Paul Krugman AUG. 22, 2016
A disaster area is no place for political theater. The governor of flood-ravaged Louisiana asked President Obama to postpone a personal visit while relief efforts were still underway. (Meanwhile, by all accounts, the substantive federal response has been infinitely superior to the Bush administration’s response to Katrina.) He made the same request to Donald Trump, declaring, reasonably, that while aid would be welcome, a visit for the sake of a photo op would not.
Sure enough, the G.O.P. candidate flew in, shook some hands, signed some autographs, and was filmed taking boxes of Play-Doh out of a truck. If he wrote a check, neither his campaign nor anyone else has mentioned it. Heckuva job, Donnie!
But boorish, self-centered behavior is the least of it. By far the bigger issue is that even as Mr. Trump made a ham-handed (and cheapskate) effort to exploit Louisiana’s latest disaster for political gain, he continued to stake out a policy position that will make such disasters increasingly frequent.
Let’s back up for a minute and talk about the real meaning of the Louisiana floods.
In case you haven’t been keeping track, lately we’ve been setting global temperature records every month. Remember when climate deniers used to point to a temporary cooling after an unusually warm year in 1998 as “proof” that global warming had stopped? It was always a foolish, dishonest argument, but in any case we’ve now blown right through all past records.
And one consequence of a warmer planet is more evaporation, more moisture in the air, and hence more disastrous floods. As always, you can’t say that climate change caused any particular disaster. What you can say is that warming makes extreme weather events more likely, so that, for example, what used to be 500-year floods are now happening on an almost routine basis.
So a proliferation of disasters like the one in Louisiana is exactly what climate scientists have been warning us about.
What can be done? The bad news is that drastic action to reduce emissions of greenhouse gases is long overdue. The good news is that the technological and economic basis for such action has never looked better. In particular, renewable energy — wind and solar — has become much cheaper in recent years, and progress in energy storage looks increasingly likely to resolve the problem of intermittency (The sun doesn’t always shine, the wind doesn’t always blow.)
Or to put it a different way, we face a clear and present danger, but we have the means and the knowledge to deal with that danger. The problem is politics — which brings us back to Mr. Trump and his party.
It probably won’t surprise you to hear that when it comes to climate change, as with so many issues, Mr. Trump has gone deep down the rabbit hole, asserting not just that global warming is a hoax, but that it’s a hoax concocted by the Chinese to make America less competitive.
The thing is, he’s not alone in going down that rabbit hole. On other issues Republicans may try to claim that their presidential nominee doesn’t speak for the party that nominated him. We’re already hearing claims that Mr. Trump isn’t a true conservative, indeed that he’s really a liberal, or anyway that liberals are somehow responsible for his rise. (My favorite theory here, one that has quite a few advocates, is that I personally caused Trumpism by being nasty to Mitt Romney.)
But when it comes to denial of climate change and the deployment of bizarre conspiracy theories to explain away the evidence, Mr. Trump is squarely in the Republican mainstream. He may be talking nonsense, but anyone his party was likely to nominate would have been talking pretty much the same nonsense.
It’s interesting to ask why climate denial has become not just acceptable but essentially required within the G.O.P. Yes, the fossil-fuel sector is a big donor to the party. But the vehemence of the hostility to climate science seems disproportionate even so; bear in mind that, for example, at this point there are fewer than 60,000 coal miners, that is, less than 0.05 percent of the work force. What’s happening, I suspect, is that climate denial has become a sort of badge of right-wing identity, above and beyond the still-operative motive of rewarding donors.
In any case, this election is likely to be decisive for the climate, one way or another. President Obama has made some serious moves to address global warming, and there’s every reason to believe that Hillary Clinton would continue this push — using executive action if she faced a hostile Congress. Given the technological breakthroughs of the last few years, this push might just be enough to avert disaster. Donald Trump, on the other hand, would do everything in his power to trash the planet, with the enthusiastic support of his party. So which will it be? Stay tuned.
L’acqua, la prossima volta, di Paul Krugman
New York Times 22 agosto 2016
Il luogo di un disastro non è un posto per teatrini politici. Il Governatore della Louisiana devastata dall’alluvione ha chiesto al Presidente Obama di rinviare una visita, mentre erano ancora in corso gli sforzi dei primi soccorsi (nel mentre, da ogni punto di vista, la apprezzabile risposta federale è stata infinitamente superiore alla risposta di Bush a Katrina). Ha avanzato la stessa richiesta a Donald Trump, dichiarando, ragionevolmente, che mentre un aiuto sarebbe stato benvenuto, una visita allo scopo di farsi fotografare non sarebbe stata apprezzata.
Come era prevedibile, il candidato repubblicano è volato sul posto, ha stretto alcune mani, firmato alcuni autografi ed è stato ripreso nel mentre tirava fuori da un camion scatole di Play-Doh [1]. Se ha staccato un assegno, né i componenti del suo staff elettorale né chiunque altro ne ha fatto menzione. Un gran bel lavoro, Donnie! [2]
Ma i comportamenti da cafone, la propaganda di sé stessi, sono l’ultima cosa. La questione di gran lunga più importante è che persino mentre il signor Trump faceva una sforzo maldestro (e tirchio) di sfruttare l’ultimo disastro della Louisiana per un vantaggio politico, egli ha proseguito a rivendicare una posizione politica che renderà tali disastri sempre più frequenti.
Torniamo un attimo indietro e riflettiamo sul significato vero delle inondazioni della Louisiana.
