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Serve una politica, di Paul Krugman (New York Times 16 maggio 2016)

 

It Takes A Policy

Paul Krugman MAY 16, 2016

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U.S. politicians love to pose as defenders of family values. Unfortunately, this pose is often, perhaps usually, one of remarkable hypocrisy.

And no, I’m not talking about the contrast between public posturing and personal behavior, although this contrast can be extreme. Which is more amazing: the fact that a long-serving Republican speaker of the House sexually abused teenage boys, or how little attention this revelation has received?

Instead, I’m talking about policy. Judged by what we actually do — or, more accurately, don’t do — to help small children and their parents, America is unique among advanced countries in its utter indifference to the lives of its youngest citizens.

For example, almost all advanced countries provide paid leave from work for new parents. We don’t. Our public expenditure on child care and early education, as a share of income, is near the bottom in international rankings (although if it makes you feel better, we do slightly edge out Estonia.)

In other words, if you judge us by what we do, not what we say, we place very little value on the lives of our children, unless they happen to come from affluent families. Did I mention that parents in the top fifth of U.S. households spend seven times as much on their children as parents in the bottom fifth?

But can our neglect of children be ended?

In January, both Democratic candidates declared their support for a program that would provide 12 weeks of paid leave to care for newborns and other family members. And last week, while the news media was focused on Donald Trump’s imaginary friend, I mean imaginary spokesman, Hillary Clinton announced an ambitious plan to improve both the affordability and quality of U.S. child care.

This was an important announcement, even if it was drowned out by the ugliness and nonsense of a campaign that is even uglier and more nonsensical than usual. For child-care reform is the kind of medium-size, incremental, potentially politically doable — but nonetheless extremely important — initiative that could well be the centerpiece of a Clinton administration. So what’s the plan?

O.K., we don’t have all the details yet, but the outline seems pretty clear. On the affordability front, Mrs. Clinton would use subsidies and tax credits to limit family spending on child care — which can be more than a third of income — to a maximum of 10 percent. Meanwhile, there would be aid to states and communities that raise child-care workers’ pay, and a variety of other measures to help young children and their parents. All of this would still leave America less generous than many other countries, but it would be a big step toward international norms.

Is this doable? Yes. Is it desirable? Very much so.

When we talk about doing more for children, it’s important to realize that it costs money, but not all that much money. Why? Because there aren’t that many young children at any given time, and it doesn’t take a lot of spending to make a huge difference to their lives. Our threadbare system of public support for child care and early education costs 0.4 percent of the G.D.P.; France’s famously generous system costs 1.2 percent of the G.D.P. So we could move a long way up the scale with a fairly modest investment.

And it would indeed be an investment — every bit as much of an investment as spending money to repair and improve our transportation infrastructure. After all, today’s children are tomorrow’s workers and taxpayers. So it’s an incredible waste, not just for families but for the nation as a whole, that so many children’s futures are stunted because their parents don’t have the resources to take care of them as well as they should. And affordable child care would also have the immediate benefit of making it easier for parents to work productively.

Are there any reasons not to spend a bit more on children? The usual suspects will, of course, go on about the evils of big government, the sacred nature of individual choice, the wonders of free markets, and so on. But the market for child care, like the market for health care, works very badly in practice.

And when someone starts talking about choice, bear in mind that we’re talking about children, who are not in a position to choose whether they’re born into affluent households with plenty of resources or less wealthy families desperately trying to juggle work and child care.

So can we stop talking, just for a moment, about who won the news cycle or came up with the most effective insult, and talk about policy substance here?

The state of child care in America is cruel and shameful — and even more shameful because we could make things much better without radical change or huge spending. And one candidate has a reasonable, feasible plan to do something about this shame, while the other couldn’t care less.

 

Serve una politica, di Paul Krugman

New York Times 16 maggio 2016

I politici degli Stati Uniti amano atteggiarsi a difensori dei valori della famiglia. Sfortunatamente, si tratta di un atteggiamento che spesso, se non di solito, è una straordinaria ipocrisia.

