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Che ne dite del Pianeta? di Paul Krugman (New York Times 7 ottobre 2016)

 

What About the Planet?

Paul Krugman OCT. 7, 2016

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Our two major political parties are at odds on many issues, but nowhere is the gap bigger or more consequential than on climate.

If Hillary Clinton wins, she will move forward with the Obama administration’s combination of domestic clean-energy policies and international negotiation — a one-two punch that offers some hope of reining in greenhouse gas emissions before climate change turns into climate catastrophe.

If Donald Trump wins, the paranoid style in climate politics — the belief that global warming is a hoax perpetrated by a vast international conspiracy of scientists — will become official doctrine, and catastrophe will become all but inevitable.

So why does the media seem so determined to ignore this issue? Why, in particular, does it almost seem as if there’s a rule against bringing it up in debates?

Before I get there, a brief summary of the policy divide.

It’s strange how little credit the Obama administration gets for its environmental policies.

Everyone has heard about how loan guarantees to one solar-energy company, Solyndra, went sour — at a cost, by the way, that amounted to only a bit more than half the amount Mr. Trump personally lost in just one year thanks to bad business decisions. Few people, by contrast, have heard about the green energy revolution that the administration’s loans and other policy support helped promote, with plunging prices and soaring consumption of solar and wind power.

Nor have many heard about the administration’s tightening of fuel efficiency standards, especially for trucks and buses, which in itself is one of the most significant environmental moves in decades.

And if Mrs. Clinton wins, it’s more or less certain that the biggest moves yet — the Clean Power Plan, which would regulate emissions from power plants, and the Paris climate agreement, which commits all of the world’s major economies to make significant emission cuts — will become reality.

Meanwhile, there’s Mr. Trump, who has repeatedly called climate change a hoax and has suggested that it was invented by China to hurt U.S. competitiveness. I wish I could say that this puts him outside the mainstream of his party, but it doesn’t.

So there is a huge, incredibly consequential divide on climate policy. Not only is there a vast gap between the parties and their candidates, but this gap arguably matters more for the future than any of their other disagreements. So why don’t we hear more about it?

I’m not saying that there has been no reporting on the partisan climate divide, but there has been nothing like, say, the drumbeat of stories about Mrs. Clinton’s email server. And it’s really stunning that in the three nationally televised forums we’ve had so far — the “commander in chief” forum involving Mrs. Clinton and Mr. Trump, the first presidential debateand the vice-presidential debate — the moderators have asked not a single question about climate.

This was especially striking in Tuesday’s debate.

Somehow Elaine Quijano, the moderator, found time for not one but two questions inspired by the Committee for a Responsible Federal Budget — an organization concerned that despite relatively low budget deficits now and extremely low borrowing costs, the federal government may face fiscal problems a couple of decades down the line. There may be something to this, although not as much as deficit scolds claim (and Ms. Quijano managed to suggest that Mrs. Clinton’s proposals, which are fully paid for, are no better than Mr. Trump’s multitrillion-dollar debt blowout).

But if we’re worried about the longer-term implications of current policies, the buildup of greenhouse gases is a much bigger deal than the accumulation of low-interest debt. It’s bizarre to talk about the latter but not the former.

And this blind spot matters a lot. Polling suggests that millennial voters, in particular, care a lot about environmental protection and renewable energy. But it also suggests that more than 40 percent of young voters believe that there is no difference between the candidates on these issues.

Yes, I know, people should be paying more attention — but this nonetheless tells us how easy it is for voters who rely on TV news or don’t read stories deep inside the paper to miss what should be a central issue in this campaign.

The good news is that there are still two debates to go, offering the opportunity to make some amends.

It’s time to end the blackout on climate change as an issue. It needs to be front and center — and questions must be accompanied by real-time fact-checking, not relegated to the limbo of he-said-she-said, because this is one of the issues where the truth often gets lost in a blizzard of lies.

There is, quite simply, no other issue this important, and letting it slide would be almost criminally irresponsible.

 

Che ne dite del Pianeta? di Paul Krugman

New York Times 7 ottobre 2016

I nostri due maggiori partiti sono agli antipodi su molti temi, me su nessuno la differenza è più grande e più significativa quanto quello del clima.

Se vince Hillary Clinton, ella procederà nella combinazione della Amministrazione Obama di politiche interne di energia pulita e di negoziati internazionali – un ‘uno-due’ che offre qualche speranza di mettere sotto controllo le emissioni di gas serra prima che il cambiamento climatico si trasformi in una catastrofe climatica.

Se vince Donald Trump, lo stile paranoide applicato alla politica del clima – la convinzione che il riscaldamento globale sia una balla orchestrata da una ampia cospirazione internazionale di scienziati – diventerà la dottrina ufficiale, e la catastrofe diventerà quasi del tutto inevitabile.

