bradford DeLong

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BERKELEY – For countries where nominal interest rates are at or near zero, fiscal stimulus should be a no-brainer. As long as the interest rate at which a government borrows is less than the sum of inflation, labor-force growth, and labor-productivity growth, the amortization cost of extra liabilities will be negative. Meanwhile, the upside of extra spending could be significant. The Keynesian fiscal multiplier for large industrial economies or for coordinated expansions is believed to be roughly two – meaning that an extra dollar of fiscal expansion would boost real GDP by about two dollars.

Some point to the risk that, once the economy recovers and interest rates rise, governments will fail to make the appropriate adjustments to fiscal policy. But this argument is specious. Governments that wish to pursue bad policies will do so no matter what decisions are made today. And to the extent that this risk exists at all, it is offset by the very tangible economic benefits of stimulus: improved labor-force skills, higher business investment, faster business-model development, and new, useful infrastructure.

Aversion to fiscal expansion reflects raw ideology, not pragmatic considerations. Few competent economists have failed to conclude that the United States, Germany, and the United Kingdom have large enough fiscal multipliers, strong enough spillovers of infrastructure, investment, and other demand-boosting programs, and sufficient financial space to make substantially more expansionary policies optimal.

The question is not whether, but how much, fiscal stimulus is appropriate. Answering that should be a simple, technocratic cost-benefit calculation. And yet, in most countries that would benefit from fiscal stimulus, nothing is being done.

Faced with this, my former teacher and long-time colleague Barry Eichengreen has become positively alarmed: “The world economy is visibly sinking, and the policymakers who are supposed to be its stewards are tying themselves in knots.”

Germany’s experience with hyperinflation in the 1920s and its subsequent embrace of “ordoliberalism,” in which the government avoids interfering in the economy, has “rendered Germans allergic to macroeconomics,” Eichengreen writes. Similarly, in the US, deep-rooted suspicion of federal government power – especially in the South, where it was used to abolish slavery and enforce civil rights – has resulted in hostility to countercyclical macroeconomic policy.

“Ideological and political prejudices deeply rooted in history will have to be overcome to end the current stagnation,” Eichengreen concludes. “If an extended period of depressed growth following a crisis isn’t the right moment to challenge them, then when is?”

Sadly, this debate is no longer an intellectual discussion – if it ever was. As a result, a flanking move might be required. It is time for central banks to assume responsibility and implement “helicopter money,” putting cash directly into the hands of people who will spend it.

Proponents of austerity in Germany, the US, and the UK are suspicious of central banks for the same ideological reasons they are averse to deficit-spending legislatures. But their objections to central banks are far weaker. That is because, as David Glasner, an economist at the Federal Trade Commission, has pointed out, attempts to erect an automatic monetary system – whether based on the gold standard, Milton Friedman’s k-percent rule, or the Stanford University economist John Taylor’s “rules-based monetary policy” – have all crashed and burned spectacularly.

History has refuted the University of Chicago economist Henry Simons’s call for “rules rather than authorities” in monetary policy. The design task in monetary policy is not to construct rules but, instead, to establish authorities with sensible objectives, values, and technocratic competence.

The actions of central banks have always been “fiscal policy” in a very real sense, simply because their interventions alter the present value of future government principal and interest payments. But when it comes to promoting economic recovery, central banks can certainly do more. They have immense regulatory powers to require that the banks under their supervision hold capital, lend to classes of borrowers that have historically faced discrimination, and serve the communities in which they are embedded. And they have clever lawyers.

Helicopter money could take many forms. Its exact shape will depend on the legal structure of a given central bank, and on the extent to which its administrators are willing to take actions that go beyond their traditional authority (with the implicit or explicit promise that the rest of the government will turn a blind eye).

Success in rebooting the economy will depend on ensuring that the extra cash goes into the hands of those who are constrained in their spending by low incomes and a lack of collateral assets. And, as with governments engaged in fiscal stimulus, the key to a positive outcome will be to rule out even a smidgeon of fear that repayment obligations will become onerous in any way.

