Paul Krugman DEC. 9, 2016
Many people voted for Donald Trump because they believed his promises that he would restore what they imagine were the good old days — the days when America had lots of traditional jobs mining coal and producing manufactured goods. They’re going to be deeply disappointed: The shift away from blue-collar work is mainly about technological change, not globalization, and no amount of tweets and tax breaks will bring those jobs back.
But in other ways Mr. Trump can indeed restore the world of the 1970s. He can, for example, bring us back to the days when, all too often, the air wasn’t safe to breathe. And he’s made a good start by selecting Scott Pruitt, a harsh foe of pollution regulation, to head the Environmental Protection Agency. Make America gasp again!
Much of the commentary on the Pruitt appointment has focused on his denial of climate science and on the high likelihood that the incoming administration will undo the substantial progress President Obama was beginning to make against climate change. And that is, in the long run, the big story.
After all, climate change is an existential threat in a way local pollution isn’t, and the installation of the Trump team in power may mean that we have lost our last, best chance for a cooperative international effort to contain that threat.
Everyone who contributed to this outcome — very much, if I may say, including the journalists who elevated the fundamentally trivial issue of Hillary Clinton’s emails into the dominant theme of campaign reporting — bears part of the responsibility for what may end up being a civilization-ending event. No, that’s not hyperbole.
But climate change is a slow-building, largely invisible threat, hard to explain or demonstrate to the general public — which is one reason lavishly funded climate deniers have been so successful at obfuscating the issue. So it’s worth pointing out that most environmental regulation involves much more obvious, immediate, sometimes deadly threats. And much of that regulation may well be headed for oblivion.
Think about what America was like in 1970, the year the E.P.A. was founded. It was still an industrial nation, with roughly a quarter of the work force employed in manufacturing, often at relatively high wages, in large part because of a still-strong union movement. (Funny how Trumpist pledges to bring back the good old days never mention that part.)
It was also, however, a very polluted country. Choking smog was quite common in major cities; in the Los Angeles area, extreme pollution alerts, sometimes accompanied by warnings that even healthy adults should stay indoors and move as little as possible, were fairly common.
It’s far better now — not perfect, but much better. These days, to experience the kind of pollution crisis that used to be all too frequent in Los Angeles or Houston, you have to go to places like Beijing or New Delhi. And the improvement in air quality has had clear, measurable benefits. For example, we’re seeing significant improvements in lung function among children in the Los Angeles area, clearly tied to reduced pollution.
The key point is that better air didn’t happen by accident: It was a direct result of regulation — regulation that was bitterly opposed at every step by special interests that attacked the scientific evidence of harm from pollution, meanwhile insisting that limiting their emissions would kill jobs.
These special interests were, as you might guess, wrong about everything. The health benefits of cleaner air are overwhelmingly clear. Meanwhile, experience shows that a growing economy is perfectly consistent with an improving environment. In fact, reducing pollution brings large economic benefits once you take into account health care costs and the effects of lower pollution on productivity.
Meanwhile, claims of huge business costs from environmental programs have been wrong time and time again. This may be no surprise when interest groups are trying to maintain their right to pollute. It turns out, however, that even the E.P.A. itself has a history of overestimating the costs of its regulations.
So the looming degradation of environmental protection will be a bad thing on every level: bad for the economy as well as bad for our health. But don’t expect rational arguments to that effect to sway the people who will soon be running the government. After all, what’s bad for America can still be good for the likes of the Koch brothers. Besides, my correspondents keep telling me that arguing policy on the basis of facts and figures is arrogant and elitist, so there.
The good news, sort of, is that some of the nasty environmental consequences of Trumpism will probably be visible — literally — quite soon. And when bad air days make a comeback, we’ll know exactly whom to blame.
Trump e Pruitt [1] costringeranno di nuovo l’America a respirare con fatica, di Paul Krugman
New York Times 9 dicembre 2016
In molti hanno votato Donald Trump perché credevano alle sue promesse, secondo le quali ci avrebbe restituito quelli che loro immaginano siano stati i bei vecchi tempi – i giorni nei quali l’America aveva una gran quantità di posti di lavoro tradizionali nelle miniere di carbone e produceva beni manifatturieri. Sono destinati a essere profondamente delusi: l’allontanamento dal lavoro dei colletti blu riguarda principalmente i mutamenti tecnologici, non la globalizzazione, e nessuna quantità di tweet o di agevolazioni fiscali ci riporterà quei posti di lavoro.
Ma in altri sensi, effettivamente, il signor Trump può restituirci il mondo degli anni ’70. Per esempio, egli riportarci a quei giorni nei quali, anche troppo frequentemente, l’aria era insana. E, scegliendo Scott Pruitt, un nemico indefesso delle regole sull’inquinamento, alla guida dell’Agenzia di Protezione dell’Ambiente, è partito col piede giusto. Riportiamo l’America a respirare con fatica!
Molti dei commenti sulla nomina di Pruitt si sono concentrati sul suo negazionismo della scienza del clima e sulla elevata probabilità che la prossima Amministrazione distruggerà il sostanziale progresso che il Presidente Obama aveva cominciato a realizzare contro il cambiamento climatico. E questa è la sostanza, nel lungo periodo.
Dopo tutto, il cambiamento climatico minaccia le esistenze in un modo diverso dall’inquinamento locale, e gli uomini di Trump che si installano al potere possono significare che abbiamo perso la nostra ultima e migliore possibilità di una cooperazione internazionale per contenere tale minaccia.
