NOV 28, 2016
BERKELEY – I recently heard former World Trade Organization Director-General Pascal Lamy paraphrasing a classic Buddhist proverb, wherein China’s Sixth Buddhist Patriarch Huineng tells the nun Wu Jincang: “When the philosopher points at the moon, the fool looks at the finger.” Lamy added that, “Market capitalism is the moon. Globalization is the finger.”
With anti-globalization sentiment now on the rise throughout the West, this has been quite a year for finger-watching. In the United Kingdom’s Brexit referendum, “Little Englanders” voted to leave the European Union; and in the United States, Donald Trump won the presidency because he convinced enough voters in crucial states that he will “make America great again,” not least by negotiating very different trade “deals” for the country.
Let us orient ourselves by considering what the economic-policy moon looks like today, particularly with respect to growth and inequality. For starters, technological innovation in areas such as information processing, robotics, and biotechnology continues to accelerate at a remarkable pace. But annual productivity growth in North Atlantic countries has fallen from the 2% rate to which we have been accustomed since 1870 to about 1% now. Productivity growth is an important economic indicator, because it measures the year-on-year decline in resources or manpower needed to achieve the same level of economic output.
Northwestern University economist Robert J. Gordon maintains that all of the true “game-changing” innovations that have fueled past economic growth – electric power, flight, modern sanitation, and so forth – have already been exhausted, and that we should not expect growth to continue indefinitely. But Gordon is almost surely wrong: game-changing inventions fundamentally transform or redefine lived experience, which means that they often fall outside the scope of conventional measurements of economic growth. If anything, we should expect to see only more game changers, given the current pace of innovation.
Measures of productivity growth or technology’s added value include only market-based production and consumption. But one’s material wealth is not synonymous with one’s true wealth, which is to say, one’s freedom and ability to lead a fulfilling life. Much of our true wealth is constituted within the household, where we can combine non-market temporal, informational, and social inputs with market goods and services to accomplish various ends of our own choosing.
While standard measures show productivity growth falling, all other indicators suggest that true productivity growth is leaping ahead, owing to synergies between market goods and services and emerging information and communication technologies. But when countries with low-growth economies do not sufficiently educate their populations, nearly everyone below the top income quintile misses out on the gains from measured economic growth, while still benefiting from new technologies that can improve their lives and wellbeing.
As economist Karl Polanyi pointed out in the 1930s and 1940s, if an economic system promises to create shared prosperity but only seems to serve the top 20% of earners, it has disappointed the vast majority of economic participants’ expectations. And market capitalism, for its part, has not delivered the ever-more affordable 1980s lifestyle that so many back then expected it would.
Instead, during the past 30 years, an “overclass” has emerged, one that exercises even more relative economic power than Gilded Age robber barons did. The factors contributing to its rise and undue power, however, remain unclear.
Elsewhere, China, India, and some Pacific Rim countries have matched, or will soon match, North Atlantic countries’ productivity and prosperity. The rest of the world is no longer falling further behind the North Atlantic, but nor is it closing the productivity and prosperity gap, implying that these countries will continue to lag behind indefinitely.
The aforementioned features are all constituent parts of our proverbial market capitalist moon. As it develops and interacts with social, political, and technological forces, it creates elation alongside distress. Globalization is one piece in a larger puzzle: while it is important that we determine the best way to manage the global trade system, doing so cannot substitute for the much larger challenge of managing market capitalism itself.
By focusing on individual free-trade agreements, whether proposed or already existing, or on closing national borders to immigrants, we are looking at the finger and missing the moon. If we are to get a grip on the global economy’s trajectory, is time to look up.
Smarrire il grande disegno economico,
di J. Bradford DeLong
BERKELEY – Di recente ho ascoltato il passato Direttore Generale della Organizzazione Mondiale per il Commercio Pascal Lamy parafrasare un classico proverbio buddista, con il quale il Sesto Patriarca Buddista della Cina Huineng diceva alla suora Wu Jincang: “Quando il filosofo indica la luna, lo sciocco guarda il dito”. Lamy aggiungeva che “Il mercato capitalistico è la luna. La globalizzazione è il dito”.
Con il sentimento di antiglobalizzazione oggi in crescita in tutto l’Occidente, questo è stato precisamente un anno nel quale ci si è concentrati sulla osservazione delle dita. Nel referendum sulla Brexit del Regno Unito, i sostenitori della ‘piccola Inghilterra’ hanno votato per lasciare l’Unione Europea e negli Stati Uniti Donald Trump si è aggiudicato la Presidenza, giacché ha convinto un numero sufficiente di elettori negli Stati cruciali che egli farà “l’America di nuovo grande”, non da ultimo negoziando diversi “accordi” commerciali per il paese.
