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Keynesismo reazionario, di Simon Wren-Lewis (dal blog Mainly Macro, 13 dicembre 2016)

Tuesday, 13 December 2016

Reactionary Keynesianism

By Simon Wren-Lewis

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Under Donald Trump we might get what some have called Reactionary Keynesianism. But a stimulus is a stimulus, right, and for those of us who think most OECD economies should be ‘run hot’ to try and make up some of the ground still lost from the Great Recession any fiscal stimulus should be welcomed? So Martin Sandbu writes

“it is hypocritical of anyone to warn that Trump’s promised tax cuts will endanger the public finances if they called for fiscal stimulus under Obama and his putative Democratic successor. …. While the composition of tax cuts and spending increases may matter, the overall size of any deficit increase matters at least as much.”

If by this he means don’t worry too much about the composition, the overall size of the deficit is more important, I think this is terrible macroeconomics. It is foolish to believe that anything that raises the deficit will stimulate.

We know that a part of any Trump stimulus will be large tax breaks for the very rich. The very rich will almost certainly consume virtually none of this tax break in the short term. It is the one part of the population where Ricardian Equivalence almost holds. You might think that therefore it does at least do no harm to short term aggregate demand. But this could be wrong, because the logic of the intertemporal budget constraint still operates. Those tax cuts will not be paid for by higher activity in the short term, so they may mean higher taxes down the road. Now if people who are not very rich think that these might be their taxes that are increased down the road, they will reduce their consumption today. The net effect could be a drop in demand.

You may think that consumers may not be so foresighted, so demand will not actually fall. But the logic of the intertemporal budget constraint still holds. If tax cuts for the rich just raise the deficit with almost no short run demand boost, then that is a transfer to the rich today from the non-rich tomorrow. If tax cuts for the rich were paid for by tax increases on everyone else today many politicians would be up in arms. Delaying the tax increase on everyone else by borrowing is a trick that should be seen straight through.

Yet I fear this is still not the case, and talking about tax cuts for the rich as part of a stimulus just helps confuse politicians. Those on the right understand this: tax cuts for the rich are nearly always part of a general stimulus: when Nigel Lawson did this it helped bust the UK economy. We should just repeat again and again: tax cuts for the rich paid for by borrowing are really tax increases for everyone else.

The example of tax cuts for the rich is the example that refutes the general proposition that the composition of any fiscal stimulus matters less than the overall size of any increase in the deficit.

Trump has also said he wants more investment in public infrastructure. That is something the US desperately needs, but remember that Trump will usher in an era of crony capitalism and politics like never before. The infrastructure that you might get could be far from the infrastructure the US actually needs, and instead may be whatever buys votes or other kinds of deals that help a Trump administration. Now if that infrastructure was produced entirely by those who otherwise would be out of the workforce but would like the jobs involved, then aggregate welfare would still increase: it is Keynes’s famous digging holes example. But in practice that seems unlikely to be completely or even mainly true, and so these white elephants may in practice crowd out better projects. In that case US citizens would not be better off in the short term as a result of this fiscal stimulus, even if GDP did rise. And the stimulus would not pay for itself, so once again other people should worry about the government’s intertemporal budget constraint.

If the economics of Reactionary Keynesian is bad, I think the politics is even worse. Quite simply, by achieving very little beyond redistributing to the rich and unworthy, it gives Keynesian policy a bad name. But we can avoid that, when we can, by not calling every increase in the deficit a stimulus. And by saying tax cuts for the rich paid for by borrowing are really tax increases for everyone else.

 

 

Keynesismo reazionario,

di Simon Wren-Lewis

Con Donald Trump potremmo avere quello che qualcuno ha chiamato Keynesismo reazionario. Ma uno stimolo è uno stimolo, e per quelli tra noi che pensano che gran parte delle economie dell’OCSE dovrebbero essere ‘riscaldate’ per provare a mettere insieme un po’ del terreno perduto dalla Grande Recessione ogni stimolo di finanza pubblica dovrebbe essere benvenuto, non è così?

Dunque Martin Sandbu scrive:

“è ipocrita chiunque ammonisca che i promessi sgravi fiscali di Trump metteranno in pericolo le finanze pubbliche se si pronunciavano per uno stimolo delle stesse con Obama e con la sua presunta erede democratica …. Se la composizione degli sgravi fiscali e gli incrementi di spesa possono essere importanti, la dimensione complessiva di ogni incremento del deficit conta almeno altrettanto.”

Se con questo egli intende dire di non preoccuparsi troppo della composizione, giacché la dimensione del deficit è più importante, io penso che si tratti di una macroeconomia terribile. È sciocco ritenere che tutto quello che eleva il deficit avrà un effetto di stimolo.

Sappiamo che una parte di qualsiasi stimolo di Trump consisterà in ampi sgravi fiscali per i super ricchi. Nel breve termine, i super ricchi quasi certamente non consumeranno praticamente alcuno di questi sgravi fiscali. Essi sono una parte della popolazione nella quale la Equivalenza Ricardiana è pressappoco funzionante [1]. Potreste pensare che di conseguenza essi non faranno alcun danno nel breve termine alla domanda aggregata. Ma potrebbe essere uno sbaglio, giacché la logica del condizionamento del bilancio intertemporale resta in funzione. Quegli sgravi fiscali non saranno ripagati da una maggiore attività nel breve termine, dunque possono comportare tasse più alte più avanti. Ora, se le persone che non sono molto ricche pensano che potrebbero essere le loro tasse a crescere in seguito, esse ridurranno i loro consumi odierni. L’effetto netto potrebbe essere una caduta della domanda.

