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Né Smith né Corbyn, di Chris Dillow (dal blog ‘Stumbling and Mumbling’, 7 settembre 2016)

 

September 07, 2016

NEITHER SMITH NOR CORBYN

By Chris Dillow (dal Blog ‘Stumbling and Mumbling’)

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Back in 1986, someone at L’Uomo Vogue got the idea of doing a fashion shoot at my college, using male students as models. The commissioning editor pitched up one morning, looked at the undergraduates desperately trying to look cool and asked contemptuously: “is this all there is?” The spectacle of the Labour leadership election reminds me of that question.

For me, the strongest element of the case against Corbyn is simply that there are so many stories of rank bad management – of, as Sunny says, “a level of incompetence that is frankly embarrassing.”  It’s not good enough to reply that such stories are exaggerated by Corbyn’s enemies: leadership is performative; if people say you’re a bad leader, you are.

In this context, there’s something worrying about his well-attended rallies: I fear they demonstrate a desire to stick within his comfort zone and preach to the choir, rather than undertake the necessary but harder job of winning over sceptics. This is the worst sort of stupidity – a lack of desire to learn.

It’s also in this context that I interpret his longstanding apologism for terrorists and tyrants. What worries me about this isn’t so much that it presages a lousy foreign policy but that it betokens bad judgment – thinking that doesn’t extend beyond “my enemy’s enemy is my friend”.

Many of you would add to this that Corbyn is “unelectable”. I discount such claims very heavily because we simply cannot predict the future: “electable” is often the whine of over-entitled centrists upset that a politician isn’t playing by their rules.

But I don’t discount them entirely, There’s a danger – maybe small but non-negligible – that a Corbyn victory would lead some to Labour MPs setting up as a separate party. Under the FPTP system, this would reduce the left’s chances of electoral success. The fact that the Corbyn camp are hopeful of avoiding this might tell us less about its probability and more about their overconfidence.

The case against Corbyn thus seems overwhelming.

But it isn’t.

For one thing, I see no evidence from Owen Smith’s behaviour or history that he is personally well-equipped to be leader. In fact, his frequent mis-speaking – the implicit homophobia in describing himself as “normal”, calling Corbyn as a “lunatic”, wanting negotiations with Isis – suggests a lack of judgment. Given that no Labour leader will ever get a fair ride in the media, this weakness matters.

And then there’s policy. The biggest fact here is that it’s not 1997 any more – a fact which, as Paul says, some of Corbyn’s critics haven’t grasped. Capitalism has changed radically in the last 20 years. We’ve seen dynamism replaced by stagnation, bond vigilantes by a safe asset shortage, and 90/10 inequality superseded by the rise of the 1%. All this requires a new form of leftist politics. Corbyn knows this. Granted, he might know it only in the way that a stopped clock is right twice a day, but this is good enough.

You might reply that Smith’s policy platform suggests that he grasps it too. I’m not so sure. He might simply be telling party members what they want to hear. There’s a danger that this same triangulation would lead Smith to move rightwards after being elected. This wouldn’t just be a betrayal of Labour members. It would also be a step away from economic literacy and back towards mediamacro and managerialism.

Yes, Smith might do a less bad job of uniting the PLP. But this could come at a cost – not just of worse policy but also a weakening of Labour as a mass party as those who have been inspired by Corbyn leave or become disillusioned.

One under-rated danger here is the generational divide. A Smith victory – if followed by a rightward retreat – would say to those younger people who have been energized by Corbyn: “politics is not for the likes of you; it’s just a Westminster bubble”. I don’t like the potential longer-term cultural effects of that.

Yes, a Smith leadership might – just might – see a slight improvement in Labour’s chances of winning a general election. But this comes at a high and dangerous price.

I can’t therefore support either candidate. You might think this is a plea for a more competent version of Corbyn. But it’s not clear that such a person exists. One rational solution to this would be to split the Labour leadership into a more collegiate form. I fear, however, that such a sensible move is precluded by our backward political and intellectual climate.

 

Né Smith né Corbyn,

di Chris Dillow

Nel passato 1986, qualcuno alla redazione di L’Uomo Vogue ebbe l’idea di fare un servizio fotografico di moda presso la mia università, usando come modelli studenti maschi. L’editore che l’aveva commissionato si presentò un mattino, diede un’occhiata agli studenti che cercavano disperatamente di apparire disinvolti e chiese con aria sprezzante: “È tutto quello che c’è?”. Lo spettacolo delle elezioni per la guida del Labour mi ricorda quella domanda.

Dal mio punto di vista, l’elemento più forte tra gli argomenti contro Corbyn è semplicemente che ci sono troppi racconti di completa gestione negativa – quello che Sunny definisce “un livello di incompetenza che è francamente imbarazzante”. Non basta replicare che tali storie sono state esagerate dagli avversari di Corbyn: la leadership è quello che si trasmette; se la gente dice che sei un cattivo dirigente, lo sei.

In questo contesto, c’è qualcosa di molto preoccupante nelle sue tanto attese manifestazioni pubbliche: ho paura che esse dimostrino un desiderio di restare all’interno del suo ambiente sicuro e di sfondare porte aperte, piuttosto che intraprendere il lavoro necessario ma più difficile di convincere gli scettici. Questo è il peggior genere di futilità – la mancanza di voglia di imparare.

È in questo stesso contesto che io interpreto le sue giustificazioni di lunga data per terroristi e tiranni. Quello che mi preoccupa in questo caso non è tanto che esse fanno prevedere una politica estera scadente, ma che fanno presagire un modo sbagliato di giudicare – fanno pensare che esso non andrà oltre il “chi è nemico del mio nemico è mio amico”.

