Paul Krugman JUNE 6, 2016
Friday’s employment report was a major disappointment: only 38,000 jobs added, a big step down from the more than 200,000 a month average since January 2013. Special factors, notably the Verizon strike, explain part of the bad news, and in any case job growth is a noisy series, so you shouldn’t make too much of one month’s data. Still, all the evidence points to slowing growth. It’s not a recession, at least not yet, but it is definitely a pause in the economy’s progress.
Should this pause worry you? Yes. Because if it does turn into a recession, or even if it goes on for a long time, it’s very hard to envision an effective policy response.
First things first: Why is the economy slowing? The usual suspects wasted no time blaming President Obama. But you need to remember that these same people have been warning of imminent disaster ever since Mr. Obama was elected, and have been wrong every step of the way. They predicted soaring interest rates and soaring inflation; neither happened. They declared that the Affordable Care Act would be a huge job-killer; the years after the act went into full effect were marked by the best private-sector job creation since the 1990s.
And despite this disappointing report, we should remember that private job growth under Mr. Obama has vastly exceeded George W. Bush’s record, even if you leave out the economic collapse of 2008.
So what is causing the economy to slow? My guess is that the biggest factor is the recent sharp rise in the dollar, which has made U.S. goods less competitive on world markets. The dollar’s rise, in turn, largely reflected misguided talk by the Federal Reserve about the need to raise interest rates.
In a way, however, it hardly matters why the economy is losing steam. After all, stuff always happens. America has been experiencing major economic downturns at irregular intervals at least since the 1870s, for a variety of reasons. Whatever the cause of a downturn, the economy can recover quickly if policy makers can and do take useful action. For example, both the 1974-5 recession and the 1981-2 recession were followed by rapid, “V-shaped” recoveries, because the Fed drastically loosened monetary policy and slashed interest rates.
But that won’t — in fact, can’t — happen this time. Short-term interest rates, which the Fed more or less controls, are still very low despite the small rate hike last December. We now know that it’s possible for rates to go slightly below zero, but there still isn’t much room for a rate cut.
That said, there are other policies that could easily reverse an economic downturn. And if Hillary Clinton wins the election, the U.S. government will understand perfectly well what the options are. (The likely response of a Trump administration doesn’t bear thinking about. Maybe a series of insult Twitter posts aimed at China and Mexico?) The problem is politics.
For the simplest, most effective answer to a downturn would be fiscal stimulus — preferably government spending on much-needed infrastructure, but maybe also temporary tax cuts for lower- and middle-income households, who would spend the money. Infrastructure spending makes especially good sense given the federal government’s incredibly low borrowing costs: The interest rate on inflation-protected bonds is barely above zero.
But unless the coming election delivers Democratic control of the House, which is unlikely, Republicans would almost surely block anything along those lines. Partly, this would reflect ideology: although right-wing economic predictions have been utterly wrong, there’s little indication that anyone in that camp has learned from the experience. It would also reflect an unwillingness to do anything that might help a Democrat in the White House. Remember, every Republican in the House voted against a stimulus even during the darkest days of the slump, when Mr. Obama was at the peak of his popularity.
If not fiscal stimulus, then what? For much of the past six years the Fed, unable to cut interest rates further, has tried to boost the economy through large-scale purchases of things like long-term government debt and mortgage-backed securities. But it’s unclear how much difference that made — and meanwhile, this policy faced constant attacks and vilification from the right, with claims that it was debasing the dollar and/or illegitimately bailing out a fiscally irresponsible president. We can guess that the Fed will be very reluctant to resume the program, and face accusations that it’s in the pocket of “corrupt Hillary.”
So the evidence of a U.S. slowdown should worry you. I don’t see anything like the 2008 crisis on the horizon (he says with fingers crossed behind his back), but even a smaller negative shock could turn into very bad news, given our political gridlock.
Una interruzione che angoscia, di Paul Krugman
New York Times 6 giugno 2016
Il rapporto sull’occupazione di venerdì è stato una delusione importante: soltanto 38.000 posti di lavoro in più, una grande regressione dalla media di più di 200.000 posti di lavoro mensili a partire dal gennaio del 2013. Una parte della cattiva notizia si spiega con aspetti particolari, in particolare lo sciopero di Verizon [1], e in ogni caso la crescita dei posti di lavoro è costituita da una sequenza inaffidabile, cosicché non si dovrebbe dare molta importanza ad un dato mensile. Eppure, tutte le prove indicano un rallentamento della crescita. Non è una recessione, almeno non ancora, ma è certamente una interruzione nel progresso dell’economia.
Questa pausa dovrebbe preoccuparci? Sì. Perché se essa si trasforma davvero in una recessione, o persino se prosegue per un lungo periodo, è molto difficile immaginare una risposta politica efficace.
Partiamo dagli inizi: perché l’economia sta rallentando? I soliti noti non hanno perso tempo nel dare la colpa al Presidente Obama. Ma dovete tenere a mente che si tratta delle stesse persone che hanno messo in guardia per un disastro imminente dal momento in cui Obama venne eletto, ed hanno avuto torto ogni volta. Avevano previsto che i tassi di interesse e l’inflazione sarebbero schizzati alle stelle; non è accaduta né l’una cosa né l’altra. Avevano dichiarato che la Legge sulla Assistenza Sostenibile avrebbe distrutto una gran quantità di posti di lavoro; gli anni successivi alla piena entrata in funzione della legge sono stati caratterizzati dalla migliore crescita di posti di lavoro dagli anni ’90.