 

Elicotteri in soccorso di economie incagliate,

di J. Bradford DeLong

BERKELEY – Nei paesi nei quali i tassi nominali di interesse sono quasi a zero, il sostegno della spesa pubblica dovrebbe essere un’ovvietà. Finché il tasso di interesse al quale un Governo si indebita è inferiore alla somma dell’inflazione, della crescita della forza lavoro e della crescita della produttività del lavoro, il costo di ammortamento di passività aggiuntive sarà negativo. Contemporaneamente, il vantaggio della spesa aggiuntiva potrebbe essere significativo. Il moltiplicatore di finanza pubblica keynesiano per le ampie economie industriali o nel caso di espansioni coordinate è ritenuto grosso modo pari a due – il che significa che un dollaro aggiuntivo di espansione della spesa pubblica dovrebbe sostenere il PIL reale per circa due dollari.

Alcuni indicano il rischio che, una volta che l’economia si sia ripresa ed i tassi risaliti, i Governi mancherebbero di apportare le necessarie correzioni alla politica finanziaria. Ma è un argomento pretestuoso. I Governi che vogliono perseguire cattive politiche lo faranno a prescindere dalle decisioni che sono prese oggi. E, nella misura in cui questo rischio esiste, esso è bilanciato dai vantaggi del tutto tangibili dello stimolo: miglioramento delle competenze della forza lavoro, più elevati investimenti delle imprese, sviluppo più veloce del modello di impresa e nuove, utili, infrastrutture.

L’avversione alla espansione della spesa pubblica è il riflesso di una grezza ideologia, non di considerazioni pragmatiche.  Pochi economisti competenti non sono arrivati alla conclusione che gli Stati Uniti, la Germania ed il Regno Unito abbiano moltiplicatori di finanza pubblica sufficientemente ampi, ricadute sufficientemente ampie dai programmi di sostegno della domanda in infrastrutture, in investimenti ed altro, e spazio sufficiente per fare con successo politiche sostanzialmente più espansive.

La domanda non è se, ma quanto sostegno pubblico sia appropriato. Rispondere ad essa dovrebbe consistere in un semplice, tecnicistico calcolo costi-benefici. E tuttavia, in molti paesi che trarrebbero beneficio da un sostegno della spesa pubblica, non si sta facendo niente.

Di fronte a ciò, il mio passato insegnante e per lungo tempo collega Barry Eichengreen è diventato decisamente allarmato: “L’economia del mondo sta visibilmente andando a fondo,  e le autorità che dovrebbero essere coloro che la amministrano stanno diventando sempre più confuse”.

Eichengreen scrive che l’esperienza della Germania, con la sua iperinflazione degli anni ’20 ed il suo successivo abbraccio dell’ “ordoliberalismo” [1] nel quale il Governo evita di intervenire nell’economia, ha “reso la Germania allergica alla macroeconomia”.  Negli Stati Uniti, in modo simile, il sospetto con radici profonde sul potere del Governo Federale – specialmente nel Sud, dove venne usato per abolire la schiavitù e rafforzare i diritti civili – si è risolto in ostilità verso una politica macroeconomica controciclica.

“I pregiudizi ideologici e politici profondamente radicati nella storia dovranno essere superati per porre termine alla attuale stagnazione”, conclude Eichengreen. “Se un periodo prolungato di crescita depressa successivo ad una crisi non è il momento giusto per sfidarli, allora quando è quel momento?”

É triste, ma questo dibattito non è più una discussione intellettuale, se mai lo è stato. Di conseguenza, dovrebbe essere utile una mossa di aggiramento. É il momento che le banche centrali si assumano la responsabilità e mettano in atto una politica dei “soldi dall’elicottero”, mettendo direttamente nelle tasche delle persone i soldi che esse spenderanno.

Coloro che propongono l’austerità in Germania, negli Stati Uniti e nel Regno Unito sono sospettosi verso le banche centrali per le stesse ragioni ideologiche per le quali sono contrarie a legislazioni sulla spesa in deficit. Ma nei confronti delle banche centrali le obiezioni sono più deboli. Ciò dipende dal fatto che, come ha messo in evidenza David Glasner, economista presso la Commissione Federale sul Commercio, i tentativi di erigere un sistema monetario automatico – che sia basato sul gold standard, sulla ‘regola del k-percento’  di Milton Friedman [2], oppure su una “politica monetaria fondata su regole definite” secondo la proposta dell’economista John Taylor dell’Università di Stanford – sono tutte fallite miseramente.

