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L’economia diabetica, di Paul Krugman (New York Times 2 maggio 2016)

 

The Diabetic Economy

Paul Krugman MAY 2, 2016

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LISBON — Things are terrible here in Portugal, but not quite as terrible as they were a couple of years ago. The same thing can be said about the European economy as a whole. That is, I guess, the good news.

The bad news is that eight years after what was supposed to be a temporary financial crisis, economic weakness just goes on and on, with no end in sight. And that’s something that should worry everyone, in Europe and beyond.

First, the positives: the euro area — the group of 19 countries that have adopted a common currency — posted decent growth in the first quarter. In fact, for once it was better than growth in the U.S.

Europe’s economy is, finally, slightly bigger than it was before the financial crisis, and unemployment has come down from more than 12 percent in 2013 to a bit over 10 percent.

But it’s telling that this is what passes for good news. We complain, rightly, about the slow pace of U.S. recovery — but our economy is already 10 percent bigger than it was pre-crisis, while our unemployment rate is back under 5 percent.

And there is, as I said, no end in sight to Europe’s chronic underperformance. Look at what financial markets are saying.

When long-term interest rates on safe assets are very low, that’s an indication that investors don’t see a strong recovery on the horizon. Well, German five-year bonds currently yield minus 0.3 percent; in fact, yields are negative out to eight years.

How should we think about these incredibly low interest rates? Recently Narayana Kocherlakota, the former president of the Minneapolis Fed, offered a brilliant analogy. Responding to critics of easy money who denounce low rates as “artificial” — because economies shouldn’t need to keep rates this low — he suggested that we compare low interest rates to the insulin injections that diabetics must take.

Such injections aren’t part of a normal lifestyle, and may have bad side effects, but they’re necessary to manage the symptoms of a chronic disease.

In the case of Europe, the chronic disease is persistent weakness in spending, which gives the continent’s economy a persistent deflationary bias even when, like now, it’s having a relatively good few months. The insulin of cheap money helps fight that weakness, even if it doesn’t provide a cure.

But while monetary injections have helped to contain Europe’s woes — one shudders to think of how badly things might have gone without the leadership of Mario Draghi, president of the European Central Bank — they haven’t produced anything that looks like a cure. In particular, despite the bank’s efforts, underlying inflation in Europe seems stuck far below the official target of 2 percent.

Meanwhile, unemployment in much of Europe, very much including my current location, is still at levels that are inflicting huge human, social and political damage.

It’s notable that in Spain, which these days is being touted as a success story, youth unemployment is still an incredible 45 percent.

And there’s nothing in reserve to deal with a fresh shock. Suppose that Greece blows up again, or the British public votes to leave the European Union, or China’s economy goes off a cliff, or whatever. What could or would European policy makers do to offset the blow? Nobody seems to have any idea.

The thing is, it’s not hard to see what Europe should be doing to help cure its chronic disease. The case for more public spending, especially in Germany — but also in France, which is in much better fiscal shape than its own leaders seem to realize — is overwhelming.

There are large unmet needs for infrastructure and investors are essentially begging governments to take their money. Did I mention that the real 10-year interest rate, the rate on bonds that are protected from inflation, is minus 0.8 percent?

And there’s good reason to believe that spending more in Europe’s core would have big benefits for peripheral nations, too.

But doing the right thing seems to be politically out of the question. Far from showing any willingness to change course, German politicians are sniping constantly at the central bank, the only major European institution that seems to have a clue about what is going on.

Put it this way: Visiting Europe can make an American feel good about his own country.

Yes, one of our two major parties is poised to nominate a dangerous blowhard for president — but it has been obvious for a while that the G.O.P. was in the process of going mad, and the odds are that he won’t actually end up in the White House.

Meanwhile, the overall economic and political situation in America gives ample grounds for hope, which is in very short supply over here.

I’d love to see Europe emerge from its funk. The world needs more vibrant democracies! But at the moment it’s hard to see any positive signs.

 

L’economia diabetica, di Paul Krugman

New York Times 2 maggio 2016

LISBONA – Le cose vanno malissimo qua in Portogallo, ma non così male come andavano una paio d’anni fa. Si può dire la stessa cosa dell’economia europea nel suo complesso. E questa, suppongo, sia la buona notizia.

La cattiva notizia è che otto anni dopo quella che si era pensato fosse una crisi finanziaria temporanea, la debolezza dell’economia sta semplicemente andando avanti, senza che se ne veda alcuna fine. E questo è qualcosa che dovrebbe preoccupare tutti, in Europa ed oltre.

Partiamo dai dati positivi: l’area euro – il gruppo dei 19 paesi che hanno adottato una valuta comune – ha fatto registrare una crescita decente nel primo trimestre. Di fatto, per una volta essa è stata migliore della crescita degli Stati Uniti.

L’economia europea è, finalmente, leggermente più grande di quello che era prima della crisi finanziaria, e la disoccupazione è scesa da più del 12 per cento nel 2013 a un po’ più del 10 per cento.

