Paul Krugman AUG. 15, 2016
It’s fantasy football time in political punditry, as commentators try to dismiss Hillary Clinton’s dominance in the polls — yes, Clinton Derangement Syndrome is alive and well — by insisting that she would be losing badly if only the G.O.P. had nominated someone else. We will, of course, never know. But one thing we do know is that none of Donald Trump’s actual rivals for the nomination bore any resemblance to their imaginary candidate, a sensible, moderate conservative with good ideas.
Let’s not forget, for example, what Marco Rubio was doing in the memorized sentence he famously couldn’t stop repeating: namely, insinuating that President Obama is deliberately undermining America. It wasn’t all that different from Donald Trump’s claim that Mr. Obama founded ISIS. And let’s also not forget that Jeb Bush, the ultimate establishment candidate, began his campaign with the ludicrous assertion that his policies would double the American economy’s growth rate.
Which brings me to my main subject: Mrs. Clinton’s economic vision, which she summarized last week. It’s very much a center-left vision: incremental but fairly large increases in high-income tax rates, further tightening of financial regulation, further strengthening of the social safety net.
It’s also a vision notable for its lack of outlandish assumptions. Unlike just about everyone on the Republican side, she isn’t justifying her proposals with claims that they would cause a radical quickening of the U.S. economy. As the nonpartisan Tax Policy Center put it, she’s “a politician who would pay for what she promises.”
So here’s my question: Is the modesty of the Clinton economic agenda too much of a good thing? Should accelerating U.S. economic growth be a bigger priority?
For while the U.S. has done reasonably well at recovering from the 2007-2009 financial crisis, longer-term economic growth is looking very disappointing. Some of this is just demography, as baby boomers retire and growth in the working-age population slows down. But there has also been a somewhat mysterious decline in labor force participation among prime-age adults and a sharp drop in productivity growth.
The result, according to the Congressional Budget Office, is that the growth rate of potential G.D.P. — what the economy could produce at full employment — has declined from around 3.5 percent per year in the late 1990s to around 1.5 percent now. And some people I respect believe that trying to get that rate back up should be a big goal of policy.
But as I was trying to think this through, I realized that I had Reinhold Niebuhr’s famous Serenity Prayer running through my head: “Grant me the serenity to accept the things I cannot change, courage to change the things I can, and wisdom to know the difference.” I know, it’s somewhat sacrilegious applied to economic policy, but still.
After all, what do we actually know how to do when it comes to economic policy? We do, in fact, know how to provide essential health care to everyone; most advanced countries do it. We know how to provide basic security in retirement. We know quite a lot about how to raise the incomes of low-paid workers.
I’d also argue that we know how to fight financial crises and recessions, although political gridlock and deficit obsession has gotten in the way of using that knowledge.
On the other hand, what do we know about accelerating long-run growth? According to the budget office, potential growth was pretty stable from 1970 to 2000, with nothing either Ronald Reagan or Bill Clinton did making much obvious difference. The subsequent slide began under George W. Bush and continued under Mr. Obama. This history suggests no easy way to change the trend.
Now, I’m not saying that we shouldn’t try. I’d argue, in particular, for substantially more infrastructure spending than Mrs. Clinton is currently proposing, and more borrowing to pay for it. This might significantly boost growth. But it would be unwise to count on it.
Meanwhile, I don’t think enough people appreciate the courage involved in focusing on things we actually know how to do, as opposed to happy talk about wondrous growth.
When conservatives promise fantastic growth if we give them another chance at Bushonomics, one main reason is that they don’t want to admit how much they would have to cut popular programs to pay for their tax cuts. When centrists urge us to look away from questions of distribution and fairness and focus on growth instead, all too often they’re basically running away from the real issues that divide us politically.
So it’s actually quite brave to say: “Here are the things I want to do, and here is how I’ll pay for them. Sorry, some of you will have to pay higher taxes.” Wouldn’t it be great if that kind of policy honesty became the norm?
La saggezza, il coraggio e l’economia, di Paul Krugman
New York Times 15 agosto 2016
È tempo di fantasisti tra i commentatori politici, come quando essi cercano di svalutare la netta prevalenza di Hillary Clinton nei sondaggi – è proprio così, la sindrome dello squilibrio mentale collegata con i Clinton è viva e vegeta – insistendo che ella starebbe perdendo malamente solo se il Partito Repubblicano avesse candidato qualcun altro. Ovviamente, non lo sapremo mai. Ma una cosa che sappiamo con certezza è che nessuno degli effettivi rivali di Donald Trump alla nomination somigliava lontanamente al loro candidato immaginario: un conservatore ragionevole, moderato dotato di idee apprezzabili.