E, nonostante questa rilevazione deludente, non possiamo dimenticare che la crescita dei posti di lavoro privati sotto Obama è stata grandemente superiore a quella con George W. Bush, persino se non si considera il collasso economico del 2008.
Cosa sta, dunque, provocando il rallentamento dell’economia? La mia impressione è che il fattore più importante sia la recente brusca crescita del dollaro, che ha reso i beni degli Stati Uniti meno competitivi sui mercati mondiali. A sua volta, il rialzo del dollaro ha ampiamente rispecchiato i discorsi fuorvianti della Federal Reserve sul bisogno di elevare i tassi di interesse.
In un certo senso, tuttavia, questo non spiega granché perché l’economia stia perdendo energia. Dopo tutto, sono cose che accadono in continuazione. Per una varietà di ragioni, l’America ha conosciuto importanti regressioni economiche a intervalli regolari almeno dagli anni ’70 del diciannovesimo secolo. Qualsiasi sia la causa di un declino, l’economia può riprendersi rapidamente se le autorità possono assumere una iniziativa utile, e lo fanno sul serio. Ad esempio, sia la recessione del 1974-1975 che quella del 1981-1982 furono seguite da rapide riprese, a forma di “V” [2], giacché la Fed allentò in modo drastico la politica monetaria ed abbassò i tassi di interesse.
Ma non è questo che accadrà questa volta, perché in sostanza non sarà possibile. I tassi di interesse a breve termine, che la Fed più o meno controlla, nonostante il piccolo rialzo del tasso delle scorso dicembre, sono ancora molto bassi. Oggi sappiamo che è possibile che i tassi vadano leggermente sotto lo zero, ma non ci sono ancora grandi margini per un taglio del tasso.
Ciò detto, ci sono altre politiche che potrebbero facilmente invertire un calo dell’economia. E se Hillary Clinton vince le elezioni, il Governo degli Stati Uniti comprenderà perfettamente quali opzioni ha a disposizione (non è il caso di darsi la pena di ragionare sulla probabile risposta di una Amministrazione Trump. Forse una serie di insulti indirizzati su Twitter alla Cina e al Messico?). Il problema è la politica.
Perché la più semplice e la più efficace risposta ad una regressione sarebbero misure di sostegno della finanza pubblica – preferibilmente spesa pubblica su un sistema infrastrutturale che ne ha grande bisogno, ma anche temporanei sgravi fiscali per le famiglie con i redditi più bassi e medi, che spenderebbero quei soldi. La spesa in infrastrutture è particolarmente sensata dati i costi incredibilmente bassi dell’indebitamento del Governo Federale: il tasso di interesse sulle obbligazioni protette dall’inflazione è appena sopra lo zero.
Ma, se le prossime elezioni non assegneranno ai democratici il controllo della Camera dei Rappresentanti, la qualcosa è improbabile, i repubblicani quasi certamente bloccheranno ogni iniziativa del genere. In parte, questo dipenderebbe dall’ideologia: sebbene le previsioni economiche della destra siano state completamente sbagliate, non c’è il minimo segno che nessuno, su quel versante, abbia imparato dall’esperienza. Ma dipenderebbe anche dall’indisponibilità a far niente che possa aiutare un democratico alla Casa Bianca. Si ricordi che tutti i repubblicani alla Camera votarono contro le misure di sostegno persino nei giorni più bui della recessione, quando Obama era al picco della sua popolarità.
Se non misure di sostegno della finanza pubblica, allora cosa? Per buona parte dei sei anni passati la Fed, impossibilitata a tagliare ulteriormente i tassi di interesse, ha cercato di incoraggiare l’economia attraverso acquisti su larga scala di obbligazioni a lungo termine sul debito pubblico e di titoli garantiti da mutui ipotecari. Ma non è chiaro quanta differenza tutto ciò abbia fatto – e nel frattempo, questa politica ha dovuto fare i conti con gli attacchi costanti e la denigrazione da parte della destra, che ha sostenuto che essa ha svilito il valore del dollaro e/o ha rappresentato una forma di salvataggio verso un Presidente irresponsabile in materia di finanza pubblica. Possiamo immaginare che la Fed sarà molto riluttante a riprendere quel programma, ed affrontare le accuse di far parte della cricca della “corrotta Hillary”.
Dunque, le prove di un declino degli Stati Uniti dovrebbero preoccuparci. Non vedo all’orizzonte niente di simile alla crisi del 2008 (una cosa che si dice con le dita incrociate dietro la schiena), ma persino un trauma più modesto potrebbe tradursi in una pessima notizia, considerato il punto morto della nostra politica.
[1] Verizon Communications è un fornitore di banda larga e di telecomunicazioni statunitense. Di recente la società è stata interessata da una prolungata battaglia sindacale, che sembra conclusa.
[2] Ovvero, in modo tale che dal punto più basso del declino sia ripartita una ripresa rapida, che in breve tempo abbia riportato ai livelli precedenti alla crisi.
By mm
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