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La tecnica del “Grande Bugiardo” di Donald Trump, di Paul Krugman (New York Times 9 settembre 2016)

 

Donald Trump’s ‘Big Liar’ Technique

Paul Krugman SEPT. 9, 2016

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Long ago, you-know-who suggested that propagandists should apply the “big lie” technique: make their falsehoods so huge, so egregious, that they would be widely accepted because nobody would believe they were lying on that grand a scale. And the technique has worked well for despots and would-be despots ever since.

But Donald Trump has come up with something new, which we can call the “big liar” technique. Taken one at a time, his lies are medium-size — not trivial, but mostly not rising to the level of blood libel. But the lies are constant, coming in a steady torrent, and are never acknowledged, simply repeated. He evidently believes that this strategy will keep the news media flummoxed, unable to believe, or at least say openly, that the candidate of a major party lies that much.

And Wednesday night’s “Commander in Chief” televised forum suggested that he may be right.

Obligatory disclaimer: No, I’m not saying that Mr. Trump is another Hitler. More like Mussolini. But I digress.

Back to the issue: All politicians are human beings, which means that all of them sometimes shade the truth. (Show me someone who claims to never lie, and I’ll show you someone who is lying.) The question is how much they lie, and how consequentially.

Not to put too fine a point on it, Hillary Clinton has been cagey about her email arrangements when she was secretary of state. But when you look at what the independent fact-checkers who have given her a “pants on fire” or “four Pinocchios” rating on this issue actually have to say, it’s remarkably weak: She stands accused of being overly legalistic or overstating the extent to which she has been cleared, but not of making major claims that are completely at odds with reality.

Oh, and it barely got covered in the media, but her claim that Colin Powell advised her to set up a private email account was … completely true, validated by an email that Mr. Powell sent three days after she took office, which contradicts some of his own claims.

And over all, her record on truthfulness, as compiled by PolitiFact, looks pretty good for a politician — much better than that of any of the contenders for the Republican nomination, and for that matter much better than that of Mitt Romney in the last presidential election.

Mr. Trump, on the other hand, is in a class of his own. He lies about statistics like the unemployment rate and the crime rate. He lies about foreign policy: President Obama is “the founder of ISIS.” But most of all, he lies about himself — and when the lies are exposed, he just keeps repeating them.

One obvious question going into Wednesday’s forum was whether Mr. Trump would repeat his frequent claim that he opposed the Iraq war from the start. This claim is demonstrably false: His only documented prewar remarks on the subject support the war, and the interview he likes to cite as evidence of his prescience took place more than a year after the war began. But he keeps saying it anyway; if he did it again, how would Matt Lauer, the moderator, respond?

Well, he did do it again — and Mr. Lauer, who used about a third of his time with Mrs. Clinton talking about emails, let it stand and moved on to the next question.

Why is it apparently so hard to hold Mr. Trump accountable for blatant, in-your-face lies? Part of the answer may be that journalists are overwhelmed by the sheer volume of outrageous material. After all, which Trump line should be the headliner for a news analysis of Wednesday’s event? His Iraq lie? His praise for Vladimir Putin, who “has an 82 percent approval rating”? His denigration of the American military, whose commanders, he says, have been “reduced to rubble”?

There’s also a deep diffidence about pointing out uncomfortable truths. Back in 2000, when I was first writing this column, I was discouraged from using the word “lie” about George W. Bush’s dishonest policy claims. As I recall, I was told that it was inappropriate to be that blunt about the candidate of one of our two major political parties. And something similar may be going on even now, with few people in the media willing to accept the reality that the G.O.P. has nominated someone whose lies are so blatant and frequent that they amount to sociopathy.

Even that observation, however, doesn’t explain the asymmetry, because some of the same media organizations that apparently find it impossible to point out Mr. Trump’s raw, consequential lies have no problem harassing Mrs. Clinton endlessly over minor misstatements and exaggerations, or sometimes over actions that were perfectly innocent. Is it sexism? I really don’t know, but it’s shocking to watch.

