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Gli stati stazionari del commercio (per esperti) (dal blog d Krugman, 31 ottobre 2016)

 

OCT 31 10:32 AM

Trade Plateaus (Wonkish)

 

Trade as share of GDP: define

ν = (1+τ/α) -(σ-1) (1+t)-σ

Then import share is ν/(1+ν)

Binyamin Appelbaum has a nice piece about the stall in world trade growth, which I (and many others) have been tracking for a while. And I thought I’d write a bit more about this, if only to serve as a much-needed distraction from the election.

If there’s a problem with the Appelbaum piece, it is that on casual reading it might seem to suggest that slowing trade growth is (a) necessarily the result of protectionism and (b) necessarily a bad thing. Neither of these is right.

I found myself thinking about this some years ago, when teaching trade policy at the Woodrow Wilson School. I was very struck by a paper by Taylor et al on the interwar decline in trade, which argued that much of this decline reflected rising transport costs, not protectionism. But how could transport costs have gone up? Was there technological regress?

The answer, as the paper correctly pointed out, is that real transport costs will rise even if there is continuing technological progress, as long as that progress is slower than in the rest of the economy.

To clear that story up in my own mind, I wrote up a little toy model, contained in these class notes from sometime last decade (?). Pretty sure I wrote them before the global trade stagnation happened, but they’re a useful guide all the same.

As I see it, we had some big technological advances in transportation — containerization, probably better communication making it easier to break up the value chain; plus the great move of developing countries away from import substitution toward export orientation. (That’s a decline in tau and t in my toy model.) But this was a one-time event. Now that it’s behind us, no presumption that trade will grow faster than GDP. This need not represent a problem; it’s just the end of one technological era.

It is kind of ironic that globalization seems to be plateauing just as the political backlash mounts. But we’re not going to talk about the election.

 

Gli stati stazionari del commercio (per esperti)

 

Determinare il commercio come quota del PIL:

ν = (1+τ/α) -(σ-1) (1+t)-σ

Quindi, la quota delle importazioni sarà:  ν/(1+ν)

[1]

Binyamin Appelbaum ha un bell’articolo sullo stallo della crescita del commercio mondiale, tema che io (e molti altri) stiamo seguendo da un po’. Ed ho pensato di scrivere qualcosa in più su questo, se non altro come distrazione dalle elezioni.

Se c’è un problema nell’articolo di Appelbaum, è che ad una lettura superficiale potrebbe sembrare che esso suggerisca che il rallentamento della crescita del commercio è: a) necessariamente il risultato del protezionismo; b) obbligatoriamente una cosa negativa. Nessuna di queste due cose è giusta.

Mi ritrovai a ragionare di questo alcuni anni orsono, quando insegnavo politica del commercio alla Woodrow Wilson School. Ero molto colpito da un saggio di Taylor ed altri sul declino del commercio tra le due Guerre, nel quale si sosteneva che buona parte di questi declino rifletteva la crescita dei costi di trasporto, non il protezionismo. Ma come potevano essere saliti i costi di trasporto? C’era stato un regresso tecnologico?

La risposta, come il saggio correttamente metteva in evidenza, è che il costo reale del trasporto sale anche se c’è un progresso tecnologico ininterrotto, finché quel progresso è più lento che nel resto dell’economia.

Per chiarire quella storia nella mia mente, elaborai quasi per gioco un piccolo modello, contenuto in questi appunti per una lezione che tenni in qualche occasione nel decennio passato (?). è abbastanza certo che li scrissi prima che avvenisse la stagnazione globale nel commercio, ma sono egualmente una guida utile.

Per come comprendo, abbiamo avuto alcuni grandi avanzamenti tecnologici nei trasporti – la containerizzazione, probabilmente una migliore comunicazione che rende più facile interrompere la catena del valore; inoltre la grande evoluzione dei paesi in via di sviluppo dalla sostituzione delle importazioni verso l’orientamento alle esportazioni. Ma si trattò di un evento singolo. Ora che è alle nostre spalle, non c’è alcun indizio che il commercio crescerà più rapidamente del PIL. Non è necessario considerarlo un problema: è solo la fine di un’epoca tecnologica.

È abbastanza comico che la globalizzazione pare sia entrata in una fase stazionaria proprio mentre crescono la reazioni politiche. Ma non abbiamo intenzione di parlare di elezioni.

 

 

 

[1]  Sulla base degli appunti della lezione – alla quale Krugman fa riferimento successivamente come fonte di questo modello – provo, se non a interpretarlo o far finta di aver compreso precisamente, almeno a riportare il significato dei singoli segni e a tradurre la tabella.

Il titolo è: “Determinare il commercio come quota del PIL”. Si presuppongono due paesi simmetrici, ciascuno specializzato nella produzione di un categoria di beni. I beni entrano in modo simmetrico nel processo di utilizzazione: σ esprime l’elasticità di sostituzione tra i beni simili. Un fattore della produzione è il lavoro; α esprime le unità di lavoro necessarie a produrre un bene in ciascun paese; τ le unità di lavoro necessarie per trasportare quel bene all’altro paese. Entrambi i paesi hanno tariffe ad valorem – ovvero imposte messe a carico del bene sulla base del suo valore e non in quota fissa sulla base della sua quantità – espresse dal tasso t.

Dunque, si spiega nella lezione, la percentuale di importazioni rispetto al consumo del bene domestico sarà:

[(1+τ/α)(1+t)]-σ

La definizione del commercio come quota del PIL è espressa da questa formula:

ν = (1+τ/α) -(σ-1) (1+t)-σ

Quindi, la quota delle importazioni è:

ν/(1+ν)

Laddove, in condizioni di nessun costo di trasporto e di libero commercio, il risultato sarebbe ν=1/2 mentre più alte sono le tariffe o i dazi, più bassa è la quota delle importazioni.

Krugman conclude (oltre a varie tabelle statistiche illustrative) in questo modo: “I costi di trasporto reali τ/α scendono soltanto se il progresso tecnologico nel trasporto è più veloce di quello nel resto dell’economia”.

 

 

 

 

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