agosto 2016 Archive

Per trenta denari, di Paul Krugman (New York Times 12 agosto 2016)

Trentaquattro è il numero che indica la percentuale del carico fiscale sugli americani più ricchi, aumentata con Obama di 4/5 punti rispetto al dato del 2008. Percentuale che non diminuirà, ed anzi aumenterà sensibilmente, se Hillary Clinton avrà nel prossimo Congresso un numero di parlamentari sufficiente a realizzare i suo programma. Ed è, dunque, anche il numero che spiega la ragione per la quale il gruppo dirigente repubblicano oggi sostiene Trump. Ovviamente, ci sono altre spiegazioni; ma questa resta forse la più importante. Si tratta del punto di incontro tra una base con forti connotati di intolleranza e di razzismo, ed una destra economica per la quale è cruciale un programma di forti sgravi per i più ricchi. Può darsi che per questi ultimi la supremazia bianca non sia così fondamentale; ma questo rende ancora più meschino il compromesso che tradisce la democrazia americana.

La macroeconomia nebulosa (dal blog di Krugman, 9 agosto 2016)

[1] La connessione è con un rapporto del New York Times di questi giorni, che fornisce un argomentatissimo sondaggio sulle previsioni elettorali, con un risultato ...

Politica macroeconomica prudenziale (dal blog di Krugman, 7 agosto 2016)

[1] Si intende: dell’investimento privato. “Crowd out” si traduce spesso con “spiazzare”, in questo contesto; del resto significa “togliere spazio”. [2] In lingua inglese l’espressione ...

Tempo di indebitarsi, di Paul Krugman (New York Times 8 agosto 2016)

Emergono dappertutto episodi che mostrano le gravi urgenze del sistema infrastrutturale americano: un dirigente della metropolitana di Washington ha dichiarato che tutte le linee dovrebbero essere chiuse per alcuni mesi, se si vogliono evitare collassi in un prossimo futuro. Le spiagge della Florida sono ripiene di fanghiglia verdastra per mancati investimenti nel collettamento delle acque provenienti da un Lago. E le comuni obiezioni ad una forte politica di investimenti pubblici non hanno fondamento: indebitarsi oggi, con i tassi di interesse quasi allo zero, sarebbe la cosa giusta da fare. Ma a tal fine non basterà una vittoria della Clinton, ci vorrà un risultato forte dei Democratici che metta la futura Presidenza al riparo della opposizione 'da terra bruciata' dei repubblicani. Eppure, se la politica è incerta, quello che si dovrebbe fare è chiaro.

I nuovi delusi della globalizzazione, di Joseph E. Stiglitz (da Project Syndicate, 4 agosto 2016)

[1] In italiano tradotto con “La globalizzazione e i suoi oppositori”, Einaudi 2003. Ma “discontent” non significa propriamente ‘oppositore’: significa esattamente scontento, insoddisfatto, delus0, infelice ...

Nessuna svolta a destra, di Paul Krugman (New York Times 5 agosto 2016)

E' prematuro dare credito ai sondaggi sulle elezioni americane, ma il recente balzo in avanti della Clinton non sembra un fenomeno effimero. Soprattutto, potrebbe indicare una sorta di "spirale dell'ottusità", ovvero la condizione di un candidato che è poco sensato di suo, e diventa sempre più inquietante quando le sue credenziali diminuiscono sensibilmente. La qualcosa sta provocando vari interventi da parte di commentatori centristi, che spingono la Clinton a raccogliere questo clima di molti repubblicani in crisi, a spostarsi a destra. Ma di quali concessioni si parla? I repubblicani americani hanno da tempo costruito le condizioni per l'ascesa di Trump. Ammiccavano al razzismo da anni con un linguaggio in codice, ora si ritrovano con un candidato che ha fatto saltare ogni codice. Chi comincia a capire che si tratta di un rischio troppo grande per gli stessi conservatori, è nella condizione del Dottor Frankenstein. Ha creato un mostro, è in tempo per ravvedersi, ma non può attendersi un premio.

Meritano il nostro disprezzo, di Paul Krugman (New York Times 1 agosto 2016)

Proviamo, suggerisce Krugman, a leggere la vicenda politica americana dal punto di vista degli elettori repubblicani ragionevoli, che pure esistono. Se si mettono in fila le ragioni che essi possono avere nella loro antipatia per la candidatura della Clinton, è abbastanza evidente che non la possono descrivere come un pericolo pubblico. Non lo è lei e non lo è stato Obama. Mentre - sia sui temi dell'economia, che della sicurezza, che della democrazia in America - è evidente che Trump è un rischio assai grande. Forse chi vota repubblicano da decenni è dominato da uno stato d'animo che gli rende complicato un semplice ragionamento sull'evidenza. Ma i dirigenti repubblicani hanno ben altra responsabilità e non se la assumono soltanto per timore per le loro carriere.

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