By Larry Summers
08/18/2016
John Williams has written the most thoughtful piece on monetary policy that has come out of the Fed in a long time. He recognizes more explicitly than others that r* (r-star), the neutral interest rate, is now very low and quite likely will remain very low for a long time to come. As he recognizes, this the essence of the secular stagnation concern that I and others have been expressing for the last 3 years.
I now believe that it just as reasonable to suppose that neutral rates will fall further as it is to suppose they will revert towards historically normal levels. First, there is a kind of hysteresis in rates in which a lower interest rate today tends to lower the neutral rate in the future. To the extent that low rates stimulate spending by pulling forward investment, low rates today reduce neutral rates tomorrow by moving investment forward. Second, major structural factors like rising inequality, slowing labor force growth, lower capital goods prices, slowing productivity growth and more capital outflows from developing countries appear to represent continuing trends. Third, there is the prospect that the growing expectation that rates will be low for a long time decreases the spending of target savers and interferes with financial intermediation.
Wlliams rightly if rather tentatively draws the conclusions that a chronically very low neutral rate has important policy implications. He stresses the desirability of raising r* by pursuing structural policies to raise growth and affirms the importance of fiscal policy. I yield to no one in my enthusiasm for improved education and educational opportunity but I do not think it is plausible that it will change the neutral rate appreciably in the next decade given that the vast majority of the 2030 labor force will be unaffected.
If Williams is overenthusiastic on education, he is under enthusiastic on fiscal stimulus. He fails to emphasize the supply side benefits of infrastructure investment that likely enable debt financed infrastructure investments to pay for themselves as suggested by DeLong and Summers and the IMF. Nor does he note at current interest rates an increase in pay as you go social security could provide households with higher safe returns than private investments. More generous Social Security would likely reduce the saving rate, thereby raising the neutral interest rate with no change in budget deficits. Nor does Williams address the possibility of tax measures such as incremental investment credits or expansions in the EITC financed by tax increases on those with a high propensity to save. The case for fiscal policy changes in the current low r*’environment seems to me overwhelming and much can be accomplished without any increase in deficits.
Williams comments on monetary policy have generated more interest. He makes the now familiar point that if negative real rates are sometimes desirable on counter cyclical grounds there is a strong argument for an inflation target high enough that the ZLB does not bind or binds only very infrequently. If the Fed believed that a 2 percent inflation target was appropriate at the beginning of 2012 when it believed the neutral real rate was above 2 percent, I cannot see any argument for not adjusting the target or altering the framework when the neutral real rate is very plausibly close to zero. The benefits of a higher target have increased and so far as I can see nothing has happened to change the cost of a higher target,
I am disappointed therefore that Williams is so tentative in his recommendations on monetary policy. I do understand the pressures on those in office to adhere to norms of prudence in what they say. But it has been years since the Fed and the markets have been aligned on the future path of rates or since the Fed’s forecasts of future rates have been even close to right. I cannot see how policy could go badly wrong by setting a level target of 4 to 5 percent growth in nominal GDP and think that there could be substantial benefits. (I expect to return to this topic in the not too distant future)
Moreover even accepting the current framework, I find the current policy framework hard to comprehend. If as it asserts, the Fed is serious about the 2 percent inflation target being symmetric there is an anomaly in its forecasts. Surely if, as the Fed forecasts, the economy enters a 10th year of recovery with unemployment below five percent inflation should be expected to be above 2 percent at that point. How else could inflation average 2 percent over time given the likelihood of downturns and recessions?
Finally there is this: Everything we know about business cycle history suggests an overwhelming likelihood that there will be downturns in the industrial world sometime in the next several years. Nowhere is there room to cut rates by anything like the normal 400 basis points in response to potential recession. This is the primary monetary and indeed macroeconomic policy challenge of our generation. I hope it will be very much in focus at Jackson Hole.
John Williams ha scritto l’articolo più meditato di politica monetaria, da lungo tempo uscito dagli ambienti della Fed. Egli riconosce più esplicitamente degli altri che lo r* (r-stella), il tasso di interesse neutrale [1], è oggi molto basso ed è abbastanza probabile che resti molto basso per lungo tempo. Come egli ammette, questa è la sostanza della preoccupazione della stagnazione secolare che io ed altri veniamo esprimendo negli ultimi tre anni.
A questo punto io credo che sia ragionevole supporre che i tassi di interesse neutrali scenderanno ulteriormente, così come si deve supporre che regrediranno in rapporto ai normali livelli storici. Anzitutto, c’è una specie di isteresi nei tassi per la quale un più basso tasso di interesse odierno tende a più bassi tassi neutrali nel futuro. Nella misura in cui i bassi tassi stimolano la spesa spingendo in avanti gli investimenti, i bassi tassi odierni riducono i tassi neutrali di domani spostando in avanti gli investimenti. In secondo luogo, importanti fattori strutturali come la crescente ineguaglianza, una crescita più lenta della forza lavoro, prezzi dei beni capitali più bassi, un rallentamento della crescita della produttività e maggiori flussi in uscita dei capitali dai paesi in via di sviluppo sembrano rappresentare tendenze destinate a proseguire. In terzo luogo, c’è la prospettiva che una attesa crescente di bassi tassi per un lungo periodo diminuisca la spesa dei risparmiatori di riferimento e interferisca con l’intermediazione finanziaria.