And meanwhile, if the question is whether Mr. Trump can really get away with his big liar routine, the evidence from Wednesday night suggests a disheartening answer: Unless something changes, yes he can.

 

La tecnica del “Grande Bugiardo” di Donald Trump, di Paul Krugman

New York Times 9 settembre 2016

Molto tempo fa qualcuno, sapete a chi mi riferisco [1], suggerì che i propagandisti dovevano applicare la tecnica della “grande bugia”: rendere le loro falsificazioni così smisurate, così oltraggiose, da farle accettare dalla generalità, giacché nessuno crederebbe che stanno mentendo su così grande scala. E da allora quella tecnica ha funzionato bene per i despoti e gli aspiranti despoti.

Ma Donald Trump ha inventato qualcosa di nuovo, che possiamo definire la tecnica del “grande bugiardo”. Considerate ognuna per suo conto, le sue bugie sono di media dimensione – non banali, ma per la maggioranza non giungono al livello della calunnia sanguinosa. Ma le bugie sono costanti, arrivano come in un ininterrotto torrente, e non sono mai riconosciute, semplicemente sono ripetute. Evidentemente egli crede che questa strategia lascerà sconcertati i media dell’informazione, incapaci di convincersi che il candidato di un principale partito menta così tanto, o almeno di dirlo apertamente.

E il forum televisivo “Comandante in capo” di mercoledì sera ha suggerito che potrebbe avere ragione.

A scanso di responsabilità: non sto dicendo che Trump sia un altro Hitler. Assomiglia di più a Mussolini. Ma sto divagando.

Tornando al tema: tutti i politici sono esseri umani, i che significa che tutti loro talora sfumano la verità (mostratemi qualcuno che pretende di non dire mai bugie, e io vi indicherò qualcuno che sta mentendo). La questione è quanto mentono, e con quanta sistematicità.

Per non dirla troppo elegantemente, Hillary Clinton è stata evasiva a proposito della sua organizzazione della posta elettronica quando era Segretaria di Stato. Ma quando osservate quello che effettivamente hanno potuto esprimere a questo proposito gli indipendenti ‘controllori della attinenza ai fatti’ che le hanno dato un punteggio da “bugiarda incallita” o da “quattro Pinocchietti” [2], si tratta di argomenti  evidentemente deboli: ella finisce con l’essere accusata per essere eccessivamente legalistica o per aver sopravvalutato la misura nella quale è stata scagionata, ma non per aver avanzato argomenti importanti che fossero completamente all’opposto della realtà.

Peraltro, e su ciò si trovano appena resoconti nei media, il suo argomento secondo il quale Colin Powell l’aveva avvisata di aprire una propria iscrizione privata di posta elettronica era … del tutto veritiero, convalidato da una email che egli le aveva spedito tre giorni dopo essere entrata in carica, il che contraddice alcuni degli argomenti dello stesso Powell.

Ma soprattutto, le sue credenziali di veridicità, come compilate da PolitiFact, paiono abbastanza buone per un politico – assai migliori di ciascun candidato alla nomina da parte dei repubblicani, e del resto molto migliori di quelle di Mitt Romney nelle ultime elezioni presidenziali.

Sull’altra sponda, Trump fa parte di una categoria tutta sua. Egli mente sulle statistiche come il tasso di disoccupazione ed il tasso di criminalità. Dice bugie sulla politica estera: il Presidente Obama che sarebbe “il fondatore dell’ISIS”. Ma soprattutto mente su sé stesso – e quando le bugie vengono rivelate, semplicemente continua a ripeterle.

Una ovvia domanda destinata ad entrare nel forum di mercoledì era se Trump avrebbe ripetuto la sua frequente pretesa secondo la quale egli si oppose alla guerra in Iraq sin dagli inizi.