Cerchiamo di orientarci considerando a cosa somigli la luna della politica economica al giorno d’oggi, in particolare rispetto alla crescita e all’ineguaglianza. Per cominciare, l’innovazione tecnologica in aree come l’elaborazione delle informazioni, la robotica e la biotecnologia continua ad accelerare ad un ritmo considerevole. Ma la crescita annuale della produttività nei paesi del Nord Atlantico è scesa da un tasso del 2% al quale eravamo abituati sin dal 1870, a circa l’1% attuale. La crescita della produttività è un importante indicatore economico, perché misura il declino, anno per anno, delle risorse o della forza lavoro necessari per ottenere lo stesso livello di produzione economica.
L’economista Robert J. Gordon sostiene che le innovazioni che effettivamente “cambiano il gioco” che hanno alimentato la crescita economica passata – l’energia elettrica, il volo, l’igiene moderna, e altre ancora – si sono già esaurite, e che non dovremmo aspettarci che la crescita prosegua in modo indefinito. Ma Gordon quasi certamente si sbaglia: le invenzioni che cambiano il gioco fondamentalmente trasformano o ridefiniscono l’esperienza vissuta, il che significa che esse spesso esulano dall’ambito delle misure tradizionali della crescita economica. Semmai, dato il ritmo attuale dell’innovazione, dovremmo soltanto aspettarci di vedere un numero maggiore di agenti del cambiamento.
Le misurazioni della crescita della produttività o del valore aggiunto delle tecnologie comprendono soltanto la produzione e il consumo basati sul mercato. Ma la ricchezza materiale di qualcuno non è sinonimo della sua effettiva ricchezza, per la quale si intende la sua libertà e la sua capacità di orientarsi verso una vita soddisfacente. Gran parte della effettiva ricchezza si determina all’interno della famiglia, dove possiamo mettere assieme apporti temporali, informativi, sociali non di mercato con beni e servizi di mercato, per conseguire varie finalità scelte da noi stessi.
Mentre le misurazioni standard mostrano una crescita della produttività in caduta, tutti gli altri indicatori suggeriscono che la vera crescita della produttività sta facendo un balzo in avanti, a seguito delle sinergie tra i beni e i servizi di mercato e le emergenti tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Ma quando paesi con economie a bassa crescita non educano sufficientemente le loro popolazioni, quasi tutti coloro che sono al di sotto del quintile massimo del reddito restano esclusi dai vantaggi della crescita economica accertata, mentre beneficiano comunque delle tecnologie che possono migliorare le loro esistenze e il loro benessere.
Come l’economista Karl Polany mise in evidenza negli anni ’30 e ’40, se un sistema economico promette di creare una prosperità diffusa ma sembra soddisfare soltanto il 20% dei più ricchi percettori di reddito, significa che ha deluso la grande maggioranza delle aspettative di coloro che sono partecipi all’economia. E il capitalismo di mercato, per suo conto, non ha reso sempre più sostenibile quello stile di vita degli anni ’80, che tanti dopo allora si aspettavano.
Piuttosto, negli ultimi trent’anni è emersa una speciale categoria di persone, che ha esercitato un potere economico persino maggiore di quello che avevano i padroni del vapore dell’Età Aurea. Restano, tuttavia, non chiari i fattori che hanno contribuito alla sua ascesa e al suo immeritato potere.
Altrove, in Cina, in India e in alcuni paesi delle coste del Pacifico, la produttività e la prosperità dei paesi del Nord Atlantico è stata eguagliata, o lo sarà presto. Il resto del mondo non sta più ulteriormente perdendo posizioni rispetto al Nord Atlantico, ma non sta colmando il suo divario in termini di produttività e prosperità, il che comporta che questi paesi continueranno a restare indietro per un tempo indefinito.
I suddetti aspetti sono tutte componenti costitutive della luna del mercato capitalistico del nostro proverbio. Come essa si sviluppa e interagisce con le forze sociali, politiche e tecnologiche, crea entusiasmi assieme a sconforto. La globalizzazione è un pezzo di un rompicapo più grande: mentre è importante che si definisca il modo migliore per gestire il sistema commerciale globale, il farlo non può sostituire la sfida molto più ampia del gestire lo stesso capitalismo di mercato.
Concentrarsi sui singoli accordi del libero commercio, sia quelli proposti che quelli già in essere, o chiudere i confini nazionali agli emigranti, è come guardare al dito e farsi scappare la luna. Se intendiamo riprendere la traiettoria dell’economia globale, è tempo di alzare lo sguardo.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"