Nel caso non ve ne siate accorti, di recente stiamo registrando, mese per mese, temperature globali record. Vi ricordate quando nel 1998 i negazionisti del cambiamento climatico erano soliti riferirsi ad un temporaneo raffreddamento dopo un anno inusualmente caldo come “prova” che il riscaldamento globale si era fermato? Era pur sempre un argomento sciocco e disonesto, ma in ogni caso adesso abbiamo polverizzato tutti i record precedenti.
Ed una conseguenza di un pianeta più caldo è una maggiore evaporazione, maggiore umidità nell’aria, e di conseguenza alluvioni più disastrose. Come sempre, non si può dire che il cambiamento climatico abbia provocato un particolare disastro. Quello che si può dire è che il riscaldamento rende gli eventi climatici estremi più probabili, cosicché, ad esempio, quelle che erano alluvioni cinquecentennali stanno ora avvenendo quasi come routine.
Dunque, una proliferazione di disastri come quello della Louisiana è esattamente quello su cui gli scienziati del clima ci hanno messo in guardia.
Cosa si può fare? La cattiva notizia è che i tempi per una iniziativa drastica di riduzione delle emissioni di gas serra sono scaduti da molto. La buona notizia è che le basi tecnologiche ed economiche per tale iniziativa non sono mai apparse migliori. In particolare, le energie rinnovabili – l’eolica e la solare – negli anni recenti sono diventate molto più convenienti, e il progresso nell’immagazzinamento dell’energia appare sempre di più nelle condizioni di risolvere il problema dell’intermittenza (il sole non brilla sempre e il vento non soffia in continuazione).
Oppure, per dirla in modo diverso, siamo di fronte ad un pericolo chiaro ed attuale, ma abbiamo i mezzi e le conoscenze per fronteggiare quel pericolo. Il problema è la politica – il che ci riporta a Trump e al suo partito.
Con tutta probabilità, non sarete sorpresi di sentir affermare che quando si arriva al cambiamento climatico, nello stesso modo di molti altri temi, Trump si infila nel fondo della tana del coniglio [3], sostenendo che non solo il riscaldamento climatico è una fola, ma che è una bufala architettata di proposito dai Cinesi per rendere l’America meno competitiva.
Il punto è che egli non è il solo ad infilarsi nella tana del coniglio. Su altri temi i repubblicani possono sostenere che il loro candidato alla Presidenza non parla per il Partito che lo ha nominato. Stiamo già ascoltando argomenti secondo i quali Trump non sarebbe un vero conservatore, semmai egli sarebbe in realtà un progressista, e in ogni modo i progressisti sarebbero responsabili della sua ascesa (in questo caso, la teoria che prediligo, che ha un certo numero di sostenitori, è che il trumpismo sarebbe stato provocato da me in persona, essendomi comportato in modo malevolo verso Mitt Romney [4]).
Ma quando si passa alla negazione del cambiamento climatico ed alla messa in campo delle bizzarre teorie sulla cospirazione per dare una spiegazione dei fatti, Trump si colloca esattamente nel solco della opinione prevalente repubblicana. Può darsi che dica cose insensate, ma ognuno nel suo Partito direbbe le stesse cose insensate.
È interessante chiedersi perché il negazionismo sul clima all’interno del Partito Repubblicano non solo è diventato accettabile, ma è in sostanza un requisito indispensabile. È vero che il settore dei combustibili fossili è un grande finanziatore del partito. Ma anche così, la veemenza dell’ostilità contro la scienza del clima appare sproporzionata; si tenga a mente, ad esempio, che a questo punto ci sono meno di 60.000 minatori del carbone, meno dello 0,05 per cento della forza lavoro. Ho il sospetto che quello che sta accadendo, sopra ed oltre la motivazione ancora importante di mostrare riconoscenza verso i finanziatori, è che in negazionismo sul clima è diventato una sorta di distintivo dell’identità della destra.
In ogni caso, queste elezioni in un modo o nell’altro è probabile siano decisive per il clima. Il Presidente Obama ha fatto alcune mosse serie per affrontare il riscaldamento globale, e ci sono tutte le ragioni per credere che Hillary Clinton proseguirebbe su questa strada – utilizzando l’iniziativa al livello dell’esecutivo se avrà di fronte un Congresso ostile. Dati i passi da gigante della tecnologia negli ultimi anni, questa spinta potrebbe davvero essere sufficiente ad evitare il disastro. D’altra parte, Donald Trump farebbe tutto quello che è nel suo potere per distruggere il pianeta, col sostegno entusiasta del suo partito. Cosa accadrà, dunque? Restate collegati.
[1] Trump mentre distribuisce i Play-Doh, giochi con pasta modellabile per bambini.
[2] Alla lettera, “un diavolo di lavoro!”. Espressione diventata famosa perché pronunciata da George Bush per complimentarsi con il suo responsabile della protezione civile, all’epoca del disastro provocato dall’uragano Katrina nel 2005 e della fallimentare risposta da parte della Amministrazione americana. Non contento, Bush pronunciò un’altra “Heckuva” l’anno successivo, quando affermò che New Orleans era ‘un gran bel posto’ dove portare le proprie famiglie.
[3] Espressione che deriva dalla favola di ‘Alice nel paese delle meraviglie’, di Lewis Carroll.
[4] La notizia proviene da un commento apparso sulla rivista New Republic, che riferisce di un articolo comparso su Daily Beast, secondo il quale commentatori progressisti, in particolare Paul Krugman sul New York Times, avrebbero nel recente passato talmente ecceduto nella polemica contro dirigenti repubblicani come Romney, da provocare nella base di quel partito una sorta di contraccolpo estremista.
By mm
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