Questa pretesa è dimostrabilmente falsa: le sue sole osservazioni documentate prima del conflitto sul tema erano di sostegno alla guerra, e l’intervista che ama citare come prova della sua preveggenza si colloca più di un anno dopo l’inizio del conflitto. Ma egli ha continuato in ogni modo ad affermarlo; se lo avesse ancora fatto, come avrebbe risposta Matt Lauer, il moderatore?

Ebbene, l’ha fatto di nuovo – e il signor Lauer, che ha utilizzato circa un terzo del suo tempo con la signora Clinton per parlare sulle email, non ha sollevato obiezioni ed è passato alla questione successiva.

Perché è in apparenza così difficile attribuire a Trump la responsabilità per le sue sfacciate, spavalde bugie? In parte la risposta è che i giornalisti sono soverchiati dalla pura e semplice mole del suo scandaloso argomentare. Dopo tutto, quale sarebbe stata la frase destinata a campeggiare nei titoli delle analisi giornalistiche sull’evento di mercoledì? La sua bugia sull’Iraq? Il suo elogio di Vladimir Putin, che “ha un indice di approvazione dell’82 per cento”? La sua denigrazione delle forze armate americane, i cui comandanti, ha detto, sono stati “ridotti a macerie”?

C’è anche una profonda diffidenza nel mettere in evidenza verità scomode. Tornando al 2000, quando per la prima volta scrivevo in questa rubrica, io venni scoraggiato dall’usare il termine “bugia” a proposito delle disoneste pretese politiche di George W. Bush. Ricordo che mi venne detto che era inappropriato essere così bruschi sul candidato di uno dei due principali partiti politici. E forse qualcosa di simile sta accadendo ancora oggi, con poche persone nei media disponibili ad accettare la realtà, ovvero che il Partito Repubblicano ha candidato qualcuno le cui bugie sono talmente frequenti e senza ritegno da configurare la sociopatia.

Persino questa osservazione, tuttavia, non spiega l’asimmetria, perché alcune delle stesse associazioni dei media che apparentemente trovano impossibile mettere in evidenza le bugie grossolane e sistematiche di Trump non hanno problemi a tormentare implacabilmente la Clinton per affermazioni inesatte ed esagerazioni, o talvolta per iniziative perfettamente innocenti. Si tratta di sessismo? Davvero non lo so, ma è impressionante osservarlo.

Nel frattempo, se la domanda è se il signor Trump possa davvero cavarsela con la sua consuetudine da grande bugiardo, la prova di mercoledì notte suggerisce una risposta scoraggiante: se non cambia qualcosa, sì, può farlo.

 

 

[1] Il riferimento è ad Adolph Hitler, che nel Mein Kampf (1925) scriveva quel concetto, riferendosi come esempio alla presunta falsificazione di ebrei e marxisti sulle responsabilità della sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale, attribuite all’ufficiale dell’Esercito tedesco a Erich Ludendorff. Il concetto hitleriano, che vale la pena di tradurre per intero, era il seguente: “Tutto questo era ispirato dal principio – in sé abbastanza vero – che nella grande bugia c’è sempre una certa forza di credibilità; perché le grandi masse di una nazione sono sempre corrotte negli strati più profondi della loro natura emozionale che non coscientemente e volontariamente; e quindi nella primitiva semplicità della loro mente cadono più facilmente vittime della grande bugia che della piccola bugia, dal momento che essi stessi spesso dicono piccole bugie ma si vergognerebbero di ricorrere a falsificazioni su larga scala. Non entrerebbe mai nelle loro teste di fabbricare menzogne colossali, e non crederebbero che gli altri possano avere l’impudenza di distorcere la verità in modo così turpe”.

[2] Si tratta di agenzie/associazioni giornalistiche che operano in continuo verifiche di corrispondenza alla realtà delle dichiarazioni o dei programmi dei politici. Quelle curiose espressioni o quei “Pinocchietti” sono il modo nel quale, probabilmente, esprimono il peggiore “rating”.

 

 

 

 

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