Perché, dunque, i media appaiono così determinati ad ignorare questo tema? Perché, in particolare, sembra quasi che ci sia una regola per non farne menzione nei dibattiti?

Prima di arrivare a quel punto, un breve sommario su quella biforcazione della politica.

È strano quanto poco credito la Amministrazione Obama abbia ottenuto per le sue politiche ambientali.

Tutti hanno sentito parlare di come siano finiti male i prestiti assistiti dallo Stato ad un’unica società dell’energia solare, Solyndra – a un costo, per inciso, che corrispose a poco più della metà della somma che il signor Trump perse personalmente solo in un anno grazie alle sue cattive scelte negli affari. All’opposto, poche persone hanno sentito parlare della rivoluzione energetica verde che i prestiti ed altre politiche di sostegno della Amministrazione hanno contribuito a promuovere, con un crollo dei prezzi e una grande crescita dei consumi di energia solare ed eolica.

Neppure sono stati informati in molti della restrizione da parte della Amministrazione degli standard di efficienza, in particolare per camion e autobus, che costituisce di per sé una delle più significative iniziative ambientali da decenni.

E se la signora Clinton vincerà, è praticamente certo che iniziative ancora più importanti – il Programma dell’Elettricità Pulita, che regolerebbe le emissioni delle centrali elettriche, e l’accordo sul clima di Parigi, che impegna le economie principali a fare tagli significativi alle emissioni – diventeranno realtà.

Allo stesso tempo, c’è il signor Trump, che ha ripetutamente definito il cambiamento climatico come una bufala ed ha suggerito che sia stata inventata dalla Cina per colpire la competitività degli Stati Uniti. Vorrei poter dire che questo lo colloca fuori dall’opinione prevalente nel suo Partito, ma non è così.

Dunque c’è una divisione sulle politiche del clima incredibilmente significativa. Non solo c’è un grande divario tra i partiti ed i loro candidati, ma questo divario probabilmente, più di ogni altro disaccordo, ha un peso sul futuro. Perché, dunque, non ne sentiamo parlare?

Non sto dicendo che non ci siano stati resoconti su quella divisione in materia di clima tra i partiti, ma che non c’è stato niente di simile, ad esempio, al martellamento di racconti sul server delle email della Clinton. Ed è realmente stupefacente che nei tre incontri televisivi nazionali che abbiamo avuto sino a questo punto – l’incontro tra i “comandanti in capo” che ha impegnato la Clinton e Trump, il primo dibattito presidenziale ed il dibattito dei candidati alla vice-presidenza – i moderatori non abbiamo posto una sola domanda sul clima.

Questo è stato particolarmente sorprendente nel dibattito di martedì.

Elaine Quijano, la moderatrice, è riuscita a trovare il tempo non per una ma per due domande ispirate dal Comitato per un Bilancio Federale Responsabile – una organizzazione che si preoccupa che nonostante deficit di bilancio relativamente bassi e costi di indebitamento estremamente bassi, il Governo Federale possa doversi misurare con problemi della finanza pubblica entro un paio di decenni. Questo potrebbe avere un certo rilievo, sebbene non quello che le Cassandre dei deficit pretendono (e la signorina Quijano ha cercato di suggerire che le proposte della Clinton, che avrebbero piena copertura finanziaria, non siano migliori della abbuffata di debito per svariate migliaia di miliardi di dollari di Trump).

Ma se siamo preoccupati sulle implicazioni a più lungo termine delle politiche attuali, l’accumulo dei gas serra è una questione assai più grande della accumulazione di debiti a basso tasso di interesse. È bizzarro parlare della seconda e non della prima.

E questa zona di insensibilità è molto importante. I sondaggi indicano che le generazioni del nuovo millennio, in particolare, si preoccupano molto della protezione ambientale e delle energie rinnovabili. Ma indicano anche che un 40 per cento di elettori giovani crede che su tali temi non ci siano differenze tra i candidati.

È vero, gli elettori dovrebbero prestare maggiore attenzione – nondimeno questo ci dice quanto sia facile, per elettori che si basano sui notiziari televisivi e non leggono analisi approfondite sulla carta stampata, perdersi quello che dovrebbe essere un tema centrale di questa campagna.

La buona notizia è che ci saranno ancora due dibattiti prossimamente, che offrono l’opportunità di qualche correzione.

È tempo di farla finita con la censura del cambiamento climatico come tema di confronto. Esso deve essere collocato in prima linea – e le domande debbono essere accompagnate da verifiche di attinenza ai fatti condotte in tempo reale, non relegate nel limbo di un mero resoconto di opinioni personali, dato che questa è una tematica nella quale la verità spesso si perde in una bufera di bugie.

Per dirla molto semplicemente, non c’è nessun altro tema di questa importanza, e lasciarlo scivolar via sarebbe, in modo quasi criminale, da irresponsabili.

 

 

 

 

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