Paul Krugman SEPT. 12, 2016
First of all, let’s get this straight: The Russian Federation of 2016 is not the Soviet Union of 1986. True, it covers most of the same territory and is run by some of the same thugs. But the Marxist ideology is gone, and so is the superpower status. We’re talking about a more or less ordinary corrupt petrostate here, although admittedly a big one that happens to have nukes.
I mention all of this because Donald Trump’s effusive praise for Vladimir Putin — which actually reflects a fairly common sentiment on the right — seems to have confused some people.
On one side, some express puzzlement over the spectacle of right-wingers — the kind of people who used to yell “America, love it or leave it!” — praising a Russian regime. On the other side, a few people on the left are anti-anti-Putinists, denouncing criticism of Mr. Trump’s Putin-love as “red-baiting.” But today’s Russia isn’t Communist, or even leftist; it’s just an authoritarian state, with a cult of personality around its strongman, that showers benefits on an immensely wealthy oligarchy while brutally suppressing opposition and criticism.
And that, of course, is what many on the right admire.
Am I being unfair? Could praise for Russia’s de facto dictator reflect appreciation of his substantive achievements? Well, let’s talk about what the Putin regime has, in fact, accomplished, starting with economics.
Mr. Putin came to power at the end of 1999, as Russia was recovering from a severe financial crisis, and his first eight years were marked by rapid economic growth. This growth can, however, be explained with just one word: oil.
For Russia is, as I said, a petrostate: Fuels account for more than two-thirds of its exports, manufactures barely a fifth. And oil prices more than tripled between early 1999 and 2000; a few years later they more than tripled again. Then they plunged, and so did the Russian economy, which has done very badly in the past few years.
Mr. Putin would actually have something to boast about if he had managed to diversify Russia’s exports. And this should have been possible: The old regime left behind a large cadre of highly skilled workers. In fact, Russian émigrés have been a key force behind Israel’s remarkable technology boom— and the Putin government appears to have no trouble recruiting talented hackers to break into Democratic National Committee files. But Russia wasn’t going to realize its technology potential under a regime where business success depends mainly on political connections.
So Mr. Putin’s economic management is nothing to write home about. What about other aspects of his leadership?
Russia does, of course, have a big military, which it has used to annex Crimea and support rebels in eastern Ukraine. But this muscle-flexing has made Russia weaker, not stronger. Crimea, in particular, isn’t much of a conquest: it’s a territory with fewer people than either Queens or Brooklyn, and in economic terms it’s a liability rather than an asset, since the Russian takeover has undermined tourism, its previous mainstay.
An aside: Weirdly, some people think there’s a contradiction between Democratic mocking of the Trump/Putin bromance and President Obama’s mocking of Mitt Romney, four years ago, for calling Russia our “No. 1 geopolitical foe.” But there isn’t: Russia has a horrible regime, but as Mr. Obama said, it’s a “regional power,” not a superpower like the old Soviet Union.
Finally, what about soft power, the ability to persuade through the attractiveness of one’s culture and values? Russia has very little — except, maybe, among right-wingers who find Mr. Putin’s macho posturing and ruthlessness attractive.
Which brings us back to the significance of the Putin cult, and the way this cult has been eagerly joined by the Republican nominee for president.
There are good reasons to worry about Mr. Trump’s personal connections to the Putin regime (or to oligarchs close to that regime, which is effectively the same thing.) How crucial has Russian money been in sustaining Mr. Trump’s ramshackle business empire? There are hints that it may have been very important indeed, but given Mr. Trump’s secretiveness and his refusal to release his taxes, nobody really knows.
Beyond that, however, admiring Mr. Putin means admiring someone who has contempt for democracy and civil liberties. Or more accurately, it means admiring someone precisely because of that contempt.
When Mr. Trump and others praise Mr. Putin as a “strong leader,” they don’t mean that he has made Russia great again, because he hasn’t. He has accomplished little on the economic front, and his conquests, such as they are, are fairly pitiful. What he has done, however, is crush his domestic rivals: Oppose the Putin regime, and you’re likely to end up imprisoned or dead. Strong!
Malavita e bacetti, di Paul Krugman
New York Times 12 settembre 2016
Prima di tutto, mettiamocelo bene in testa: la Federazione Russa del 2016 non è l’Unione Sovietica del 1986. È vero, copre gran parte dello stesso territorio ed è governata da alcuni degli stessi malviventi. Ma L’ideologia marxista non c’è più, e neanche il suo status da superpotenza. Stiamo più o meno parlando di un ordinario corrotto Stato basato sul petrolio, sebbene si debba ammettere di un grande Stato che si dà il caso abbia armamenti nucleari.
Ricordo tutto questo, perché gli elogi calorosi di Donald Trump a Vladimir Putin – che riflettono in effetti un sentimento abbastanza diffuso a destra – sembrano aver confuso qualcuno.
Da una parte, una certa autentica perplessità sullo spettacolo della gente di destra – il genere di individui che erano soliti gridare “O si ama l’America, o la si lascia!” – che elogia un regime russo. Dall’altra parte, a sinistra, un certo numero di persone ostili all’anti-putinismo, che denunciano le critiche all’idillio tra Trump e Putin come un caso di “ossessione per i rossi” [1]. Ma la Russia di oggi non è comunista, e neanche di sinistra; è solo uno Stato autoritario, con un culto della personalità per il suo uomo forte, che inonda di benefici una oligarchia immensamente ricca mentre sopprime brutalmente l’opposizione e le critiche.
