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Lo sconcerto del populismo, di Paul Krugman (New York Times 25 novembre 2016)

 

The Populism Perplex

Paul Krugman NOV. 25, 2016

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Hillary Clinton won the popular vote by more than two million, and she would probably be president-elect if the director of the F.B.I. hadn’t laid such a heavy thumb on the scales, just days before the election. But it shouldn’t even have been close; what put Donald Trump in striking distance was overwhelming support from whites without college degrees. So what can Democrats do to win back at least some of those voters?

Recently Bernie Sanders offered an answer: Democrats should “go beyond identity politics.” What’s needed, he said, are candidates who understand that working-class incomes are down, who will “stand up to Wall Street, to the insurance companies, to the drug companies, to the fossil fuel industry.”

But is there any reason to believe that this would work? Let me offer some reasons for doubt.

First, a general point: Any claim that changed policy positions will win elections assumes that the public will hear about those positions. How is that supposed to happen, when most of the news media simply refuse to cover policy substance? Remember, over the course of the 2016 campaign, the three network news shows devoted a total of 35 minutes combined to policy issues — all policy issues. Meanwhile, they devoted 125 minutes to Mrs. Clinton’s emails.

Beyond this, the fact is that Democrats have already been pursuing policies that are much better for the white working class than anything the other party has to offer. Yet this has brought no political reward.

Consider eastern Kentucky, a very white area which has benefited enormously from Obama-era initiatives. Take, in particular, the case of Clay County, which the Times declared a few years ago to be the hardest place in America to live. It’s still very hard, but at least most of its residents now have health insurance: Independent estimates say that the uninsured rate fell from 27 percent in 2013 to 10 percent in 2016. That’s the effect of the Affordable Care Act, which Mrs. Clinton promised to preserve and extend but Mr. Trump promised to kill.

Mr. Trump received 87 percent of Clay County’s vote.

Now, you might say that health insurance is one thing, but what people want are good jobs. Eastern Kentucky used to be coal country, and Mr. Trump, unlike Mrs. Clinton, promised to bring the coal jobs back. (So much for the idea that Democrats need a candidate who will stand up to the fossil fuels industry.) But it’s a nonsensical promise.

Where did Appalachia’s coal mining jobs go? They weren’t lost to unfair competition from China or Mexico. What happened instead was, first, a decades-long erosion as U.S. coal production shifted from underground mining to strip mining and mountaintop removal, which require many fewer workers: Coal employment peaked in 1979, fell rapidly during the Reagan years, and was down more than half by 2007. A further plunge came in recent years thanks to fracking. None of this is reversible.

Is the case of former coal country exceptional? Not really. Unlike the decline in coal, some of the long-term decline in manufacturing employment can be attributed to rising trade deficits, but even there it’s a fairly small fraction of the story. Nobody can credibly promise to bring the old jobs back; what you can promise — and Mrs. Clinton did — are things like guaranteed health care and higher minimum wages. But working-class whites overwhelmingly voted for politicians who promise to destroy those gains.

So what happened here? Part of the answer may be that Mr. Trump had no problems with telling lies about what he could accomplish. If so, there may be a backlash when the coal and manufacturing jobs don’t come back, while health insurance disappears.

But maybe not. Maybe a Trump administration can keep its supporters on board, not by improving their lives, but by feeding their sense of resentment.

For let’s be serious here: You can’t explain the votes of places like Clay County as a response to disagreements about trade policy. The only way to make sense of what happened is to see the vote as an expression of, well, identity politics — some combination of white resentment at what voters see as favoritism toward nonwhites (even though it isn’t) and anger on the part of the less educated at liberal elites whom they imagine look down on them.

To be honest, I don’t fully understand this resentment. In particular, I don’t know why imagined liberal disdain inspires so much more anger than the very real disdain of conservatives who see the poverty of places like eastern Kentucky as a sign of the personal and moral inadequacy of their residents.

One thing is clear, however: Democrats have to figure out why the white working class just voted overwhelmingly against its own economic interests, not pretend that a bit more populism would solve the problem.

 

Lo sconcerto del populismo, di Paul Krugman

New York Times 25 novembre 2016

Hillary Clinton si è aggiudicata il voto popolare per più di due milioni di elettori, e probabilmente sarebbe la Presidente eletta se il direttore dell’FBI non avesse messo il suo dito pesante sulla bilancia, solo pochi giorni prima delle elezioni. Ma non dovrebbe essere stato neanche un risultato di misura: quello che ha collocato Donald Trump ad un impressionante distacco è stato il sostegno schiacciante da parte degli elettori bianchi senza titoli di studio. Dunque, cosa possono fare i democratici per recuperare almeno alcuni di quegli elettori?

Di recente Bernie Sanders ha offerto una risposta: i democratici dovrebbero “andare oltre la politica delle identità”. Quello che è necessario, ha detto, sono candidati che capiscano che i redditi della classe lavoratrice sono scesi, che siano disponibili “a scendere in campo contro Wall Street, contro le società assicuratrici, le compagnie farmaceutiche, l’industria dei combustibili fossili”.

Ma c’è una qualche ragione per credere che questo funzionerebbe? Lasciatemi esporre alcune ragioni per dubitarlo.