Ma la dice lunga il fatto che questa passi per una buona notizia. Ci lamentiamo, giustamente, del ritmo lento della ripresa negli Stati Uniti – ma la nostra economia è già del 10 per cento più grande di quanto fosse prima della crisi, con una tasso di disoccupazione che è tornato sotto il 5 per cento.

E, come ho detto, non c’è alcuna fine in vista per il cronico cattivo andamento dell’Europa. Si osservi quello che dicono i mercati finanziari.

Quando i tassi di interesse a lungo termine su asset sicuri sono molto bassi, quella è una indicazione che gli investitori non vedono alcuna forte ripresa all’orizzonte. Ebbene, i bond a cinque anni della Germania hanno adesso un rendimento dello 0,3 per cento negativo; in sostanza, i rendimenti sono chiaramente negativi per otto anni.

Come dovremmo ragionare su questi tassi di interesse incredibilmente bassi? Di recente Narayana Kocherlakota, il passato Presidente della Fed di Minneapolis, ha offerto una brillante analogia. Rispondendo ai critici della moneta facile che denunciano i bassi tassi come “artificiali” – giacché le economie non dovrebbero aver bisogno di tenere i tassi così bassi – ha suggerito di paragonare i bassi tassi di interesse alle iniezioni di insulina che i diabetici devono assumere.

Tali iniezioni non fanno parte di uno stile di vita normale, e possono avere effetti collaterali negativi, ma sono necessarie per gestire i sintomi di una malattia cronica.

Nel caso dell’Europa, la malattia cronica consiste in una persistente debolezza della spesa, che fa propendere l’economia del continente verso una persistente deflazione anche quando, come adesso, sta conoscendo pochi mesi relativamente positivi. L’insulina del denaro a basso costo aiuta a combattere quella debolezza, anche se non fornisce una cura.

Ma mentre le iniezioni monetarie hanno contribuito a contenere i guai dell’Europa – viene un tremito a pensare a come la situazione potrebbe essere stata negativa senza la guida di Mario Draghi, il Presidente della Banca Centrale Europea – esse non hanno prodotto niente di simile ad una cura. In particolare, nonostante gli sforzi della banca, in Europa la sottostante inflazione sembra essersi bloccata ben al di sotto dell’obbiettivo ufficiale del 2 per cento.

Nel frattempo, la disoccupazione in gran parte dell’Europa, incluso certamente il paese dove mi trovo adesso, è ancora a livelli che stanno provocando un vasto danno umano, sociale e politico.

É rilevante che in Spagna, che di questi tempi viene pubblicizzata come una storia di successo, la disoccupazione giovanile sia ancora ad un incredibile 45 per cento.

E non c’è alcuna soluzione di riserva per fare i conti con un rinnovato trauma. Si supponga che la Grecia abbia un nuovo crollo, che l’elettorato inglese voti per lasciare l’Unione Europea, oppure che l’economia cinese vada giù dal precipizio, o qualcosa del genere. Cosa potrebbero fare gli operatori pubblici europei per contrastare quel colpo? Nessuna sembra averne la più pallida idea.

Il punto è che non è difficile vedere cosa l’Europa dovrebbe fare in questo momento per curare la sua malattia cronica. É evidentissimo l’argomento a favore di una maggiore spesa pubblica,  in particolare in Germania – ma anche in Francia, che è in una condizione delle finanza pubbliche molto migliore di quello che i suoi dirigenti sembrano comprendere.

Ci sono ampi bisogni insoddisfatti nelle infrastrutture e gli investitori stanno in sostanza implorando i Governi ad utilizzare i loro soldi. É il caso di ricordare che il tasso di interesse reale decennale, il tasso sui bond che sono protetti per l’inflazione, è sotto lo 0,8 per cento?

E ci sono buone ragioni per credere che una spesa maggiore nelle nazioni centrali dell’Europa avrebbe grandi benefici anche per le nazioni periferiche.

Ma fare la cosa giusta sembra politicamente fuori questione. Lungi dal mostrare alcuna disponibilità a cambiare indirizzo, i politici tedeschi continuano a prendere di mira la Banca Centrale, l’unica importante istituzione europea che sembra avere un’idea di cosa sta succedendo.

Diciamo così: visitare l’Europa è un modo per avere sensazioni positive sul proprio paese, da parte degli americani.

É vero, uno dei due importanti partiti è in procinto di candidare alla Presidenza un pericoloso gradasso – ma era evidente da un bel po’ che il Partito Repubblicano stava uscendo di testa, ed è probabile che egli effettivamente non finisca alla Casa Bianca.

Nel frattempo, la situazione economica e politica in America offre sufficienti ragioni di speranza, merce che fuori di qua davvero scarseggia.

Mi piacerebbe vedere l’Europa venir fuori dal suo pantano. Il mondo ha bisogno di democrazie più vive! Ma in questo momento è difficile scorgere qualche segnale positivo.

 

 

 

 

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