SEPTEMBER 26, 2016 3:51 AM
If Donald Trump becomes president, the news media will bear a large share of the blame. I know some (many) journalists are busy denying responsibility, but this is absurd, and I think they know it. As Nick Kristof says, polls showing that the public considers Hillary Clinton, a minor fibber at most, less trustworthy than a pathological liar is prima facie evidence of massive media failure.
In fact, it’s telling that this debate is usually framed as one of false equivalence and whether it’s a problem. It’s a lot better to have this debate than a continuation of the unchecked media assault on Clinton. But it’s actually much worse than that. The media haven’t treated Clinton fibs as the equivalent of outright Trump lies; they have treated more or less innocuous Clintonisms as major scandals while whitewashing Trump. Put simply, until the past few days the media have had it in for Clinton; only now, at the last moment or possibly after the last moment has the enormity of the sin begun to sink in.
Think about the Matt Lauer debacle. That wasn’t a case of false equivalence; a rough summary of his performance would be “Emails, emails, emails; yes, Mr. Trump, whatever you say, Mr. Trump.” One candidate was repeatedly harassed over something trivial, the other allowed to slide on grotesque falsehoods.
Or as Jonathan Chait says, the problem hasn’t just been the normalization of Trump, it has been the abnormalization of Clinton. Consider the AP report on the Clinton Foundation. An honest report would have said, “The foundation arguably creates the possibility of self-dealing and undue influence, but we’ve looked hard and haven’t found much of anything.” Instead, the report played up meetings with a Nobel Peace Prize winner as being somehow scandalous.
And it’s still happening, if not quite so relentlessly. We’re still seeing reports about how something Clinton did “raises questions,” “casts shadows,” etc. – weasel words that allow reporters to write negative stories regardless of the facts.
I’ve compared this to what went down in the 2000 campaign; Nick compares it to what happened in the runup to the Iraq war. Pick your analogy. But let’s use Nick’s example: actually, the media didn’t do false equivalence in 2002. What they – alas, including this paper – actually did was to breathlessly hype the case for war, reporting as an inside scoop everything that Dick Cheney fed them, while freezing out critics and skeptics. The other side was out there; McClatchy found plenty of insiders willing to say that we were being sold a bill of goods. But the skeptics couldn’t get a word in edgewise. Effectively, the media were pro-war.
And this time they have effectively been pro-Trump – actually anti-Clinton, but it comes to the same thing. I doubt that reporters or even editors have thought of themselves as trying to elect Trump; many of them will be horrified if he wins. But they went all in on Clinton Rules, under which sneering at and razzing a Clinton is considered good for your career. It’s really more like high school than high journalism, but it may have horrendous consequences.
A lot depends on whether the same behavior continues for the final stretch. If the media report on the debates the way they did in 2000 – if substance is replaced by descriptions of Clinton’s facial expressions, her sighs, or how she “comes across,” while downplaying Trump’s raw lies, say hello to the Trump White House. And history will not forgive the people who made it possible.
La bugia della falsa equivalenza
Se Donald Trump diventerà Presidente, i media ne porteranno buona parte della responsabilità. So che (alcuni) giornalisti sono impegnati e negare tale responsabilità, ma è assurdo, e penso che lo sappiano. Come dice Nick Kristof, il fatto che i sondaggi mostrino che l’opinione pubblica considera Hillary Clinton, nel migliore dei casi, una contaballe, meno meritevole di fiducia di un bugiardo patologico, è sino a prova contraria la conferma di un massiccio fallimento dei media.
In sostanza, ci viene raccontato che questo dibattito viene normalmente schematizzato sul modello della falsa equivalenza, e se questo sia un problema. È molto meglio avere il confronto diretto [1] che una prosecuzione dell’assalto incontrollato dei media sulla Clinton. Ma per la verità le cose sono andate molto peggio. I media non hanno trattato le frottole della Clinton alla stessa stregua delle complete bugie di Trump; hanno trattato le più o meno innocue prestazioni clintoniane come importanti scandali, mentre occultavano Trump. Per dirla semplicemente, sino agli ultimi giorni i media sono stati ostili alla Clinton; solo adesso, all’ultimo momento, o forse dopo, l’enormità di quel pregiudizio ha cominciato ad essere compresa.
Si pensi alla débâcle di Matt Lauer. Quella non è stata un caso di falsa equivalenza; un semplice resoconto della sua prestazione sarebbe: “Email, email e ancora email; va bene signor Trump, qualsiasi cosa lei dica, signor Trump”. Un candidato è stato aggredito a ripetizione su qualcosa di banale, all’altro si consentiva di scivolare su falsità grottesche.
Oppure, come dice Jonathan Chait, il problema non è stato soltanto la ‘normalizzazione’ di Trump, è stato la ‘abnormalizzazione’ della Clinton. Si consideri il rapporto della Associated Press sulla Fondazione Clinton. Un resoconto onesto avrebbe dovuto dire: “La Fondazione probabilmente crea la possibilità di una impropria influenza a proprio vantaggio, ma abbiamo osservato attentamente e non abbiamo trovato granché”.
Invece, il rapporto ha messo in evidenza incontri con un vincitore di un Premio Nobel come se fossero qualcosa di scandaloso.
E sta ancora succedendo, seppure non in modo così incessante. Stiamo ancora leggendo resoconti su come qualcosa da parte della Clinton “sollevi domande”, “getti ombre” etc. – espressioni ambigue che consentono ai giornalisti di scrivere storie negative a prescindere dai fatti.
Ho confrontato tutto questo con quello che accadde nella campagna elettorale del 2000; Nick lo confronta con quello che avvenne nel periodo precedente alla guerra in Iraq. Ognuno scelga la analogia che crede. Ma fatemi usare l’esempio di Nick: effettivamente, i media nel 2002 non usarono la falsa equivalenza. Quello che essi fecero – ahimè incluso questo giornale [2] – effettivamente fu un incessante battage a favore della guerra, rendicontando come scoop per i beneinformati tutto quello che Dick Cheney passava loro, mentre si escludevano i critici e gli scettici. L’altro schieramento era messo ai margini; la McClatchy [3] trovò una gran quantità di beneinformati disposti a sostenere che stavamo facendo un affarone. Ma gli scettici non riuscirono a infilarci nemmeno una parola. In sostanza, i media erano a favore della guerra.
E questa volta essi sono stati sostanzialmente a favore di Trump – per la verità contro la Clinton, ma il punto è lo stesso. Dubito che i giornalisti o persino gli editori si siano immaginati come se cercassero di eleggere Trump; molti di loro troverebbero terribile se vincesse. Ma hanno tutti aderito alle speciali ‘regole sui Clinton’, per le quali sogghignare e prendere in giro un Clinton è considerato positivo per la propria carriera. Più che alto giornalismo, in realtà, sono atteggiamenti da collegiali, ma possono avere conseguenze spaventose.
Molto dipenderà dal fatto che lo stesso comportamento prosegua nella fase finale. Se i resoconti dei media sui dibattiti saranno simili a quelli del 2000 – se la sostanza verrà rimpiazzata dalle espressioni facciali della Clinton, dai suoi sospiri, da come ella “dà l’impressione di essere”, mentre si minimizzano le grezze bugie di Trump, si può dare il benvenuto a Trump alla Casa Bianca.
E la storia non perdonerà chi lo ha reso possibile.
[1] Suppongo che in questo caso il riferimento sia all’imminente confronto televisivo.
[2] Il New York Times, giacché il blog di Krugman è un prodotto di quel giornale.
[3] Dovrebbe trattarsi di una società dell’informazione, giornali ed internet.
By mm
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