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Lo stato della macroeconomia è triste (per esperti) (dal blog di Krugman, 12 agosto 2016)

 

The State of Macro Is Sad (Wonkish)

AUGUST 12, 2016 10:09 AM 

 

Olivier Blanchard has a characteristically informed, lucid essay on the role of DSGE models in macroeconomics, in which he accurately describes the problems with these models but – again characteristically – tries to make peace with both sides, calling for reform of this dominant paradigm rather than tossing the whole thing. I understand his motivations. But what strikes me is just how sad a portrait he offers of the state of macroeconomic theory.

Here’s how I would approach the issue: by asking how we know that a modeling approach is truly useful. The answer, I’d suggest, is that we look for surprising successful predictions. General relativity got its big boost when light did, in fact, bend as predicted. The theory of a natural rate of unemployment got a big boost when the Phillips curve turned into clockwise spirals, as predicted, during the stagflation of the 1970s.

So has there been anything like that in recent years? Yes: economists who knew and still took seriously good old-fashioned Hicksian IS-LM type analysis made some strong predictions after the financial crisis that were very much at odds with what lay commentators, and quite a few economists, were saying. They – OK, we – declared that with interest rates near zero massive increases in the monetary base would not cause high inflation, that large budget deficits would not drive interest rates up or crowd out private investment, and that fiscal multipliers would be positive, in fact more than one, and would be considerably larger than estimates based on non-liquidity-trap episodes suggested.

And all of that came to pass. Those of us who knew our Hicks, directly or indirectly, seem to have had a real advantage over those who didn’t.

Can you say anything comparable about DSGE? Were there any interesting predictions from DSGE models that were validated by events? If there were, I’m not aware of it.

Yet even while failing to offer any measurable gains in insight, DSGE had the effect of crowding out the stuff that actually did work. Olivier writes:

I have found, for example, that I could often, as a discussant, summarize the findings of a DSGE paper in a simple graph. I had learned something from the formal model, but I was able (and allowed as the discussant) to present the basic insight more simply than the author of the paper. The DSGE and the ad hoc models were complements, not substitutes.

Um, no – he notes that he was allowed to present the basic insight more simply only because he was the discussant, but that the author of the paper wasn’t allowed to do the same thing. That’s DSGE substituting for, in fact, preventing the ad hoc approach. And most macro papers aren’t published along with insightful discussions by Olivier Blanchard! There is a real loss and cost here.

So what is the gain from this style of modeling? Olivier offers some awfully weak tea:

DSGE models can fulfill an important need in macroeconomics, that of offering a core structure around which to build and organize discussions.

Really? That’s the point of a paradigm that has taken over the field? It sounds, by the way, exactly like the defenses I heard of academic Marxism when I was young: never mind whether it’s right, it provides a framework.

Now, I don’t know how to reform all of this. There is a huge amount of sunk intellectual capital in this modeling approach. But at the very least we should admit to ourselves how very sad the whole story has become.

 

Lo stato della macroeconomia è triste (per esperti)

Olivier Blanchard presenta uno studio, come al solito ricco e lucido, sul ruolo dei modelli DSGE [1] in macroeconomia, nel quale descrive accuratamente i problemi con questi modelli ma – altrettanto come al solito – cerca di metter pace tra entrambi gli schieramenti, pronunciandosi per una riforma di questo paradigma principale, piuttosto che rivoltare tutta l’impostazione. Ne comprendo i motivi. Ma quello che mi colpisce è quanto sia triste il ritratto che egli offre delle condizioni della teoria macroeconomica.

Ecco come avrei affrontato l’intera questione: chiedendomi come facciamo a sapere che un approccio basato su modelli sia effettivamente utile. Direi che la risposta consiste nell’osservare le previsioni che hanno un successo sorprendente. La relatività generale ottenne la sua grande spinta, di fatto, quando la luce si incurvò come previsto. La teoria del tasso naturale della disoccupazione ottenne la sua grande spinta quando la curva di Phillips, come previsto, si trasformò in spirali in senso antiorario, durante la stagflazione degli anni ’70.