Non si dimentichi, ad esempio, quello che Marco Rubio fece con la sua affermazione imparata a memoria che non riusciva a smettere di ripetere: insinuava precisamente che il Presidente Obama stesse deliberatamente mettendo a repentaglio l’America. Non era una cosa così diversa dalla pretesa di Donald Trump, secondo la quale Obama avrebbe fondato l’ISIS. E neanche si dimentichi che Jeb Bush, il principale candidato del gruppo dirigente, cominciò la sua campagna elettorale con la comica affermazione secondo la quale le sue politiche avrebbero raddoppiato il tasso di crescita dell’economia americana.
Il che mi riporta al mio tema principale: le concezioni economiche della signora Clinton, che ella ha sintetizzato la settimana scorsa. Si tratta di una visione chiaramente di centro sinistra: incrementi graduali ma abbastanza ampi delle aliquote fiscali sui redditi alti, ulteriori restrizioni ai regolamenti finanziari, ulteriori potenziamenti della rete della sicurezza sociale.
Si tratta anche di una visione notevole per la assenza di presupposti stravaganti. Diversamente da quasi tutti nello schieramento repubblicano, ella non sta giustificando le sue proposte con pretese che si baserebbero su una radicale velocizzazione dell’economia degli Stati Uniti. Come si esprime l’indipendente Tax Policy Center, “è una donna politica che pagherebbe quello che promette”.
Ecco dunque il mio quesito: c’è troppa modestia nell’agenda economica della Clinton, per risultare una cosa positiva? L’accelerazione della crescita economica degli Stati Uniti dovrebbe essere una priorità maggiore?
Perché se gli Stati Uniti sono andati ragionevolmente bene nel riprendersi dalla crisi finanziaria del 2007-2008, la crescita economica a più lungo termine appare abbastanza deludente. In parte questo dipende semplicemente dalla demografia, dato che la generazione del baby boom va in pensione e la crescita della popolazione in età lavorativa rallenta. Ma c’è anche stato un declino in qualche modo non spiegato nella partecipazione alla forza lavoro degli adulti nella prima età lavorativa ed una caduta nella crescita della produttività.
Il risultato, secondo l’Ufficio del bilancio del Congresso, è che il tasso di crescita del PIL potenziale – quello che l’economia potrebbe produrre in condizioni di piena occupazione – è sceso da circa il 3,5 per cento degli ultimi anni ’90 a quasi l’1,5 per cento. E alcune persone delle quali mi fido credono che cercare di tornare al tasso precedente sarebbe un grande obbiettivo per la politica.
Ma mentre stavo cercando di rifletterci, mi sono accorto che mi girava per la testa la famosa Preghiera della Serenità: “Dammi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso e la saggezza di capire la differenza”. Lo so, applicato all’economia politica è qualcosa di sacrilego, eppure ha un senso.
Dopo tutto, cosa sappiamo veramente fare quando si passa alla politica economica? Di fatto, sappiamo come fornire l’assistenza sanitaria essenziale a tutti; i paesi più avanzati lo fanno. Sappiamo come fornire una sicurezza di base a chi va in pensione. Sappiamo abbastanza come accrescere i redditi dei lavoratori meno pagati.
Direi che sappiamo anche come combattere le crisi finanziarie e le recessioni, per quanto lo stallo della politica e l’ossessione del deficit si è messo di mezzo nell’utilizzo di quella conoscenza.
D’altra parte, cosa sappiamo sulla accelerazione della crescita a lungo termine? Secondo l’Ufficio del bilancio, la crescita potenziale fu abbastanza stabile tra il 1970 e il 2000, senza che né Ronald Reagan, né Bill Clinton facessero una così evidente differenza. Il successivo scivolamento cominciò con George W. Bush e continuò con Obama. Questa storia indica che non c’è un modo semplice per modificare le tendenze.
Ora, non sto dicendo che non dovremmo provarci. In particolare, sono a favore della maggiore spesa in infrastrutture che la Clinton sta attualmente proponendo, e di un maggiore indebitamento per finanziarla. Questo potrebbe spingere la crescita in modo significativo. Ma non sarebbe saggio farci affidamento.
Nel frattempo, non penso che un numero sufficiente di persone apprezzi il coraggio implicito nel concentrarci sulle cose che effettivamente sappiamo fare, in alternativa ai discorsi spensierati sulla crescita fantastica.
Quando i conservatori promettono una crescita fantastica se diamo un’altra possibilità alla politica economica alla Bush, una ragione fondamentale è che non vogliono ammettere quanto dovrebbero tagliare i programmi popolari per finanziare i loro sgravi fiscali. Quando i centristi ci spingono a rivolgerci altrove rispetto ai temi della distribuzione e della giustizia ed a concentrarci piuttosto sulla crescita, anche troppo spesso essi fondamentalmente sfuggono dai temi reali che politicamente ci dividono.
Dunque, effettivamente c’è del coraggio nel dire: “Queste sono le cose che voglio fare e questo è il modo in cui voglio finanziarle. Mi dispiace, alcuni di voi dovranno pagare tasse più alte”. Non sarebbe una gran cosa se quel genere di onestà politica diventasse la norma?
By mm
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