In molti aggiungerebbero a questo che Corbyn è “ineleggibile”. Io non tengo in considerazione questi argomenti semplicemente perché non possiamo prevedere il futuro: il concetto di “idoneità ad essere eletti” è spesso il turbato lamento dei sopravvalutati centristi, per il quale un uomo politico non sta giocando secondo le loro regole.

Ma non li escludo per intero; c’è un pericolo – forse piccolo ma non trascurabile – che una vittoria di Corbyn possa portare alcuni parlamentari del Labour a fondare un partito separato. Con il sistema FPTP [1], questo ridurrebbe le possibilità di successo elettorale della sinistra. Il fatto che nel campo di Corbyn siano speranzosi di evitarlo ci dice di più sulla loro dose eccessiva di fiducia che non sulla sua probabilità che accada.

Gli argomenti contro Corbyn dunque sembrano schiaccianti.

Ma non è così.

Da una parte, io non vedo prove secondo le quali, per effetto del comportamento o della storia di Owen Smith, egli sia ben attrezzato ad essere il leader. Di fatto, il suo frequente parlare a vanvera – l’implicita omofobia nel presentarsi come “normale”, descrivendo Corbyn come un “lunatico” giacché vuole negoziati con l’ISIS – indica una povertà di giudizio. Dato che nessun leader del Labour avrà mai un trattamento imparziale nei media, questa debolezza è importante.

E poi c’è la politica. Il fatto più importante è che non siamo più al 1997 – un fatto che, come dice Paul [2], alcuni dei critici di Corbyn non hanno realizzato. Il capitalismo è cambiato radicalmente negli ultimi 20 anni. Abbiamo visto il dinamismo rimpiazzato dalla stagnazione, i ‘guardiani dei bond’ rimpiazzati da una mancanza di asset sicuri, e una ineguaglianza nella quale il 90 per cento si contrappone al 10 per cento è stata sostituita dall’ascesa dell’1 per cento dei ricchissimi. E tutto questo richiede una nuova forma di politica della sinistra. Corbyn questo lo sa. Certamente, lo sa solo nella forma nella quale un orologio fermo segna l’ora giusta due volte al giorno, ma questo è sufficientemente positivo.

Si potrebbe replicare che la piattaforma politica di Smith indica che pure lui lo comprende. Non ne sono così sicuro. Può darsi semplicemente che egli racconti ai membri del Partito quello che vogliono sentirsi dire. C’è un pericolo che questa medesima triangolazione porti, una volta eletto, Smith a spostarsi a destra. Questo non sarebbe solo un tradimento degli iscritti al Labour. Sarebbe anche un allontanamento dalla letteratura economica ed un ritorno verso l’economia raccontata dai media e l’ideologia imprenditorialista.

È vero, Smith potrebbe fare un lavoro meno cattivo nell’unire il Partito Parlamentare del Labour [3] (PLP). Ma questo potrebbe comportare un costo – non solo di una peggiore politica ma anche di un indebolimento del Labour come Partito di massa, nel momento in cui coloro che sono stati ispirati da Corbyn lasciassero o si demoralizzassero.

In questo caso, un pericolo sottovalutato è la divisione generazionale. Una vittoria di Smith – se seguita da un ripiegamento a destra – invierebbe ai più giovani che sono stati motivati da Corbyn il seguente messaggio: “La politica non è per gente come voi; è solo una faccenda di Westminster”. A me non piacciono i potenziali effetti di lungo termine di una cosa del genere.

È vero, una guida di Smith potrebbe – dico solo potrebbe – produrre un lieve miglioramento nelle possibilità di vittoria delle elezioni generali da parte del Labour. Ma questo avverrebbe ad un prezzo elevato e pericoloso.

Di conseguenza non posso sostenere nessuno dei due candidati. Si può pensare che questo sia una dichiarazione a favore di una versione più competente di Corbyn. Ma non è chiaro se una persona del genere esista. Una soluzione razionale sarebbe suddividere la leadership del Labour in una forma più collegiale. Ho il timore, tuttavia, che una tale mossa ragionevole sia preclusa dal nostro clima politico e intellettuale arretrato.

 

 

[1] FPTP deriva da “First-past-the-post”, che mi pare letteralmente significhi più o meno che è primo chi supera il traguardo, e comunque indica un sistema elettorale maggioritario a turno unico. Ovvero, in ogni determinato collegio elettorale (”costituency”), vince il candidato che prende anche un solo voto in più degli altri, anche con un percentuale inferiore al 50%, senza secondo turno e senza che i voti per gli altri candidati siano conteggiati – ai fini della aggiudicazione dei seggi – su scala nazionale.

[2] Paul Cotterill, un altro personaggio della sinistra inglese che in questi giorni si è pronunciato a favore di Corbyn.

[3] Ovvero, la sua componente parlamentare. Ma la sigla PLP (Parliamentary Labour Party) ha un significato sostanziale, giacché nella cultura politica inglese la componente parlamentare di un Partito – che noi diremmo dei ‘gruppi parlamentari’ –  serve a definirlo nella sua distinta esistenza dal Partito nella società nel suo complesso, con un grado di identità e di responsabilità distinto. Questo vale in particolare per il laburismo, nella cui storia il ‘partito parlamentare’ è venuto dopo il ‘partito della società’; al punto che quella definizione di ‘partito parlamentare’ non è utilizzata nello stesso modo per conservatori e liberali, che sono nati come ‘partiti parlamentari’. (Wikipedia)

 

 

 

 

 

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