Williams giustamente, anche se con titubanza, ne trae le conclusioni che un tasso di interesse neutrale cronicamente molto basso abbia importanti implicazioni politiche. Egli sottolinea la desiderabilità di elevare il tasso neutrale perseguendo politiche strutturali che aumentino la crescita, e afferma l’importanza della politica della finanza pubblica. Io non sono secondo a nessuno nel mio entusiasmo per una migliore istruzione e per migliori opportunità educative, ma non penso che sia plausibile ipotizzare che esse cambieranno apprezzabilmente il tasso neutrale del prossimo decennio e che la grande maggioranza della forza lavoro nel 2030 ne risulterà influenzata.
Mentre Williams è più che entusiasta in materia di istruzione, è meno che entusiasta in materia di stimolazione della finanza pubblica. Egli rinuncia ad enfatizzare i benefici dal lato dell’offerta degli investimenti in infrastrutture, che probabilmente permetterebbero a tali investimenti finanziati col ricorso al debito di ripagarsi da soli, come suggerito da DeLong e Summers e dal FMI. Neppure egli ravvede ai tassi di interesse attuali un incremento nelle retribuzioni, dal momento che il ricorso alla previdenza sociale potrebbe assicurare alle famiglie rendimenti sicuri più elevati degli investimenti privati. Una Previdenza Sociale più generosa probabilmente ridurrebbe il tasso dei risparmi, di conseguenza elevando il tasso neutrale di interesse senza alcuna modifica nei deficit di bilancio. Williams neppure considera la possibilità di misure fiscali come i crediti crescenti sugli investimenti oppure una espansione degli EITC [2], finanziati con incrementi delle tasse su coloro che hanno una propensione più elevata al risparmio. A me sembra che l’argomento a favore di mutamenti nella politica della finanza pubblica sia schiacciante e si possa fare molto senza alcun incremento nei deficit.
I commenti di Williams sulla politica monetaria determinano maggiore interesse. Egli avanza l’argomento diventato familiare, secondo il quale se i tassi di interesse reali negativi sono talora desiderabili sul piano dei fondamenti ciclici, c’è un forte argomento a favore di un obbiettivo di inflazione sufficientemente alto, che il limite inferiore dello zero (dei tassi di interesse) non assicura o assicura solo raramente. Se la Fed riteneva che un obbiettivo di inflazione al 2 per cento fosse appropriato agli inizi del 2012, quando il tasso reale neutrale era attorno al 2 per cento, io non riesco a vedere alcun argomento per non correggere l’obbiettivo o non modificare il modello quando il tasso neutrale reale è molto plausibilmente vicino allo zero. I benefici di un tasso più elevato sono aumentati e per quello che posso osservare non è accaduto niente che modifichi il costo di un obbiettivo più alto.
Di conseguenza sono deluso dal fatto che Williams sia così timido nelle sue raccomandazioni di politica monetaria. Capisco le pressioni per coloro che sono in carica a restare aderenti a norme di prudenza in quello che dicono. Ma sono passati anni da quando la Fed ed i mercati si sono allineati sulla futura traiettoria dei tassi o da quando le previsioni della Fed sui futuri tassi sono state persino vicine al giusto. Non riesco a comprendere perché la politica sarebbe dannosamente sbagliata stabilendo un livello di obbiettivo dal 4 al 5 per cento di crescita del PIL nominale e penso che ci potrebbero essere benefici sostanziali (conto di tornare prossimamente su questo tema).
Inoltre, persino accettando lo schema oggi in voga, trovo che l’attuale modello politico sia difficile da comprendere. Se, come asserisce, la Fed è seria a proposito della simmetria del suo obbiettivo di inflazione del 2 per cento, c’è una anomalia nelle sue previsioni. Certamente, se l’economia entra, secondo le previsioni della Fed, nel decimo anno di ripresa con una disoccupazione al di sotto del 5 per cento, a quel punto ci si dovrebbe aspettare un tasso di inflazione superiore al 2 per cento. Come potrebbe altrimenti collocarsi nel corso del tempo il tasso medio di inflazione al 2 per cento, considerata la probabilità di declini e recessioni?
Infine si deve considerare questo aspetto: tutto quello che sappiamo sulla storia dei cicli economici indica una assoluta probabilità che ogni tanto ci saranno, nei prossimi anni, regressioni nel mondo industriale. In risposta a potenziali recessioni, non c’è in nessun posto lo spazio per un taglio nei tassi per qualcosa di simile ai 400 normali punti base. Questa è la sfida fondamentale per la politica monetaria e, in sostanza, per la politica macroeconomica. Spero che su essa ci si concentrerà adeguatamente a Jackson Hole [3].
[1] Per tasso di interesse neutrale, o naturale, si intende il tasso al quale il PIL è in crescita al suo tasso tendenziale e l’inflazione è stabile. Il concetto è attribuito all’economista svedese Knut Wicksell. Se al tasso neutrale o naturale il tasso di inflazione è stabile, questo comporta che l’economia opera sostanzialmente in condizioni di piena occupazione.
Si veda il post del 7 luglio 2014 dal titolo: “Non è Knut”, dove Krugman spiega la sostanziale somiglianza tra la concezione della politica monetaria keynesiana – secondo la quale una Banca Centrale dovrebbe in generale operare per tassi che favoriscano una condizione di piena occupazione – e quella di Wicksell (assai più antica, dato che visse tra il 1851 ed il 1926).
[2] Crediti di imposta per i lavoratori poveri.
[3] La tradizionale località nella quale si è svolto nei giorni seguenti l’articolo l’incontro annuale della Fed.
By mm
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