La storia ha confutato il pronunciamento dell’economista Henry Simons dell’Università di Chicago, a favore di “regole anziché di autorità” nella politica monetaria. Il compito progettuale nella politica monetaria non è costruire regole, è piuttosto stabilire autorità che abbiano obbiettivi comprensibili, valori e competenza tecnica.

Le azioni delle banche centrali sono sempre state “politiche di finanza pubblica” in un senso molto reale, semplicemente perché i loro interventi modificano il valore attuale dei futuri pagamenti da parte dei governi del capitale e degli interessi. Ma quando si giunge al tema della promozione di una ripresa economica, le banche centrali possono sicuramente fare di più. Esse hanno immensi poteri di regolamentazione  nel richiedere che le banche sotto la loro supervisione detengano capitale, lo diano in prestito a categorie di creditori che si sono storicamente misurate con discriminazioni, e siano al servizio delle comunità nelle quali sono immerse. Ed hanno legali intelligenti.

Il “denaro dall’elicottero” potrebbe assumere molte forme. La sua forma precisa dipende dalla struttura legale di una data banca centrale, e dalla misura in cui i suoi amministratori sono disponibili ad assumere iniziative che vadano oltre la loro tradizionale autorità (con la promessa implicita o esplicita che gli altri organi di governo chiudano un occhio).

Il successo nel riavviare l’economia dipenderà dall’assicurare che il contante aggiuntivo vada nelle mani di coloro che sono limitati nella loro spesa da bassi redditi e da una mancanza di beni in garanzia. E, al momento in cui i Governi si impegnassero in azioni di sostegno della spesa pubblica, la chiave per un risultato positivo sarà escludere il minimo sospetto che gli obblighi di restituzione diverranno in qualche modo onerosi.

 

[1] Per una migliore informazione sulla scuola “ordoliberista” di Friburgo, si possono leggere le pagine di Lorenzo Mesini sulla rivista on-line ‘Pandora’. Sostanzialmente, si tratta, da un punto di vista economico, di una impostazione simile a quella dei contemporanei colleghi austriaci Von Mises e Von Hayek. Una ‘fobia’ per ogni intervento statale, spinta sino a porre sostanzialmente sullo stesso piano il keynesismo rooseveltiano, la politica economica nazista e i piani quinquennali sovietici. Ma è interessante notare il modo in cui questo approdo interessò, in Germania, economisti che erano rimasti nell’ombra durante il nazismo, non aderendo ad esso ma neanche distinguendosi visibilmente o emigrando.  Il che contribuì a far loro assumere un profilo pubblico rilevante nel dopoguerra, in particolare nella collaborazione con il Ministro dell’Economia di Adenauer, Ludwig Erhard, che era stato un componente del gruppo. Diversamente dai loro colleghi austriaci, che divennero icone del pensiero della destra economica negli Stati Uniti, gli ‘ordoliberisti’ (credo che il termine ‘ordo’ derivasse dal nome di una loro rivista fondata nel 1936) divennero un pernio della direzione economica della Germania post-bellica. Dunque, una fobia per ogni tipo di interventismo che in qualche modo salvaguardava un sentimento di appartenenza ad una nazione, nella quale non si era fatto granché per combattere la follia nazista e per comprendere la natura assai particolare di quel fallimento. Probabilmente fu questa specificità, assieme ai risultati economici della rinascita tedesca, che contribuì a fare di tale scuola una quasi indiscussa nuova ortodossia tedesca.

[2] La “regola del k-per cento” che venne proposta da Milton Friedman era un teoria di crescita dell’offerta monetaria, secondo la quale il modo migliore di controllare nel lungo periodo l’inflazione era che le banche centrali avessero l’autorità di far crescere automaticamente ogni anno l’offerta di denaro di una variabile “k”, una percentuale fissa – ovvero ad un tasso pari alla crescita annuale del PIL reale – a prescindere dalla condizione ciclica dell’economia.

 

 

 

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