Paul Krugman SEPT. 23, 2016
Here’s what we can be fairly sure will happen in Monday’s presidential debate: Donald Trump will lie repeatedly and grotesquely, on a variety of subjects. Meanwhile, Hillary Clinton might say a couple of untrue things. Or she might not.
Here’s what we don’t know: Will the moderators step in when Mr. Trump delivers one of his well-known, often reiterated falsehoods? If he claims, yet again, to have opposed the Iraq war from the beginning — which he didn’t — will he be called on it? If he claims to have renounced birtherism years ago, will the moderators note that he was still at it just a few months ago? (In fact, he already seems to be walking back his admission last week that President Obama was indeed born in America.) If he says one more time that America is the world’s most highly taxed country — which it isn’t — will anyone other than Mrs. Clinton say that it isn’t? And will media coverage after the debate convey the asymmetry of what went down?
You might ask how I can be sure that one candidate will be so much more dishonest than the other. The answer is that at this point we have long track records for both Mr. Trump and Mrs. Clinton; thanks to nonpartisan fact-checking operations like PolitiFact, we can even quantify the difference.
PolitiFact has examined 258 Trump statements and 255 Clinton statements and classified them on a scale ranging from “True” to “Pants on Fire.” One might quibble with some of the judgments, but they’re overwhelmingly in the ballpark. And they show two candidates living in different moral universes when it comes to truth-telling. Mr. Trump had 48 Pants on Fire ratings, Mrs. Clinton just six; the G.O.P. nominee had 89 False ratings, the Democrat 27.
Unless one candidate has a nervous breakdown or a religious conversion in the next few days, the debate will follow similar lines. So how should it be reported?
Let’s take it as a given that one can’t report at length on every questionable statement a candidate makes — time, space and the attention of readers and viewers are all limited. What I suggest is that reporters and news organizations treat time and attention span as a sort of capital budget that must be allocated across coverage.
What businesses do when they must allocate capital is to establish a “hurdle rate,” a minimum rate of return a project must offer if it is to be undertaken. In terms of reporting falsehoods, this would amount to devoting on-air time or column inches to statements whose dishonesty rises above a certain level of outrageousness — say, outright falsity with no redeeming grain of truth. In terms of PolitiFact’s ratings, this might correspond to statements that are False or Pants on Fire.
And if the debate looks anything like the campaign so far, we know what that will mean: a news analysis that devotes at least five times as much space to Mr. Trump’s falsehoods as to Mrs. Clinton’s.
If your reaction is, “Oh, they can’t do that — it would look like partisan bias,” you have just demonstrated the huge problem with news coverage during this election. For I am not calling on the news media to take a side; I’m just calling on it to report what is actually happening, without regard for party. In fact, any reporting that doesn’t accurately reflect the huge honesty gap between the candidates amounts to misleading readers, giving them a distorted picture that favors the biggest liar.
Yet there are, of course, intense pressures on the news media to engage in that distortion. Point out a Trump lie and you will get some pretty amazing mail — and if we set aside the attacks on your race or ethnic group, accusations that you are a traitor, etc., most of it will declare that you are being a bad journalist because you don’t criticize both candidates equally.
One all-too-common response to such attacks involves abdicating responsibility for fact-checking entirely, and replacing it with theater criticism: Never mind whether what the candidate said is true or false, how did it play? How did he or she “come across”? What were the “optics”?
But theater criticism is the job of theater critics; news reporting should tell the public what really happened, not be devoted to speculation about how other people might react to what happened.
Now, what will I say if Mr. Trump lies less than I predict and Mrs. Clinton more? That’s easy: Tell it like it is. But don’t grade on a curve. If Mr. Trump lies only three times as much as Mrs. Clinton, the main story should still be that he lied a lot more than she did, not that he wasn’t quite as bad as expected.
Again, I’m not calling on the news media to take sides; journalists should simply do their job, which is to report the facts. It may not be easy — but doing the right thing rarely is.
Il gioco bugiardo, di Paul Krugman
New York Times 23 settembre 2016
Ecco quello che con molta probabilità accadrà nel dibattito presidenziale di lunedì: Donald Trump dirà bugie in continuazione e in modo grottesco, su una varietà di temi. Nello stesso tempo, Hillary Clinton potrebbe dire un paio di cose non vere. O magari neanche quelle.
Ed ecco quello che non sappiamo: i moderatori interverranno allorché il signor Trump pronuncerà una delle sue ben note, spesso reiterate falsità? Se egli sosterrà, un’altra volta, di essersi opposto alla guerra in Iraq sin dall’inizio – cosa che non fece – verrà richiamato? Se sosterrà di aver rinunciato da anni all’argomento secondo il quale Obama non sarebbe americano, i moderatori osserveranno che ancora pochi mesi orsono era fermo a quel punto (di fatto, egli pare già che torni indietro dalla ammissione della settimana scorsa, secondo la quale il Presidente Obama in effetti nacque in America)? Se dice un’altra volta che l’America è il paese più tassato al mondo – il che non è vero – ci sarà qualcun altro oltre alla Clinton che dirà che non è vero? E dopo il dibattito, i resoconti sui media daranno conto della asimmetria di quello che è venuto fuori?
Potreste chiedervi come faccio a esser sicuro che un candidato sarà molto più disonesto dell’altro. La risposta è che a questo punto abbiamo molti precedenti sia per Trump che per la Clinton: grazie alla attività di organi indipendenti di verifica come PolitiFact [1], possiamo persino quantificare la differenza.