E non sto parlando del contrasto tra atteggiamenti pubblici e comportamento personale, per quanto questo contrasto possa essere grande. Cosa è più impressionante: il fatto che un Presidente repubblicano della Camera dei Rappresentanti abbia abusato sessualmente di ragazzi, o la poca attenzione che questa rivelazione ha ricevuto?

Sto invece parlando di politica. A giudicare da quello che effettivamente facciamo – o, più precisamente, non facciamo – per aiutare i bambini piccoli ed i loro genitori, l’America è unico tra i paesi avanzati quanto a completa indifferenza verso le esistenze dei suoi cittadini più giovani.

Ad esempio, quasi tutti i paesi avanzati forniscono congedi retribuiti dal lavoro per i nuovi genitori. Noi non lo facciamo. La nostra spesa pubblica sulla cura dell’infanzia e gli asili nido [1], come percentuale del reddito, è vicina agli ultimi posti nelle classifiche internazionali (anche se vi farà star meglio sapere che superiamo l’Estonia di stretta misura).

In altre parole, se ci giudichiamo per quello che facciamo, anziché per quello che diciamo, noi affidiamo un valore modestissimo alle vite dei nostri figli, a meno che non accada che provengano da famiglie benestanti. Devo ricordare che i genitori del 20 per cento delle famiglie statunitensi più ricche spendono sui loro figli sette volte quello che spendono i genitori del 20 per cento delle famiglie più povere?

Ma la nostra negligenza verso i bambini può essere interrotta?

Nel gennaio, entrambi i candidati democratici hanno dichiarato il loro sostegno ad un programma che fornirebbe dodici settimane di congedo retribuito per occuparsi dei neonati e degli altri membri della famiglia. E l’ultima settimana, mentre i media dell’informazione erano concentrati sull’amica immaginaria di Donald Trump, voglio dire la portavoce immaginaria [2], Hillary Clinton annunciava un programma ambizioso per migliorare sia la sostenibilità che la qualità  della assistenza all’infanzia negli Stati Uniti.

Si è trattato di un annuncio importante, anche se è stato seppellito dalla sciatteria e dalla insensatezza di una campagna elettorale che è persino più sciatta e insensata del solito. Perché la riforma della assistenza infantile è il genere di iniziativa di medie dimensioni, destinata a crescere, da un punto di vista politico potenzialmente fattibile – ma nondimeno estremamente importante – che potrebbe ben caratterizzare una Amministrazione della Clinton. Dunque, in cosa consiste il programma?

É vero, non abbiamo ancora i dettagli, ma il profilo sembra abbastanza chiaro. Dal punto di vista della sostenibilità, la Clinton userebbe i sussidi ed i crediti di imposta per limitare la spesa delle famiglie  nella assistenza all’infanzia – che può essere più di un terzo del reddito – sino ad un massimo del 10 per cento [3]. Nel frattempo ci sarebbero aiuti agli Stati ed alle comunità locali che aumentano i compensi ai lavoratori per la assistenza ai bambini, ed una molteplicità di altre misure per aiutare i figli piccoli ed i loro genitori. Con tutto questo l’America resterebbe ancora  meno generosa di molti altri paesi, ma sarebbe un gran progresso verso le norme internazionali.

É fattibile? Certo. É auspicabile?   Tantissimo.

Quando parliamo di fare di più per i bambini,  è importante comprendere che è costoso, ma non costa poi così tanto. Perché? Perché i più piccoli non sono così tanti in ogni dato periodo, e non ci vuole molta spesa per fare una grande differenza nelle loro vite. Il nostro logoro sistema di sostegno pubblico per l’assistenza all’infanzia e per gli asili nido costa lo 0,4 per cento del PIL; il notoriamente generoso sistema della Francia costa l’1,2 per cento del PIL. Dunque, con un investimento abbastanza modesto, dovremmo salire un bel po’ in graduatoria.