E che, naturalmente, è quello che a destra molti ammirano.
Sono ingiusto? Gli elogi al dittatore di fatto della Russia potrebbero riflettere un apprezzamento delle sue realizzazioni sostanziali? Ebbene, fatemi parlare di quello che il regime di Putin ha effettivamente realizzato, a partire dall’economia.
Putin arrivò al potere alla fine del 1999, mentre la Russia si riprendeva da una grave crisi finanziaria, ed i suoi primi otto anni furono segnati da una rapida crescita economica. La crescita, tuttavia, può essere spiegata con una parola sola: petrolio.
Perché la Russia, come ho detto, è uno Stato che si basa sul petrolio: i combustibili pesano per più di due terzi delle sue esportazioni, il settore manifatturiero appena per un quinto. E i prezzi del petrolio erano più che triplicati tra gli inizi del 1999 e il 2000; pochi anni dopo essi erano ancora triplicati. Poi crollarono, e crollò nello stesso modo l’economia russa, che nei pochi anni passati è andata assai male.
Putin avrebbe effettivamente qualcosa di cui vantarsi se avesse operato per diversificare le esportazioni russe. E questo avrebbe potuto accadere: il vecchio regime si era lasciato alle spalle una ampia struttura di operai altamente professionalizzati. Gli emigrati russi sono stati una componente fondamentale dietro il considerevole boom tecnologico di Israele – e il Governo di Putin sembra non aver problemi nel reclutare hacker di talento che si intromettono nella documentazione informatica del Comitato Nazionale Democratico. Ma la Russia non andava nella direzione di mettere a frutto il suo potenziale tecnologico, in un regime nel quale il successo negli affari dipende principalmente dai collegamenti con il potere politico.
Dunque, la gestione economica del signor Putin non è stata niente di speciale. Che dire degli altri aspetti della sua dirigenza?
La Russia, ovviamente, ha un grande esercito, che è stato usato per annettere la Crimea e sostenere i ribelli nella parte orientale dell’Ucraina. Ma queste prove muscolari hanno reso la Russia più debole, non più forte. In particolare la Crimea non è una gran conquista: è un territorio con un numero di persone minore che i Queens o Brooklyn, e in termini economici è più una rimessa che un valore, dato che l’acquisizione da parte della Russa ha danneggiato il turismo, il suo pilastro precedente.
Un inciso: stranamente, alcune persone pensano che ci sia una contraddizione tra l’ironia dei democratici verso l’idillio Trump/Putin e quella del Presidente Obama di quattro anni orsono verso Mitt Romney, che aveva definito la Russia “Il nostro principale avversario”. Ma non è così: la Russia ha un regime orribile, ma come disse Obama, è un “potere regionale”, non una superpotenza come la vecchia Unione Sovietica.
Cosa dire infine del potere discreto del convincere, della capacità di costruire persuasione attraverso la attrattività della propria cultura e dei propri valori? La Russia ne ha molto poca – ad eccezione, forse, che tra le persone di destra, che trovano attraenti gli atteggiamenti ‘macho’ di Putin e la sua mancanza di scrupoli.
Il che ci riporta al significato del culto di Putin, ed al modo in cui si è associato a questo culto il candidato repubblicano per la Presidenza.
Ci sono buone ragioni per preoccuparsi dei collegamenti personali di Trump con il regime di Putin (o con gli oligarchi vicini a quel regime, che è in sostanza la stessa cosa). Quanto sono stati fondamentali i soldi russi nel sostenere il traballante impero affaristico di Trump? In effetti ci sono sospetti che siano stati molto importanti, ma data la riservatezza di Trump e il suo rifiuto di render note le sue tasse, nessuno realmente lo sa.
Oltre a ciò tuttavia, ammirare Putin significa ammirare qualcuno che ha disprezzo per la democrazia e le libertà civili. O più precisamente, significa ammirare qualcuno precisamente per quel disprezzo.
Quando Trump ed altri elogiano Putin come un “leader forte”, non intendono dire che egli abbia reso la Russia di nuovo grande, dato che non l’ha fatto. Sul fronte economico egli ha realizzato poco, e le sue conquiste, se sono tali, sono piuttosto patetiche. Quello che ha fatto, tuttavia, è schiacciare i suoi avversari interni: opponetevi al regime di Putin, ed è probabile che finirete in galera o morti. Forte davvero!
[1] Letteralmente “To bait” ha anche il senso di ‘tormentare, stuzzicare’. Ma esiste anche l’espressione “rat bait”, che significa esca topicida. Forse c’è un gioco di assonanza, e il senso dovrebbe comunque essere quello della sindrome ossessiva verso il comunismo. Che Krugman esclude, perché il comunismo non c’è più (ma di recente è uscito un libro non sciocco, che colgo l’occasione per segnalare – “Russofobia, mille anni di diffidenza”, di Guy Mettan – che collocherebbe tale sindrome in una dimensione più vasta. Peraltro, con una dotta introduzione di Franco Cardini).
By mm
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