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Il commercio, i fatti e la politica (dal blog di Krugman, 5 dicembre 2016)

DEC 5 10:05 AM

 

Trade, Facts, and Politics

 

I see that Tim Duy is angry at me again. The occasion is rather odd: I produced a little paper on trade and jobs, which I explicitly labeled “wonkish”; the point of the paper was, as I said, to reconcile what seemed to be conflicting assessments of the impacts of trade on overall manufacturing employment.

But Duy is mad, because “dry statistics on trade aren’t working to counter Trump.” Um, that wasn’t the point of the exercise. This wasn’t a political manifesto, and never claimed to be. Nor was it a defense of conventional views on trade. It was about what the data say about a particular question. Are we not allowed to do such things in the age of Trump?

Actually, maybe not. Part of the whole Trump phenomenon involves white working class voters rallying around a candidate who promised to bring back the coal and industrial jobs of the past, and lashing out at anyone who refuses to make similar promises. Yet the promise was and is fraudulent. If trying to get the analysis right is elitist, we’re in very big trouble — and perhaps we are.

So what would a political manifesto aimed at winning over these voters look like? You could promise to make their lives better in ways that don’t involve bringing back the old plants and mines — which, you know, Obama did with health reform and Hillary would have done with family policies and more. But that apparently isn’t an acceptable answer.

Can we promise new, different jobs? Job creation under Obama has been pretty good, but it hasn’t offered blue-collar jobs in the same places where the old industrial jobs have eroded.

So maybe the answer is regional policies, to promote employment in declining regions? There is certainly a case in principle for doing this, since the costs of uprooting workers and families are larger than economists like to imagine. I would say, however, that the track record of regional support policies in other countries, which spend far more on such things than we are likely to, is pretty poor. For example, massive aid to the former East Germany hasn’t prevented a large decline in population, much bigger than the population decline in Appalachia over the same period.

And I have to admit to a strong suspicion that proposals for regional policies that aim to induce service industries to relocate to the Rust Belt would not be well received, would in fact be attacked as elitist. People want those manufacturing jobs back, not something different. And it’s snooty and disrespectful to say that this can’t be done, even though it’s the truth.

So I really don’t know the answer. But back to the starting point: when I analyze the effects of trade on manufacturing employment, the goal is to understand the effects of trade on manufacturing employment — not to win over voters. No, dry statistics aren’t good for political campaigns; but that’s no reason to ban statistics.

 

Il commercio, i fatti e la politica

Vedo che Tim Duy è nuovamente arrabbiato con me. L’occasione è abbastanza strana: ho elaborato un piccolo articolo su commercio e posti di lavoro, che ho esplicitamente contrassegnato come ‘per esperti’; l’argomento dell’articolo era, come ho detto, riconciliare quelle che sembravano tesi in contraddizione sugli impatti del commercio sulla complessiva occupazione manifatturiera.

Ma Duy è fuori di sé, perché le “aride statistiche sul commercio non stanno funzionando nel contrastare Trump”. Beh, non era lo scopo dell’esercizio. Esso non era un manifesto politico, né ha mai preteso di esserlo. Non era neppure una difesa dei punti di vista convenzionali sul commercio. Era relativo a quello che i dati dicono a proposito di una particolare questione. Non ci è consentito fare cose del genere nell’era di Trump?

In effetti, forse no. Una parte dell’intero fenomeno Trump coinvolge gli elettori bianchi della classe lavoratrice che solidarizzano con un candidato che ha promesso di riportare i posti di lavoro del carbone e dell’industria del passato, e ha attaccato chiunque si rifiutava di fare promesse simili. Tuttavia, la promessa era ed è ingannevole. Se rifiutarsi di far bene l’analisi è elitario, siamo in un bel guaio – e forse lo siamo.

Dunque, in cosa dovrebbe consistere un manifesto politico rivolto a convincere questi elettori? Si potrebbe promettere di migliorare le loro esistenze in modi che non comportino il ripristinare i vecchi stabilimenti e le vecchie miniere – la qual cosa, come sapete, Obama aveva fatto con la riforma sanitaria e Hillary avrebbe fatto con le politiche per le famiglie ed altro ancora. Ma questa non sembra sia una risposta accettabile.

Possiamo promettere nuovi e diversi posti di lavoro? La creazione di posti di lavoro con Obama è stata abbastanza buona, ma essa non ha offerto posti di lavoro industriali negli stessi posti nei quali i vecchi posti di lavoro industriali erano stati erosi.

Dunque, forse la risposta sono politiche regionali, per promuovere l’occupazione nelle regioni in declino? In via di principio ci sarebbero certamente argomenti per farlo, dal momento che i costi per sradicare i lavoratori e le loro famiglie sono certamente più ampi di quanto agli economisti piace immaginare. Tuttavia, osserverei che le esperienze delle politiche di sostegno regionale in altri paesi, che spendono per cose del genere assai di più di quello che sarebbe probabile nel nostro caso, sono abbastanza modeste. Ad esempio, un aiuto massiccio nella passata Germania dell’Est non ha impedito un ampio declino nella popolazione, molto più ampio del declino della popolazione negli Appalachi nello stesso periodo.

Inoltre, devo ammettere che ho un forte sospetto che proposte di politiche regionali che abbiano l’obbiettivo di trasferire attività di servizi nella Rust Belt [1], non sarebbero bene accolte, e sarebbero appunto attaccate come elitarie. Ed è altezzoso e privo di rispetto dire che questo non si può fare, anche se è la verità.

Dunque, io davvero non conosco la risposta. Ma tornando al punto di partenza: quando io analizzo gli effetti del commercio sull’occupazione manifatturiera, l’obbiettivo è comprendere gli effetti del commercio sull’occupazione manifatturiera – non convincere gli elettori. È vero, le aride statistiche non sono buone per le campagne elettorali politiche; ma questa non è una ragione per mettere al bando le statistiche.

 

 

[1] Letteralmente la “Cintura della ruggine”, ovvero la grande area che comincia a New York e attraversa il settentrione passando per la Pennsylvania, la Virginia Occidentale, l’Ohio, l’Indiana e la parte più bassa della penisola del Michigan, per finire nella parte settentrionale dell’Illinois, in quella orientale dello Iowa e in quella sud orientale del Wisconsin. Ovvero, l’area che è stata caratterizzata maggiormente dai fenomeni della deindustrializzazione manifatturiera.

Tale ‘Cintura’ è ben visibile in questa cartina da Wikipedia, dove le aree con una perdita maggiore di posti di lavoro manifatturieri sono segnate dal color marrone (perdite superiori al 58%) e in rosso (perdite dal 46 al 53%); mentre le aree con maggiori guadagni sono segnate dai colori verde chiaro e verde (i dati sono relativi al periodo dal 1954 al 2002):

zz-250

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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