DEC 25 11:39 AM
Yes, it’s Christmas Day. Bah Humbug. Also, the family won’t get here for a few hours, and I wanted to put something out as background for tomorrow’s column.
So, I’m thinking about the Trump trade war, which is looking increasingly likely — especially because U.S. trade law gives the White House remarkable leeway to go protectionist without legislative action. That wasn’t the law’s intent; but do you think this guy will care?
What happens if the protectionist-in-chief goes ahead and does it, as I suspect he will?
Claims that there would be huge net job losses are extremely dubious. But what would happen would be a global trade war, which would disrupt the existing economic structure, which is built on elaborate international supply chains.
In the long run, a new structure with shorter chains would be built. But in the meantime, some industries, some factories, would end up becoming sudden losers — in the US as well as in developing countries.
The lesson I took from the widely cited Autor, Dorn, and Hanson paper on the China shock was that Ricardo and Heckscher-Ohlin were less relevant to the political economy of trade than the sheer pace of change, which disrupted local manufacturing concentrations and the communities they supported. The point is that a protectionist turn, reversing the trade growth that has already happened, would be the same kind of shock given where we are now. It’s like the old joke about the motorist who runs over a pedestrian, then tries to undo the damage by backing up — and runs over the victim a second time.
That is, I’d argue, the way to think about the coming Trump shock. You can’t really turn the clock back a quarter-century; but even trying can produce exactly the kind of rapid, disruptive shifts in production that fed blue-collar anger going into this election.
Lo shock cinese e quello di Trump
Sì, oggi è Natale. Bah, fandonie [1]. Tra l’altro, la famiglia non arriverà prima di qualche ora, e io volevo buttar giù qualcosa come sfondo all’articolo di domani.
Dunque, sto ragionando della guerra commerciale di Trump – che appare sempre più probabile – in particolare considerando che la legge commerciale degli Stati Uniti dà alla Casa Bianca una libertà rilevante di iniziativa per passare al protezionismo senza iniziativa legislativa. Non era questo l’intento della legge; ma pensate che questo individuo si impressionerà?
Cosa accade se il ‘protezionista in capo’ va avanti e lo mette in atto, come sospetto che farà?
Gli argomenti secondo i quali ci sarebbero ampie perdite nette di posti di lavoro sono estremamente dubbi. Ma quello che accadrebbe sarebbe una guerra commerciale globale che disarticolerebbe l’esistente struttura economica, che è costruita su elaborate catene internazionali dell’offerta [2].
Nel lungo periodo, sarebbe creata una nuova struttura con catene più piccole. Ma nello stesso tempo, alcune industrie, alcuni stabilimenti finirebbero per divenire all’improvviso i perdenti – negli Stati Uniti come nei paesi in via di sviluppo.
La lezione che ho tratto dall’ampiamente citato saggio di Autor, Dorn e Hanson sullo shock cinese è stata che Ricardo e Heckscher-Ohlin sono stati meno rilevanti per l’economia politica del commercio che il mero ritmo del cambiamento, che ha disarticolato le concentrazioni manifatturiere locali e le comunità che le sostenevano. Il punto è che una svolta protezionista, rovesciando la crescita commerciale che è già avvenuta, sarebbe un colpo della stessa natura, dato il punto in cui siamo adesso. Sarebbe come la vecchia barzelletta dell’automobilista che schiaccia un pedone, e poi cerca di cancellare il danno tornando indietro – e schiacciando la vittima una seconda volta.
Direi che è quello il modo nel quale riflettere sullo shock di Trump in arrivo. In realtà non si può riportare indietro l’orologio di un quarto di secolo; ma anche (solo) provandoci si può produrre esattamente lo stesso genere di rapidi, sconvolgenti spostamenti che ha alimentato la rabbia dei colletti blu che sé è riversata in queste elezioni.
[1] “Bah, humbug” è l’espressione di Scrooge nel Christmas Carol di Dickens (dunque, sarebbe preferibile scriverlo e tradurlo tra virgolette, giacché è più probabile che sia una citazione dal personaggio dickensiano, che non un diretto giudizio di Krugman sulle festività natalizie. Anche se mi pare di rammentare un analogo “Bah Humbug” in un post krugmaniano di un Natale passato …).
Si può tradurre con “scempiaggini, fanfaluche, fandonie”, in genere indica una forma di disprezzo per le consuetudini, in specie per quelle che inclinano al consumismo, lo stato d’animo dell’avaro Scrooge all’epoca delle sue festività natalizie, all’inizio del racconto e prima della sua ‘redenzione’.
[2] Vale a dire, con una divisione del lavoro per le molteplici componenti dei prodotti finali, che operano in vari paesi e comportano una complessa struttura di assemblaggi parziali e finali dei prodotti. Il sistema complessivo di produzione ed assemblaggio di tali componenti è quello che si definisce “catena dell’offerta”.
By mm
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