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Chi ama l’America? Di Paul Krugman (New York Times 29 luglio 2016)

 

Who Loves America?

Paul Krugman JULY 29, 2016

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It has been quite a week in politics.

On one side, the Democratic National Convention was very much a celebration of America. On the other side, the Republican nominee for president, pressed on the obvious support he is getting from Vladimir Putin, once again praised Mr. Putin’s leadership, suggested that he is O.K. with Russian aggression in Crimea, and urged the Russians to engage in espionage on his behalf. And no, it wasn’t a joke.

I know that some Republicans feel as if they’ve fallen through the looking glass. After all, usually they’re the ones chanting “U.S.A.! U.S.A.! U.S.A.!” And haven’t they spent years suggesting that Barack and Michelle Obama hate America, and may even support the nation’s enemies? How did Democrats end up looking like the patriots here?

But the parties aren’t really experiencing a role reversal. President Obama’s speech on Wednesday was wonderful and inspiring, but when he declared that “what we heard in Cleveland last week wasn’t particularly Republican,” he was fibbing a bit. It was actually very Republican in substance; the only difference was that the substance was less disguised than usual. For the “fanning of resentment” that Mr. Obama decried didn’t begin with Donald Trump, and most of the flag-waving never did have much to do with true patriotism.

Think about it: What does it mean to love America? Surely it means loving the country we actually have. I don’t know about you, but whenever I return from a trip abroad, my heart swells to see the sheer variety of my fellow citizens, so different in their appearance, their cultural heritage, their personal lives, yet all of them — all of us — Americans.

That love of country doesn’t have to be, and shouldn’t be, uncritical. But the faults you find, the critiques you offer, should be about the ways in which we don’t yet live up to our own ideals. If what bothers you about America is, instead, the fact that it doesn’t look exactly the way it did in the past (or the way you imagine it looked in the past), then you don’t love your country — you care only about your tribe.

And all too many influential figures on the right are tribalists, not patriots.

We got a graphic demonstration of that reality after Michelle Obama’s speech, when she spoke of the wonder of watching her daughters play on the lawn of “a house that was built by slaves.” It was an uplifting and, yes, patriotic image, a celebration of a nation that is always seeking to become better, to transcend its flaws.

But all many people on the right — especially the media figures who set the Republican agenda — heard was a knock on white people. “They can’t stop talking about slavery,” complained Rush Limbaugh. The slaves had it good, insisted Bill O’Reilly: “They were well fed and had decent lodgings.” Both men were, in effect, saying that whites are their tribe and must never be criticized.

This same tribal urge surely underlies a lot of the right’s rhetoric about national security. Why are Republicans so fixated on the notion that the president must use the phrase “Islamic terrorism,” when actual experts on terrorism agree that this would actually hurt national security, by helping to alienate peaceful Muslims?

The answer, I’d argue, is that the alienation isn’t a side effect they’re disregarding; it’s actually the point — it’s all about drawing a line between us (white Christians) and them (everyone else), and national security has nothing to do with it.

Which brings us back to the Vlad-Donald bromance. Mr. Trump’s willingness to cast aside our nation’s hard-earned reputation as a reliable ally is remarkable. So is the odd specificity of his support for Mr. Putin’s priorities, which is in stark contrast with the vagueness of everything else he has said about policy. And he has offered only evasive non-answers to questions about his business ties to Putin-linked oligarchs.

But what strikes me most is the silence of so many leading Republicans in the face of behavior they would have denounced as treason coming from a Democrat — not to mention the active support for Mr. Trump’s stance among many in the base.

What this tells you, I think, is that all the flag-waving and hawkish posturing had nothing to do with patriotism. It was, instead, about using alleged Democratic weakness on national security as a club with which to beat down domestic opponents, and serve the interests of the tribe.

Now comes Mr. Trump, doing the bidding of a foreign power and inviting it to intervene in our politics — and that’s O.K., because it also serves the tribe.

So if it seems strange to you that these days Democrats are sounding patriotic while Republicans aren’t, you just weren’t paying attention. The people who now seem to love America always did; the people who suddenly no longer sound like patriots never were.

 

Chi ama l’America? Di Paul Krugman

New York Times 29 luglio 2016

È stata una bella settimana per la politica.

Da una parte, la Convenzione Nazionale Democratica è stata soprattutto una celebrazione dell’America. Dall’altra, il candidato repubblicano per la Presidenza, spinto dall’evidente sostegno che sta ricevendo da Vladimir Putin, ancora una volta ha elogiato la leadership di Putin, ha ribadito di essere d’accordo con l’aggressione russa in Crimea ed ha incoraggiato i russi a impegnarsi nello spionaggio a suo vantaggio. E non stava proprio scherzando.

So che alcuni repubblicani si sentono come se fossero saltati nello specchio magico [1]. Dopo tutto, di solito sono loro che scandiscono lo slogan: “USA !, USA !, USA !”. E non hanno speso anni a sostenere che Barack e Michelle Obama odiavano l’America, e potevano persino sostenere i nemici della Nazione? Come è andata a finire, che i Democratici adesso fanno la parte dei patrioti?

