SEP 10 9:25 AM
Right now, when not trying to do something about the political horror unfolding, I’m revising macro chapters and also preparing for several European speeches, including this one on macroeconomic lessons from recent experience. And I found myself returning to a theme I’ve touched on a few times over the years: it seems to me, all too often, that both economists and economic policymakers might actually have done a better job responding to the crisis if they has been using an old-fashioned theoretical toolkit, say what smart Keynesians believed circa 1970.
Lately I’ve found myself sort of putting a face on my hypothesis: I like to imagine how we would have responded if we were taking advice from a character I think of as “imaginary James Tobin.” And along the way I’ve found myself rereading some writings of actual James Tobin from the time; and it has been a revelation.
Let me focus in particular on Tobin’s 1972 presidential address to the American Economic Association, “Inflation and unemployment” (sorry, I don’t see an ungated version.) I remember how that address was seen among my fellow grad students a few later: it was seen as Tobin’s last stand, a desperate rearguard action in the debate with Milton Friedman over the natural rate hypothesis. And everyone knew that Friedman won that debate, vindicated by stagflation.
Except if you read Tobin again now, he’s the one who looks vindicated. He argues that the long-run Phillips curve probably isn’t vertical at low inflation, perhaps because of downward nominal wage rigidity combined with churn so that some labor markets are at that lower bound while others aren’t — exactly the framework Daly and Hobijn (who do cite Tobin) have applied recently. (Akerlof and Perry also made similar points in the 1990s.) And he offers an acute empirical observation to justify his position: the need to avoid
the empirically questionable implication of the usual natural rate hypothesis that unemployment rates only slightly higher than the critical rate will trigger ever-accelerating deflation. Phillips curves seem to be pretty flat at high rates of unemployment. During the great contraction of 1930-33, wage rates were slow to give way even in the face of massive unemployment and substantial deflation in consumer prices. Finally in 1932 and 1933 money wage rates fell more sharply, in response to prolonged unemployment, layoffs, shutdowns, and to threats and fears of more of the same.
Sure enough, the return of mass unemployment after 2008 didn’t produce much in the way of wage decline, except, finally, after years of Depression-level unemployment in Greece.
When talking about the things an earlier generation got more right than all too many modern macroeconomists, I usually focus on the demand side — on how IS-LM-type reasoning could and should have given people a pretty good read on monetary and fiscal policy. But on the aggregate supply side, too, the oldies were goodies.
Tobin aveva ragione (assolutamente per esperti)
In questo momento, non potendo far nulla sulla piega degli orribili avvenimenti politici in corso, sto rivisitando alcuni capitoli della macroeconomia e anche preparandomi per alcuni discorsi in Europa, incluso questo [1] sulle lezioni macroeconomiche che derivano dalla recente esperienza. E mi sono ritrovato a tornare su un tema che avevo toccato qualche volta nel corso degli anni: mi sembra, anche troppo di frequente, che sia gli economisti che le autorità economiche potrebbero effettivamente aver fatto un lavoro migliore nel rispondere alla crisi, se avessero usato una strumentazione teorica che un tempo andava di moda, ad esempio quello di cui i keynesiani intelligenti erano convinti ancora attorno al 1970.
Recentemente mi sono ritrovato come a dare un volto ad una mia ipotesi: mi piace immaginare come avremmo risposto se avessimo preso consigli da un personaggio al quale mi riferisco come ad un “immaginario James Tobin”. E lungo quel percorso mi sono ritrovato a rileggere alcuni scritti del vero James Tobin nel corso del tempo; ed è stata una rivelazione.
Consentitemi di concentrarmi in particolare sul discorso di indirizzo presidenziale alla Associazione Economica Americana di Tobin del 1972, “Inflazione e disoccupazione” (spiacente, non trovo una versione accessibile). Ricordo come quel discorso venne considerato poco tempo dopo dai miei compagni di corso: era letto come l’ultima presa di posizione di Tobin, una disperata azione di retroguardia nel dibattito con Milton Friedman sulla ipotesi del tasso naturale. E tutti consideravano che Friedman fosse uscito vincitore da quel dibattito, che fosse stato confermato dalla stagflazione.
Se però si legge nuovamente Tobin, è lui che appare confermato. Egli sostiene che la curva di Phillips nel lungo periodo probabilmente non è verticale, in condizioni di bassa inflazione, forse perché la rigidità dei salari verso il basso si unisce all’inconveniente per il quale alcuni mercati si collocano a quel limite più basso mentre altri no – esattamente il modello che Daly e Hobijn (che in effetti citano Tobin) hanno applicato di recente (anche Akerlof e Perry hanno avanzato argomenti simili negli anni ’90). Ed egli offre una acuta osservazione empirica per giustificare la sua posizione: il bisogno di evitare
“l’implicazione empiricamente discutibile della consueta ipotesi del tasso naturale, secondo la quale tassi di disoccupazione solo leggermente più alti del tasso critico innescherebbero una deflazione in continua accelerazione. Le curve di Phillips sembrano abbastanza piatte di fronte ad alti tassi di disoccupazione. Durante la grande contrazione del 1930-33, i tassi salariali furono lenti a cedere persino a fronte della disoccupazione massiccia e alla sostanziale deflazione dei prezzi al consumo. Alla fine, nel 1932 e nel 1933 i tassi salariali monetari caddero più bruscamente, in risposta alla disoccupazione prolungata, ai licenziamenti, alle chiusure, ed alle minacce e alla paura per cose simili.”
Certamente, il ritorno della disoccupazione di massa dopo il 2008 non ha prodotto molto nel senso del declino salariale, eccetto, alla fine, in Grecia dopo anni di disoccupazione al livello di una Depressione.
Quando si parla delle cose che una generazione precedente di macroeconomisti aveva compreso più giustamente di anche troppi economisti moderni, io in generale mi concentro sul lato della domanda – e su come un ragionamento del tipo il modello IS-LM potrebbe e dovrebbe aver dato alle persone una lettura abbastanza buona in materia di politica monetaria e della finanza pubblica. Ma anche sul lato dell’offerta aggregata, i bei tempi andati erano migliori.
[1] Il link è con un convegno del prossimo 20 settembre a Ginevra.
By mm
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