Chiunque ha contribuito a questo risultato – in particolare, se posso dirlo, i giornalisti che hanno elevato a tema fondamentale la questione banale delle mail di Hillary Clinton, protagonista dominante dei resoconti elettorali – porta una parte di responsabilità per quello che può diventare un evento che mette un termine ad una civiltà. E non si tratta di una esagerazione.
Ma il cambiamento climatico è una minaccia che si manifesterà con lentezza, largamente invisibile, difficile da spiegare o da dimostrare alla grande opinione pubblica – e questa è la ragione per la quale i profumatamente sovvenzionati negazionisti del clima hanno avuto tanto successo nell’offuscare tale questione. È dunque il caso di mettere in evidenza che gran parte delle regolamentazioni ambientali riguardano talvolta minacce letali, molto più evidenti e immediate. E gran parte di quelle regole possono facilmente finire nel dimenticatoio.
Si pensi a cosa somigliava l’America nel 1970, l’anno nel quale venne fondata l’EPA. Era ancora una nazione industriale, con circa un quarto della forza lavoro occupata nel settore manifatturiero, spesso con salari relativamente alti, in gran parte a seguito di un movimento sindacale ancora forte (è buffo come le promesse dei seguaci di Trump di riportare i bei tempi andati non ricordino mai quell’aspetto).
Era anche, tuttavia, un paese molto inquinato. Uno smog soffocante era abbastanza comune nelle città più importanti; nell’area di Los Angeles, i segnali d’allarme per un inquinamento estremo, talora accompagnati da ammonimenti per i quali persino gli adulti in salute dovevano stare in casa e muoversi il meno possibile, erano abbastanza comuni.
Oggi va molto meglio – non alla perfezione, ma molto meglio. Di questi tempi, per fare l’esperienza di quei tipi di crisi da inquinamento che erano anche troppo frequenti a Los Angeles o a Houston, si deve andare in posti come Pechino o Nuova Delhi. E il miglioramento della qualità dell’aria ha provocato chiari e misurabili vantaggi. Per esempio, assistiamo a significativi miglioramenti nelle funzioni respiratorie nei bambini nell’area di Los Angeles, chiaramente collegate al ridotto inquinamento.
Il punto fondamentale è che l’aria migliore non viene per caso: è il risultato diretto di regolamenti – regolamenti che sono stati aspramente contrastati ad ogni passo da interessi particolari che hanno attaccato le prove scientifiche dei danni dell’inquinamento, mentre ripetevano in continuazione che limitare le loro emissioni avrebbe eliminato posti di lavoro.
Questi interessi particolari, come potete ben immaginare, erano del tutto infondati. I benefici per la salute di un’aria più pulita sono indiscutibilmente chiari. Inoltre, i dati di fatto dimostrano che una economia in crescita è perfettamente coerente con un miglioramento dell’ambiente. Di fatto, ridurre l’inquinamento comporta ampi benefici economici, una volta che si mettono nel conto i costi della assistenza sanitaria e gli effetti sulla produttività di un inquinamento minore.
Inoltre, le pretese di elevati costi sulle imprese connessi con i programmi ambientali si sono anch’esse dimostrate in continuazione infondate. Questo può non sorprendere nel caso di gruppi di interesse che cercano di conservare il loro diritto di inquinare. Si scopre, tuttavia, che l’EPA stessa ha una storia di stime esagerate dei costi dei suoi regolamenti [2].
Dunque, l’incombente degrado della protezione ambientale sarà una cosa negativa ad ogni livello: negativa per l’economia nello stesso modo che per la nostra salute. Eppure non aspettatevi che argomenti razionali su tali effetti influenzino gli individui che presto saranno alla gestione della cosa pubblica. Dopo tutto, quello che è negativo per l’America può ancora essere positivo per i soggetti come i fratelli Koch [3]. Inoltre, i miei corrispondenti continuano a dirmi – siamo a questo punto! – che sostenere una politica sulla base di fatti e di dati è arrogante ed elitario.
La buona notizia, per dire così, è che le nefaste conseguenze ambientali del trumpismo saranno probabilmente visibili – alla lettera – abbastanza presto. E quando i giorni dell’aria inquinata faranno la loro ricomparsa, sapremo esattamente a chi dare la colpa.
[1] Come l’articolo spiega, Scott Pruitt è stato messo da Trump alla guida della Agenzia della Protezione Ambientale. Scott Pruitt, attuale segretario alla Giustizia dell’Oklahoma è un repubblicano, noto negazionista del cambiamento climatico ed è accusato dai gruppi ambientalisti di essere una marionetta delle lobby del petrolio.
I primi commenti di Pruitt sono stati che gli americani “sono stanchi di vedere miliardi di dollari sottratti alla nostra economia a causa di inutili norme dell’Epa” e che guiderà l’agenzia “in modo che favorisca sia la responsabile protezione dell’ambiente che la libertà per le imprese americane”.
[2] La connessione è con un rapporto a cura di Ruth Greenspan Bell del World Resources Institute, che cita stime – dal 1999 al 2009 – di maggiori costi per le imprese tra 43 e 55 miliardi di dollari, contro benefici complessivi tra i 128 ed i 616 miliardi di dollari. Queste stime derivano a loro volta da uno studio dell’Ufficio della Gestione e del Bilancio della Casa Bianca.
[3] Ultimi rampolli di una dinastia americana nel settore dei prodotti petroliferi, principali finanziatori della destra negli Stati Uniti.
By mm
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