C’è stato dunque qualcosa di simile, negli anni recenti? Sì: gli economisti che conoscevano e avevano preso sul serio la buona, tradizionale analisi del genere del modello hicksiano IS-LM hanno fatto alcune solide previsioni che erano agli antipodi di quello che i commmentatori inesperti, e un buon numero di economisti, venivano affermando. Costoro – diciamo pure noi – affermavano che, con tassi di interesse prossimi allo zero, gli incrementi massicci nella base monetaria non avrebbero provocato elevata inflazione, che ampi deficit di bilancio non avrebbero spinto in alto i tassi di interesse o tolto spazio all’investimento privato, e che i moltiplicatori della spesa pubblica sarebbero stati positivi, di fatto superiori alla unità, e sarebbero stati considerevolmente più ampi di quello che suggerivano alcune stime basate su episodi di situazioni diverse dalla trappola di liquidità.

Ed è quello che è successo. Coloro tra noi che conoscevano, direttamente o indirettamente, la lezione di Hicks, sembrano avere avuto un reale vantaggio su quelli che non la conoscevano.

Si può dire qualcosa di paragonabile per i modelli DSGE? Dove ci sono state previsioni interessanti sulla base di modelli DSGE che sono state convalidate dagli eventi? Se ci sono state, non me ne sono accorto.

Tuttavia, persino quando non riesce a fornire alcun apprezzabile vantaggio nella intuizione, il DSGE ha avuto l’effetto di togliere spazio alle cose che effettivamente funzionavano. Scrive Olivier:

“Ho scoperto, ad esempio, che spesso ero nelle condizioni, nel partecipare ad un dibattito, di sintetizzare le scoperte di uno studio DSGE in un semplice grafico. Avevo appreso qualcosa dal modello formale, ma ero stato capace (e avevo concesso, come presentatore del dibattito) di presentare di presentare l’intuizione principale in modo più semplice dell’autore dello studio. Il DSGE ed i modelli ‘ad hoc’ erano complementari, non alternativi.”

In realtà non è così. Egli osserva che aveva consentito di presentare l’intuizione di base più semplicemente soltanto perché era nelle vesti di presentatore del dibattito, ma che all’autore del dibattito non era stato consentito di fare la stessa cosa. Vale a dire che di fatto sostituire il DSGE è come impedire un approccio ‘ad hoc’. E gran parte degli studi macroeconomici non vengono pubblicati assieme a presentazioni intelligenti da parte di Olivier Blanchard! In questo caso si determina una perdita ed un costo reale.

Dunque, quale è il vantaggio di questo genere di modelli? Olivier offre una specie di tè leggero imbevibile:

“I modelli DSGE possono soddisfare un importante bisogno della macroeconomia, relativo a fornire una struttura di base attorno alla quale costruire ed organizzazione i dibattiti”.

Davvero? È questo l’aspetto di paradigma che è subentrato nella disciplina? Mi ricorda, per inciso, esattamente le difese che sentivo proporre sul marxismo accademico, quando ero giovane: non conta se è giusto, esso fornisce uno schema.

Ora, io non so come tutto questo si possa riformare. In questo approccio di modellazione c’è una gran quantità di capitale intellettuale che è sprofondato. Ma in ultima analisi dovremmo riconoscere tra di noi quanto sia diventata triste tutta la storia.

 

 

[1] Il termine DSGE – “Dynamic stochastic general equilibrium” – indica un settore della teoria applicata dell’equilibrio generale, con una certa influenza nella macroeconomia contemporanea. La metodologia dello DSGE tenta di spiegare I fenomeni economici aggregati – come la crescita economica, i cicli economici, gli effetti delle politiche monetarie e della finanza pubblica – sulla base di modelli macroeconomici derivati da principi microeconomici. Tra gli altri, Woodford e Tovar. Aggiungo, anche se mi rendo conto della probabile grossolanità, che tale approccio dovrebbe essersi affermato in una certa misura in conseguenza e come risposta all’isolamento della teoria keynesiana, quando – negli anni della stagflazione – essa non pareva nelle condizioni di fornire spiegazioni adeguate. Ammettere la necessità di un fondamento microeconomico alla macroeconomia era una specie di prezzo che andava pagato a quello stallo temporaneo. E comportava un forte ricorso a metodiche molto complicate, ed un certo disprezzo nei confronti delle ‘intuizioni’ keynesiane. Krugman varie volte ha insistito sui costi intellettuali di questa operazione, soprattutto nel contesto di una economia che, con la crisi del 2008, è tornata ad essere meglio interpretabile sulla base degli schemi keynesiani (e in particolare hicksiani – vedi le sue note qua tradotte sul modello IS-LM di Hicks).

 

 

 

 

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