OCTOBER 28, 2016 12:02 PM
Both Ross Douthat and David Brooks have now weighed in on the state of conservative intellectuals; both deserve credit for taking a critical look at their team.
But — of course there’s a but — I’d argue that they and others on the right still have huge blind spots. In fact, these blind spots are so huge as to make the critiques all but useless as a basis for reform. For if you ignore the true, deep roots of the conservative intellectual implosion, you’re never going to make a real start on reconstruction.
What are these blind spots? First, belief in a golden age that never existed. Second, a simply weird refusal to acknowledge the huge role played by money and monetary incentives promoting bad ideas.
On the first point: We’re supposed to think back nostalgically to the era when serious conservative intellectuals like Irving Kristol tried to understand the world, rather than treating everything as a political exercise in which ideas were just there to help their team win.
But it was never like that. Don’t take my word for it; take the word of Irving Kristol himself, in his book “Neoconservatism: The Autobiography of an Idea.” Kristol explained his embrace of supply-side economics in the 1970s: “I was not certain of its economic merits but quickly saw its political possibilities.” This justified a “cavalier attitude toward the budget deficit and other monetary or financial problems”, because “political effectiveness was the priority, not the accounting deficiencies of government.”
In short, never mind whether it’s right, as long as it’s politically useful. When David complains that “conservative opinion-meisters began to value politics over everything else,” he’s describing something that happened well before Reagan.
But shouldn’t there have been some reality checks along the way, with politically convenient ideas falling out of favor because they didn’t work in practice? No — because being wrong in the right way has always been a financially secure activity. I see this very clearly in economics, where there are three kinds of economists: liberal professional economists, conservative professional economists, and professional conservative economist — the fourth box is more or less empty, because billionaires don’t lavishly support hacks on the left.
Again, how can you even begin to talk about conservative intellectuals without discussing the founding of Heritage in 1973, or the roughly contemporaneous weaponizing of AEI as a political entity? Heritage in particular is flamboyantly incompetent on economics — remember the claim that the Ryan plan would reduce unemployment to 2.8 percent, or the chief economist’s complete botch on state job growth? But no matter: the foundation has plenty of money, because it advocates huge tax cuts for the rich, and the demand for that never goes away.
Remember, too, that climate denial is essentially an industry, funded by interest groups with a stake in promoting bad science. And this means a market for conservative “intellectuals” who are basically anti-science.
The point is that the intellectual side of movement conservatism has been a corrupt enterprise for around four decades. In its early years it could draw on right-wing intellectuals who had some prior reputation outside political work, but it has relied on home-grown hacks for a long time. I don’t see any reason to believe that such an enterprise is about to reform itself: if just being wrong and losing an election were enough, this would have happened in the 1990s.
Intellettuali conservatori: la pista dei soldi
Sia Ross Douthat che David Brooks sono appena intervenuti sul tema della condizione degli intellettuali conservatori; meritano entrambi riconoscenza per le osservazioni fondamentali che forniscono ai loro colleghi.
Ma – naturalmente c’è un ma – direi che loro, assieme ad altre persone della destra, hanno ancora una visuale assai limitata [1]. Di fatto, questa visuale è così limitata la rendere quelle critiche del tutto inutili, come base di una riforma. Perché se si ignora la verità, le radici profonde della implosione dell’intellettuale conservatore, non si riuscirà mai a far ripartire nei fatti una ricostruzione.
Cos’è questa visuale limitata? In primo luogo, la fiducia in un’età aurea che non è mai esistita. In secondo luogo, il rifiuto di riconoscere la grande funzione giocata dal denaro e dagli incentivi monetari nel promuovere le idee cattive.
Sul primo punto: si pensava di poter ricordare con nostalgia l’epoca nella quale gli intellettuali conservatori come Irving Kristol si sforzavano di capire il mondo, piuttosto che trattare ogni cosa come una esercitazione politica nella quale le idee servono soltanto a far vincere la propria squadra.
Ma non è mai stato così. Non perché lo dico io; considerate le parole di Irving Kristol stesso, nel suo libro “Il neoconservatorismo: autobiografia di un’idea”. Kristol spiega il modo in cui abbracciò l’idea dell’economia dal lato dell’offerta negli anni ’70: “Io non ero certo dei suoi meriti economici, ma mi accorsi presto delle sue possibilità politiche”. Questo giustificava un “atteggiamento sprezzante verso i deficit di bilancio e gli altri problemi monetari o finanziari”, giacché “la priorità era l’efficacia politica, non le deficienze contabili del Governo”.
In breve, non contava se era giusto, finché era politicamente utile. Quando David[2] si lamenta che “i maggiori opinionisti conservatori hanno cominciato a considerare la politica sopra ogni altra cosa”, sta descrivendo qualcosa che accadde ben prima di Reagan.
Ma non avrebbe dovuto esserci lungo il percorso qualche riscontro nei fatti, per il quale le idee politicamente convenienti sarebbero cadute in disgrazia perché, in pratica, non funzionavano? No – perché aver torto in modi opportuni è sempre stata una attività finanziariamente sicura. Me ne accorgo molto chiaramente in economia, dove ci sono tre tipi di economisti: gli economisti professionisti progressisti, gli economisti professionisti conservatori e gli economisti conservatori di professione (il quarto raggruppamento è più o meno vuoto, perché i miliardari non sostengono profumatamente i pennivendoli di sinistra).
Ancora, come è possibile addirittura cominciare a parlare degli intellettuali conservatori senza discutere la fondazione di Heritage nel 1973, oppure la militarizzazione, all’incirca contemporanea, dell’American Enterprise Institute come entità politica? In particolare Heritage è clamorosamente incompetente in economia – si ricordi la pretesa secondo la quale il programma di Ryan avrebbe ridotto la disoccupazione al 2,8 per cento, oppure l’assoluto pasticcio del suo capo economista sulla crescita dei posti di lavoro al livello degli Stati. Ma non conta; la Fondazione Heritage ha abbondanza di soldi, perché sostiene grandi sgravi fiscali per i ricchi, e tale richiesta non perde mai di attualità.
Si ricordi anche che il negazionismo in materia di clima è in sostanza un settore economico, finanziato dalla convenienza di vari gruppi che hanno interesse a promuovere una scienza da due soldi. E questo significa un mercato per gli “intellettuali” conservatori, che sono fondamentalmente ostili alla scienza.
Il punto è che il settore intellettuale del movimento conservatore è stato una impresa corrotta per circa quattro decenni. Nei suoi primi anni esso poteva attingere a intellettuali di destra che avevano qualche precedente reputazione fuori dalla attività politica, ma da molto tempo esso di basa su scribacchini allevati in batteria. Non vedo una ragione per credere che una tale consorteria possa occuparsi di riformare sé stessa: se solo sbagliare e perdere una elezione fosse sufficiente, questo sarebbe potuto accadere negli anni ’90.
[1] “Blind spot” – letteralmente ‘punto cieco’ – è una piccola area dell’occhio, dove si innerva nel nervo ottico, insensibile alla luce. Può anche valere più genericamente per uno specchietto retrovisore, anche se del punto cieco non dovrebbe essere responsabile lo specchietto, ma sempre l’occhio.
[2] David Brooks, giornalista del New York Times di orientamento moderato, che è uno dei due soggetti con i quali questo post interloquisce.
By mm
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