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L’ultimo sussulto della globalizzazione, di Barry Eichengreen (da Project Syndicate, 17 novembre 2016)

NOV 17, 2016

 

Globalization’s Last Gasp

BARRY EICHENGREEN

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LONDON – Does Donald Trump’s election as United States president mean that globalization is dead, or are reports of the process’ demise greatly exaggerated? If globalization is only partly incapacitated, not terminally ill, should we worry? How much will slower trade growth, now in the offing, matter for the global economy?

World trade growth would be slowing down, even without Trump in office. Its growth was already flat in the first quarter of 2016, and it fell by nearly 1% in the second quarter. This continues a prior trend: since 2010, global trade has grown at an annual rate of barely 2%. Together with the fact that worldwide production of goods and services has been rising by more than 3%, this means that the trade-to-GDP ratio has been falling, in contrast to its steady upward march in earlier years.

This disturbing trajectory, argue the mavens of globalization, reflects the resurgent protectionism manifest in popular opposition to the Trans-Pacific Partnership (TPP) and the Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), and now in Trump’s electoral victory. It means that the benefits of openness and specialization are being squandered.

Causality in economics may be elusive, but in this case it is clear. So far, slower trade growth has been the result of slower GDP growth, not the other way around.

This is particularly evident in the case of investment spending, which has fallen sharply since the global financial crisis. Investment spending is trade-intensive, because countries rely disproportionately on a relatively small handful of producers, like Germany, for technologically sophisticated capital goods.

In addition, slower trade growth reflects China’s economic deceleration. Until 2011 China was growing at double-digit rates, and Chinese exports and imports were growing even faster. China’s growth has now slowed by a third, leading to slower growth of Chinese trade.

China’s growth miracle, benefiting a fifth of the earth’s population, is the most important economic event of the last quarter-century. But it can happen only once. And now that the phase of catch-up growth is over for China, this engine of global trade will slow.

The other engine of world trade has been global supply chains. Trade in parts and components has benefited from falling transport costs, reflecting containerization and related advances in logistics. But efficiency in shipping is unlikely to continue to improve faster than efficiency in the production of what is being shipped. Already, motor-vehicle manufacturers ship an automotive transmission back and forth across the US-Mexican border several times in the course of production. At some point, unpacking that production process still further will reach the point of diminishing returns.

So should we worry that trade is growing more slowly? Yes, but only in the sense that a doctor worries when a patient runs a fever. Fever is rarely life-threatening; rather, it is a symptom of an underlying condition. In this case, the condition is slow economic growth, also known as secular stagnation, caused by depressed investment, which in turn reflects financial problems and policy uncertainty.

This, then, is the underlying condition. Trade agreements like the TPP and TTIP address it only obliquely. Increased spending on infrastructure by governments, to boost investment and growth directly, is more to the point. But whether the Trump administration and the new US Congress can design and implement a program of productive infrastructure spending remains to be seen.

More generally, a political consensus is needed on growth-promoting policies, so that investment is not held hostage to political infighting. Whether this will be possible under Trump’s administration is another open question.

The story for cross-border flows of financial capital is even more dramatic. Gross capital flows – the sum of inflows and outflows – are not just growing more slowly; they are down significantly in absolute terms from 2009 levels.

But dramatic is not the same as alarming. In fact, it is mainly cross-border bank lending and borrowing that have fallen. Foreign direct investment – financial flows to build foreign factories and acquire foreign companies – remains at pre-crisis levels. So do cross-border borrowing and lending through stock and bond markets.

This difference reflects regulation. Having concluded, rightly, that cross-border bank lending is especially risky, regulators clamped down on banks’ international operations. In response, many banks curtailed their cross-border business. But, rather than alarming anyone, this should be seen as reassuring, because the riskiest forms of international finance have been curtailed without disrupting more stable and productive forms of foreign investment.

We now face the prospect of the US government revoking the Dodd-Frank Act and rolling back the financial reforms of recent years. Less stringent financial regulation may make for the recovery of international capital flows. But we should be careful what we wish for.

 

L’ultimo sussulto della globalizzazione,

di Barry Eichengreen

 LONDRA – L’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti significa che la globalizzazione è morta, oppure i resoconti sulla scomparsa di quel processo sono grandemente esagerati? Dovremmo preoccuparci se la globalizzazione è solo parzialmente inabilitata, e non è una malattia alla fase terminale? Quanto sarà importante per l’economia globale una crescita commerciale più lenta, che adesso è nell’aria?

La crescita del commercio globale sarebbe rallentata, anche senza Trump in carica. Essa era già piatta nel primo trimestre del 2016, ed è caduta di quasi l’1 per cento nel secondo trimestre. Si tratta di una prosecuzione di una tendenza precedente: a partire dal 2010 il commercio globale è cresciuto appena di un tasso annuale del 2%. Se si considera che la produzione mondiale di beni e servizi sta crescendo a un ritmo superiore al 3%, questo significa che il rapporto tra commercio e PIL sta calando, in contrasto con il suo regolare avanzamento degli anni precedenti.