Potete pensare che i consumatori non siano così preveggenti, dunque la domanda effettivamente non diminuirà. Ma la logica del condizionamento del bilancio intertemporale ancora si mantiene. Se gli sgravi fiscali per i ricchi elevano soltanto il deficit con quasi nessun incoraggiamento alla domanda nel breve termine, allora si tratta di un trasferimento ai ricchi di oggi da parte dei non ricchi di domani. Se gli sgravi fiscali per i ricchi fossero pagati subito da aumenti nelle tasse per tutti gli altri, molti uomini politici sarebbero furiosi. Rinviare gli aumenti fiscali su tutti gli altri tramite l’indebitamento è un trucco che dovrebbe essere considerato direttamente.

Tuttavia, io temo che questo non sia ancora il punto, e parlare di sgravi fiscali per i ricchi come una componente dello stimolo serva solo a confondere i politici. A destra lo capirebbero in questo modo: gli sgravi fiscali per i ricchi sono quasi sempre una parte di uno stimolo più generale: quando Nigel Lawson [2] lo fece, cio contribuì al fallimento dell’economia britannica. Dovremmo proprio ripeterli in continuazione: sgravi fiscali per i ricchi pagati coll’indebitamento sono in realtà aumenti delle tasse per tutti gli altri.

L’esempio degli sgravi fiscali per i ricchi è quello che confuta il concetto generale secondo il quale la composizione di qualsiasi stimolo della finanza pubblica è meno importante della dimensione complessiva di ogni incremento nel deficit.

Trump ha anche detto che vuole maggiori investimenti nelle infrastrutture pubbliche. Questo è qualcosa di cui gli Stati Uniti hanno un disperato bisogno, ma si ricordi che Trump inaugurerà un’epoca di capitalismo e di politica clientelare, come mai in precedenza. Le infrastrutture che si potrebbero avere sarebbero assai diverse dalle infrastrutture delle quali gli Stati Uniti hanno effettivamente bisogno, e possono piuttosto essere qualunque cosa procuri voti o altri generi di accordi che servano alla Amministrazione Trump. Ora, se le infrastrutture fossero prodotte interamente da coloro che altrimenti sarebbero fuori dalla forza lavoro, eppure gradirebbero i posti di lavoro implicati, allora il benessere complessivo crescerebbe ancora: è il famoso esempio di Keynes sullo scavare buche. Ma in pratica sembra improbabile che questo sia completamente, o anche in buona misura, vero, e dunque  queste cattedrali nel deserto [3], in pratica, possono spiazzare i progetti migliori. In quel caso i cittadini statunitensi nel breve termine non starebbero meglio in conseguenza di questo stimolo della finanza pubblica, anche se il PIL crescesse. E lo stimolo non si ripagherebbe da solo, dunque ancora una volta la gente dovrebbe preoccuparsi del condizionamento del bilancio intertemporale del Governo.

Se l’economia del keynesismo reazionario è negativa, penso che la sua politica sia anche peggiore. Molto semplicemente, ottenere molto poco oltre una ridistribuzione ai ricchi ed a coloro che non lo meritano, darebbe della politica keynesiana una pessima definizione. Ma possiamo evitarlo, quando possiamo, non chiamando ogni incremento del deficit come uno stimolo. E dicendo che gli sgravi fiscali per i ricchi pagati con l’indebitamento sono in realtà aumenti delle tasse per tutti gli altri.

 

 

[1] L’equivalenza ricardiana è una teoria economica che suggerisce come i consumatori internalizzino i vincoli di bilancio e come quindi la tempistica dei cambiamenti della tassazione non influisca sul loro profilo di spesa. Di conseguenza l’equivalenza ricardiana suggerisce che la scelta di finanziare le spese governative attraverso il debito piuttosto che con un aumento delle tasse non abbia influenza sul livello della domanda. Era stata prima proposta e poi rifiutata dall’economista del diciannovesimo secolo David Ricardo. In termini semplici la teoria può venire descritta come segue: il governo può sia finanziare la spesa tassando i contribuenti oggi, oppure può prendere denaro in prestito emettendo obbligazioni. Nel secondo caso, questo debito dovrà venir alla fine ripagato aumentando in futuro le tasse al di sopra del livello che avrebbero altrimenti avuto. La scelta è dunque tra “tassare ora” o “tassare poi”.

In realtà, come si è detto, lo stesso Ricardo in seguito ebbe veri dubbi su questa formulazione. Ma nella frase di Wren-Lewis il significato è adesso il seguente: che le condizioni economiche e sociali dei più ricchi, sono tali che almeno per loro normalmente la ‘equivalenza ricardiana’ funziona. Ovvero, almeno per essi la valutazione sui vincoli successivi dei bilanci (intertemprali significa questo) comporta che i benefici degli sgravi fiscali non producano cambiamenti sostanziali nei profili di spesa e di consumo.

[2] Nigel Lawson, Barone Lawson di Blaby (Londra11 marzo 1932), è un politico britannico. È stato un esponente del partito conservatore britannico ed è attualmente membro della Camera dei Lords. Ha ricoperto l’incarico di Cancelliere dello Scacchiere nel governo di Margaret Thatcher dal giugno 1983 all’ottobre 1989.

[3] Nei paesi anglofoni, l’appellativo elefante bianco (white elephant) viene dato a lussuosi beni o a imponenti progetti i cui eccessivi costi di realizzazione e gestione non siano compensati dai benefici che danno o che potrebbero dare nel caso non siano stati realizzati. Nei paesi latini un’espressione simile ma non identica è cattedrale nel deserto. (Wikipedia)

 

 

 

 

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