Ma i partiti, in realtà, non stanno sperimentando una inversione dei ruoli. Il discorso del Presidente Obama mercoledì è stato magnifico e stimolante, ma quando ha dichiarato che “quello che abbiamo sentito a Cleveland la scorsa settimana non era particolarmente repubblicano”, stava un po’ raccontando una balla. Per la verità, nella sostanza, era molto repubblicano; la sola differenza era che la sostanza era meno mascherata del solito. Perché il “fomentare il risentimento” che Obama ha denunciato non è cominciato con Donald Trump, e gran parte dello sventolio di bandiere non ha mai avuto molto a che fare con il vero patriottismo.

Si rifletta a questo: cosa significa amare l’America? Sicuramente significa amare il paese che nei fatti abbiamo. Non so voi, ma ogni volta che torno da un viaggio all’estero, il mio cuore gonfia nel vedere la pura e semplice varietà dei miei concittadini, così diversi nel loro aspetto, nella loro eredità culturale, nelle loro personali esistenze, eppure tutti loro – tutti noi – americani.

Quell’amore per il paese non deve essere, e non dovrebbe essere, acritico. Ma le colpe che individuiamo, le critiche che manifestiamo, dovrebbero riguardare i modi nei quali non siamo ancora all’altezza dei nostri stessi ideali. Se quello che vi infastidisce dell’America è invece il fatto che essa non somiglia esattamente a quello che era nel passato (o a come vi immaginate apparisse nel passato), allora non amate il vostro paese – vi sta soltanto a cuore la vostra tribù.

Ed anche troppe personalità influenti della destra sono tribali, non patriottiche.

Abbiamo avuto una rappresentazione vivida di quella realtà dopo il discorso di Michelle Obama, quando ha parlato della meraviglia di guardare le sue figlie giocare sul prato di “una casa che venne costruita dagli schiavi”. Era una immagine edificante e, per davvero, patriottica, la celebrazione di una nazione che ha sempre cercato di migliorarsi, di trascendere i suoi difetti.

Ma anche troppe persone a destra – specialmente i personaggi dei media che definiscono l’agenda repubblicana – lo hanno inteso come un colpo rivolto ai bianchi. “Non possono smetterla di parlare della schiavitù”, si è lamentato Rush Limbaugh. Gli schiavi stavano bene, ha ribadito Bill O’Reilly: “Erano ben alimentati e avevano alloggi decenti”. In sostanza, entrambi stavano dicendo che i bianchi sono la loro tribù e non devono mai essere criticati.

Sullo stesso impulso tribale certamente si basa molta della retorica della destra sulla sicurezza nazionale. Perché i repubblicani sono così ossessionati dall’idea che il Presidente dovrebbe usare la frase “terrorismo islamico”, quando i veri esperti di terrorismo concordano che questo in effetti danneggerebbe la sicurezza nazionale, contribuendo a rendere ostili i musulmani pacifici?

Suppongo che la risposta sia che tale alienazione non sia un effetto collaterale che disprezzano: è il punto vero – tutto ruota attorno al tracciare una linea divisoria tra noi (i bianchi cristiani) e loro (tutti gli altri), e la sicurezza nazionale non c’entra niente.

Il che ci riporta all’idillio tra Vlad e Donald. È rilevante la disponibilità di Trump a gettare alle ortiche la faticata reputazione della nostra nazione come alleato affidabile. Altrettanto lo è lo strano particolare del suo sostegno alle priorità del signor Putin, che è il estremo contrasto con la vaghezza di ogni altra cosa cha ha detto sui temi della politica. Peraltro, ha offerto soltanto non-risposte evasive alle domande sui suoi legami affaristici con gli oligarchi legati a Putin.

Ma quello che mi lascia maggiormente sbigottito è il silenzio di tanti dirigenti repubblicani a fronte di un comportamento che avrebbero denunciato come un tradimento se fosse venuto da un democratico – per non dire del sostegno alle posizioni di Trump da parte di buona parte della base.

Quello che tutto questo ci dice è che tutto quello sventolare di bandiere e quell’atteggiarsi a falchi non ha niente a che fare con il patriottismo. Si è trattato, invece, dell’utilizzo della pretesa debolezza dei democratici sulla sicurezza nazionale come un bastone col quale picchiare sugli avversari interni, e servire gli interessi della tribù.

Adesso è di scena Trump, che fa un’offerta ad una potenza straniera e la invita ad intervenire nella nostra politica – e anche questo va bene, in quanto è al servizio della tribù.

Se, dunque, vi sembra strano che i democratici appaiano patriottici, diversamente dai repubblicani, forse vi siete persi qualche passaggio.  La gente che oggi sembra amare l’America l’ha sempre fatto; coloro che all’improvviso non appaiono più patrioti, non lo sono mai stati.

 

 

 

 

 

[1] Aggiungo ‘magico’ perché suppongo che si tratti di un riferimento al titolo del libro di Lewis Carrol: “Attraverso lo specchio (e quello che Alice ci trovò)”.

 

 

 

 

 

 

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