La allarmante traiettoria, sostengono gli esperti della globalizzazione, riflette il rinascente protezionismo manifesto nell’opposizione popolare agli accordi della Cooperazione del Transpacifico e della Cooperazione commerciale e degli investimenti del Transatlantico, e adesso nella vittoria elettorale di Trump. Esso significa che i benefici della apertura e della specializzazione sono stati dilapidati.

Il rapporto di causa in economia può essere sfuggente, ma in questo caso è chiaro. Sino ad oggi la più lenta crescita commerciale è stata il risultato di una crescita più lenta del PIL, non il contrario.

Questo è particolarmente evidente nel caso della spesa per investimenti, che è caduta bruscamente a partire alla crisi finanziaria globale. La spesa per investimenti ha una elevata concentrazione nel settore commerciale, giacché paesi come la Germania si basano in modo sproporzionato su una manciata relativamente piccola di produttori, per beni capitali tecnologicamente sofisticati.

In aggiunta, la più lenta crescita commerciale riflette la decelerazione economica della Cina. Sino al 2011 la Cina stava crescendo con tassi a due cifre, e le esportazioni e importazioni cinesi stavano crescendo persino più velocemente. La crescita della Cina è ora rallentata di un terzo, inducendo una crescita più lenta del commercio cinese.

Il miracolo della crescita della Cina, beneficiando un quinto della popolazione del pianeta, è l’evento economico più importante dell’ultimo quarto di secolo. E adesso che per la Cina la fase della crescita conseguente al mettersi al passo con le tecnologie è superata, questo motore del commercio mondiale rallenterà.

L’altro motore del commercio mondiale sono state le catene globali dell’offerta. Il commercio in parti e componenti ha beneficiato della caduta del costo dei trasporti, in riflesso alla containerizzazione ed ai connessi avanzamenti nella logistica. Ma è improbabile che l’efficienza nelle spedizioni continui a migliorare più velocemente dell’efficienza nella produzione di quello che viene spedito. Già oggi, le aziende manifatturiere dei veicoli a motore spediscono più volte avanti e indietro, nel corso della produzione, un sistema di trasmissione automobilistico attraverso il confine tra Stati Uniti e Messico. A un qualche momento, spacchettare ancora di più quel processo produttivo raggiungerà il punto dei rendimenti decrescenti.

Dovremmo essere preoccupati che il commercio stia crescendo più lentamente? Sì, ma solo nel senso in cui un dottore si preoccupa quando un paziente ha la febbre. Raramente la febbre è una minaccia per la vita, essa è un sintomo di condizioni sottostanti. In questo caso, la condizione è la lenta crescita economica, anche nota come stagnazione secolare, provocata da una depressione degli investimenti, che a sua volta riflette problemi finanziari e incertezza politica.

Queste, poi, sono le condizioni sottostanti. Gli accordi commerciali come il TPP e il TTIP si rivolgono ad esse in modo solo indiretto. Accrescere la spesa sulle infrastrutture da parte dei Governi, al fine di incoraggiare direttamente gli investimenti e la crescita, è più congruo. Ma resta da vedere se la Amministrazione Bush e il nuovo Congresso degli Stati Uniti saranno capaci di immaginare e mettere in atto un programma di spesa produttiva sulle infrastrutture.

Più in generale, è necessario un consenso politico su politiche di promozione della crescita, in modo tale che gli investimenti non siano tenuti in ostaggio dalle controversie politiche. Se questo sarà possibile sotto l’Amministrazione Trump, è un’altra questione aperta.

La storia relativa ai flussi di capitale finanziario internazionali è anche più spettacolare. I flussi lordi di capitali – la somma dei flussi in arrivo e in uscita – non stanno solo crescendo più lentamente; essi sono scesi in modo significativo in termini assoluti dai livelli del 2009.

Ma la spettacolarità non è la stessa cosa dell’allarme. Nei fatti, sono scesi principalmente i prestiti e i crediti bancari oltre frontiera. Gli investimenti stranieri diretti – i flussi finanziari per costruire stabilimenti ed acquistare società all’estero – restano ai livelli precedenti alla crisi. Lo stesso vale per i prestiti ed i crediti attraverso i mercati azionari ed obbligazionari.

Questa differenza riflette i regolamenti. Essendo giunti alla giusta conclusione che in particolare i prestiti oltre-frontiera sono rischiosi, i regolatori hanno dato un giro di vite alle operazioni internazionali delle banche. Ma piuttosto che allarmare, questo dovrebbe essere considerato rassicurante, giacché le forme più rischiose della finanza internazionale sono state ridimensionate senza distruggere forme più stabili e produttive di investimento estero.

Siamo adesso di fronte alla prospettiva che il Governo degli Stati Uniti revochi la Legge Dodd-Frank e ridimensioni le riforme finanziarie degli anni passati. Regolamenti finanziari meno stringenti possono sortire l’effetto di una ripresa dei flussi internazionali dei capitali. Ma dovremmo essere attenti a quello che è auspicabile.

 

 

 

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