E in effetti sarebbe un investimento – esattamente un investimento come spendere soldi per riparare e migliorare le nostre infrastrutture del trasporto pubblico. Dopo tutto, i bambini di oggi sono i lavoratori ed i contribuenti di domani. Dunque, è uno spreco incredibile, non solo per le famiglie ma per la nazione nel suo complesso, che tante esistenze future dei bambini siano impedite perché i loro genitori non hanno i mezzi per prendersi cura di loro come dovrebbero. Una assistenza sostenibile all’infanzia avrebbe anche il vantaggio immediato di rendere più facile per i genitori lavorare produttivamente.

C’è qualche ragione per non spendere un po’ di più per i bambini? Ovviamente, i soliti noti parleranno a vanvera dei mali del ‘grande governo’, della natura sacra della scelta individuale, delle meraviglie dei liberi mercati, e così via. Ma il mercato per l’assistenza all’infanzia, come il mercato per l’assistenza sanitaria, nella pratica, funziona assai male.

E quando qualcuno comincia a parlare di scelte, si tenga a mente che stiamo parlando di bambini, che non sono nella condizione di scegliere se nascere in famiglie benestanti  con una abbondanza di risorse o di famiglie meno ricche, che cercano disperatamente di destreggiarsi tra il lavoro e la cura dei figli.

Dunque, possiamo smettere di parlare, per un momento, di chi ha vinto l’ultimo round  delle notizie o si è inventato l’insulto più efficace, e parlare a questo punto di sostanza politica?

Lo stato dell’assistenza ai bambini in America è spietato e disonorevole – ed è persino più vergognoso perché potremmo rendere le cose assai migliori senza radicali cambiamenti e grande spesa. Ed un candidato ha un programma ragionevole e fattibile, mentre l’altro non se ne potrebbe curare di meno.

 

 

[1] Tradurre questi due termini – “child care” e “early education” – da quanto comprendo, non è così ovvio come sembrerebbe.

Wikipedia chiarisce che i “child care centers” si occupano dei bambini di 3, 4 anni, e dunque corrispondono, almeno per l’età,  alle nostre “scuole materne”.  Non mi è chiaro perché non siano ricompresi in questa fascia i bambini dai 5 ai 6 anni (si consideri che con i 6 anni, anche negli USA, ha inizio la “elementary school”). Probabilmente nella maggioranza dei casi sono, come da noi, strutture di tipo parascolastico – vengono anche chiamati “pre-school centers” – ma  possono anche essere forme di assistenza domiciliare o strutture che affiancano le scuole. In realtà, da una lettura delle connessioni non mi risulta chiarissimo se la comparazione con le scuole materne  sia sempre così precisa. In alcuni casi, ad esempio negli interventi domiciliari o sussidiari a strutture scolastiche, parrebbero iniziative mirate ad un sostegno pedagogico, quando non ad una presa in carico di specifiche problematiche sociali e psicologiche.

Per “early education” si intende, invece, qualcosa di simile ai nostri “asili nido”, una attività che normalmente va dalla cura dei neonati ai bambini di 2 anni. In questo caso tradurre con “istruzione primaria” sarebbe impreciso, se non altro per la stranezza del definire l’intervento in questi primi anni di vita come “education”, mentre negli anni successivi esso è definito più genericamente come “cura”. Forse semplificando, mantengo la somiglianza con i nostri “asili nido”.

[2] Dovrebbe trattarsi di Katrina Pierson, ex attivista del Tea Party e collaboratrice di Ted Cruz, di recente assurta al ruolo di portavoce di Trump. Ignoro se abbia un significato la maldicente ironia su “amica/portavoce”.

[3] La “child care” non è gratuita, o integralmente gratuita. Si consideri, sempre secondo Wikipedia, che il costo medio della “child care” va da 4.863 dollari all’anno nel Mississippi, ai 16.430 dollari nel Massachusetts; dunque, per una famiglia di reddito medio basso, certamente superiore ad un terzo del reddito complessivo.

 

 

 

 

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