Anzitutto, un aspetto generale: ogni argomento secondo il quale posizioni politiche diverse avrebbero vinto le elezioni si basa sull’assunto che l’opinione pubblica ascolti quelle posizioni. Come si suppone che accada, quando la maggioranza dei media dell’informazione semplicemente si rifiuta di dar conto della sostanza della politica? Si tenga a mente che nel corso della campagna elettorale del 2016, gli spettacoli delle tre reti dei notiziari hanno dedicato un totale complessivo di 35 minuti ai temi programmatici – a tutti i temi programmatici. Nel frattempo, dedicavano 125 minuti alle email della Clinton.

Oltre a ciò, il fatto è che i democratici stanno già perseguendo politiche che sono molto migliori per la classe lavoratrice bianca di tutto quello che l’altro partito ha da offrire. Tuttavia, questo non ha comportato alcun riconoscimento politico.

Si consideri l’area orientale del Kentucky, una zona con una grande maggioranza di bianchi che ha beneficiato grandemente delle iniziative dell’epoca di Obama. Si prenda in particolare il caso di Clay County, che il Times alcuni anni fa dichiarò essere il posto dove vivere è più difficile in tutta l’America. Viverci è ancora molto difficile, ma almeno la maggioranza dei suoi residenti hanno adesso l’assicurazione sanitaria: stime indipendenti dicono che il tasso dei non assicurati è sceso dal 27 per cento del 2013 al 10 per cento del 2016. Questo è l’effetto della Legge sulla Assistenza Sostenibile, che la Clinton aveva promesso di difendere mentre Trump ha promesso di liquidare.

Trump ha ricevuto l’87 per cento dei voti di Clay County.

Ora, si può dire che l’assicurazione sanitaria è pur qualcosa, ma che quello che la gente vuole sono buoni posti di lavoro. L’area orientale del Kentucky era nota come un paese del carbone, e Trump, diversamente dalla Clinton, ha promesso di riportare i posti di lavoro nel carbone (e questo è quanto, a proposito dell’idea che i democratici avrebbero bisogno di un candidato che prenda posizione contro l’industria dei combustibili fossili). Ma quella è una promessa priva di senso.

Dove sono andati a finire i posti di lavoro nelle miniere di carbone degli Appalachi? Non sono stati persi per la disonesta competizione da parte della Cina o del Messico. Quello che invece è successo è, anzitutto, una erosione durata decenni della produzione di carbone degli Stati Uniti che si è spostata dalla attività mineraria nel sottosuolo alla estrazione a cielo aperto e alla rimozione in cima alle montagne, che richiedono molti meno lavoratori; l’occupazione nel carbone toccò il picco nel 1979, cadde rapidamente durante gli anni di Reagan, ed era scesa di più della metà nel 2007. Un crollo ulteriore è avvenuto negli anni recenti grazie alla tecnologia della fratturazione degli scisti bituminosi. Niente di tutto questo è reversibile.

È eccezionale il caso dei passati territori dell’industria del carbone? In realtà, no. Diversamente dal declino del carbone, una parte del declino nel lungo termine della occupazione manifatturiera può essere attribuita ai crescenti deficit commerciali, ma anche lì c’è una parte abbastanza piccola della spiegazione. Nessuno può credibilmente promettere di riportare i vecchi posti di lavoro; quello che si può promettere – e la Clinton l’ha fatto – sono cose come l’assistenza sanitaria garantita e minimi salariali più alti. Ma i lavoratori bianchi hanno votato in modo schiacciante per uomini politici che promettono di distruggere questi benefici.

Cos’è accaduto, dunque? In parte la risposta può essere che Trump non ha avuto problemi a raccontar bugie su quello che potrebbe realizzare. Se è così, ci potrà essere un contraccolpo quando il carbone è i posti di lavoro manifatturieri non torneranno indietro, mentre scomparirà l’assistenza sanitaria.

Ma forse no. Forse una Amministrazione Trump potrà mantenere i propri sostenitori non migliorando le loro esistenze, ma alimentando il loro senso di indignazione.

Perché in questo caso è bene esser seri: non si possono spiegare i voti di posti come Clay County come una risposta ai disaccordi sulla politica commerciale. Il solo modo per dare un senso a quello che è successo è considerare il voto come una espressione, appunto, di una politica delle identità – una qualche mescolanza di risentimento bianco verso quella che gli elettori considerano una condizione di favore dei non-bianchi (anche se non esiste) e di rabbia della parte meno istruita della popolazione verso l’élite liberal, da cui si immaginano di esser guardati dall’alto in basso.

Onestamente, io non comprendo esattamente questo risentimento. Io non capisco perché il disprezzo immaginario dei liberal ispiri tanta più rabbia del disprezzo effettivo dei conservatori che considerano la povertà di posti come l’area orientale del Kentucky come un segno dell’inadeguatezza personale e morale dei loro residenti.

Tuttavia, una cosa è chiara: i democratici devono capire perché la classe lavoratrice bianca ha appena votato in modo schiacciante contro i suoi stessi interessi economici, e non fingere che un po’ di più di populismo risolverebbe il problema.

 

 

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