PolitiFact ha preso in esame 258 discorsi di Trump e 255 della Clinton, e li ha classificati su una scala che va dal “vero” alla “bugia sfacciata [2]”. Si potrebbe sottilizzare su alcuni giudizi, ma essi esprimono assolutamente una buona approssimazione. E dimostrano che i candidati vivono, quanto al dire la verità, in diversi universi morali. Trump ha 48 punteggi da “bugia sfacciata”, la Clinton solo 6; il candidato del Partito Repubblicano ha 89 classificazioni di affermazioni non vere, la democratica ne ha 27.
A meno che un candidato abbia nei prossimi giorni un esaurimento nervoso o una conversione religiosa, il dibattito avrà un andamento del genere. Dunque, come si dovrebbe darne conto?
Consideriamo come naturale che non si possa dar conto esaurientemente di ogni affermazione discutibile che un candidato avanza – il tempo, lo spazio, e l’attenzione dei lettori e degli osservatori sono tutti limitati. Quello che io suggerisco è che i giornalisti e le organizzazioni dell’informazione trattino il tempo e l’ampiezza dell’informazione come uno stanziamento di capitale che deve essere collocato attraverso i resoconti.
Quello che un impresario fa quando deve allocare del capitale è stabilire un “rendimento minimo”, un tasso minimo di rendimento che un progetto deve offrire per essere intrapreso. In termini di rendiconto delle falsità, questo corrisponderebbe a dedicare un certo tempo di trasmissione o battute di un articolo a discorsi la cui disonestà vada sopra un certo livello di impudenza – ad esempio, falsità complete non riscattate da un briciolo di verità. Secondo le classificazioni di PolitiFact, questo corrisponderebbe a discorsi classificabili come “falsi” o come “bugie sfacciate”.
E se il dibattito assomiglierà in qualche modo alla campagna elettorale sino a questo punto, sappiamo cosa significherebbe: analisi giornalistiche che dedicherebbero uno spazio alle falsità di Trump grande cinque volte quello della Clinton.
Se la vostra reazione è: “Ma non possono farlo – sarebbe un favoritismo fazioso”, avete appena dato prova del grande problema aperto in queste elezioni con i resoconti dell’informazione. Perché io non sto chiedendo che i media dell’informazione prendano posizione; sto solo chiedendo che essi diano conto di quello che accade, senza alcun riguardo per la parte in gioco. In sostanza, ogni resoconto che non rifletta accuratamente il grande divario di onestà tra i candidati corrisponde a ingannare i lettori, dando ad essi un’immagine distorta che favorisce il grande bugiardo.
Tuttavia, ovviamente, ci sono forti spinte nei media dell’informazione per impegnarsi in tale distorsione. Mettete in evidenza una bugia di Trump e ne riceverete in cambio una corrispondenza abbastanza impressionante – e se mettiamo da parte gli attacchi sulla vostra razza o gruppo etnico, le accuse di tradimento etc. gran parte di quella corrispondenza dirà che vi state comportando come un pessimo giornalista, perché non criticate entrambi i candidati nello stesso modo.
Una risposta anche troppo comune a tali attacchi consiste nell’abdicare per intero dalla responsabilità di controllare i fatti, e rimpiazzarla con qualcosa di simile alla critica teatrale: non conta se quello che ha detto il candidato è vero o falso, come lo ha interpretato? Che “impressione” ha dato? In quale “ottica”?
Ma la critica teatrale è il lavoro dei critici di teatro; riportare le notizie dovrebbe consistere nel raccontare al pubblico quello che è realmente accaduto, non dedicarsi a speculazioni su come gli altri potrebbero reagire a quello che è accaduto.
Ora, cosa dirò se Trump dice meno bugie di quello che ho previsto e la Clinton ne dice di più? È facile: lo racconterò così com’è. Ma senza annacquarlo in un contesto [3]. Se Trump dice soltanto tre volte le bugie della Clinton, il racconto fondamentale dovrebbe essere che egli ha mentito molto di più di lei, non che non è stato così negativo come ci si aspettava.
Ancora una volta, non mi sto appellando ai media dell’informazione perché si schierino; i giornalisti dovrebbero fare semplicemente il loro lavoro, che è render conto dei fatti. Può non essere facile – ma fare la cosa giusta lo è raramente.
[1] Una agenzia giornalistica americana che opera esclusivamente sule analisi di “corrispondenza ai fatti”; ovvero che analizza in modo sistematico discorsi e interviste degli uomini politici, per poi classificarle con un punteggio di attinenza alla realtà.
[2] L’espressione “ti bruciano i pantaloni” è un modo di dire dei ragazzi americani, per indicare le balle colossali. Un po’ come dire “ti s’allunga il naso”.
[3] “Grade on a curve” è una espressione che pare nasca come uno dei criteri per esprimere un giudizio su uno studente. Letteralmente, collocare la sua prestazione in una curva, ovvero compararla alla prestazione più generale della sua classe. Talvolta viene tradotta dai dizionari come un equivalente di “esagerare”, ma mi pare improprio. Dipende dal tipo di valutazione che si esprime; spesso collocare in un contesto può comportare esprimere un giudizio meno severo. In questo caso, “annacquare in un contesto” mi pare preciso.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"