JAN 29 1:42 PM
by Paul Krugman
Cardiff Garcia has a nice piece trying to figure out what might happen to the economy under Trump, taking off from the classic Dornbusch-Edwards analysis of macroeconomic populism in Latin America. Garcia notes that surging government spending and mandated wage hikes tend to produce a temporary “sugar high”, followed by a crash. Nice idea – but I suspect highly misleading, because Trump isn’t a real populist, he just plays one on reality TV.
The Dornbusch-Edwards essay focused on the examples of Allende’s Chile and Garcia’s Peru; an update would presumably look at Argentina, Venezuela, and others. But how relevant are these examples to Trump’s America?
Allende, for example, was a real populist, who seriously tried to push up wages and drastically increased spending. Here’s Chilean government consumption spending as a share of GDP:
That’s huge; in the U.S. context it would mean boosting spending by almost $1 trillion each year.
Is Trump on course to do anything similar? He’s selected a cabinet of plutocrats, with a labor secretary bitterly opposed to minimum wage hikes. He talks about infrastructure, but the only thing that passes for a plan is a document proposing some tax credits for private investors, which wouldn’t involve much public outlay even if they did lead to new investment (as opposed to giveaways for investment that would have taken place anyway.) He does seem set to blow up the deficit, but via tax cuts for the wealthy; benefits for the poor and middle class seem set for savage cuts.
Why, then, does anyone consider him a “populist”? It’s basically all about affect, about coming across as someone who’ll stand up to snooty liberal elitists (and of course validate salt-of-the-earth, working-class racism.) Maybe some protectionism; but there’s no hint that his economic program will look anything like populism abroad.
In which case, why would we even get the “sugar high” of populisms past? A tax-cut-driven boom is possible, I guess. But there won’t be much stimulus on the spending side.
La macroeconomia del populismo da reality-TV
di Paul Krugman
Cardiff Garcia pubblica un bell’articolo con il quale cerca di immaginare cosa potrebbe accadere all’economia sotto Trump, prendendo le mosse dalla classica analisi del populismo in America Latina di Dornbusch-Edwards. Garcia osserva che il rialzo della spesa pubblica gli aumenti dei salari (minimi) obbligatori tendono a generare un temporaneo “alto livello degli zuccheri”, seguito da un crollo. Idea carina – ma io sospetto profondamente fuorviante, perché Trump non è un populista vero, ma solo si atteggia ad esserlo nella reality-TV.
Il saggio di Dornbusch-Edwards si concentrava sugli esempi del Cile di Allende e del Perù di Garcia, un aggiornamento presumibilmente riguarderebbe il Venezuela, l’Argentina ed altri. Ma quanto sono attinenti questi esempi all’America di Trump?
Allende, per esempio, era un vero populista, che cercò seriamente di spingere in alto i salari e aumentò in modo drastico la spesa pubblica. Ecco la spesa dei consumi del Governo cileno come percentuale del PIL:
È un dato elevato: nel contesto degli Stati Uniti significherebbe spingere la spesa per circa mille miliardi di dollari all’anno.
Trump è in procinto di far qualcosa del genere? Ha selezionato un gabinetto di plutocrati, con un Segretario al Lavoro che si è opposto aspramente al rialzo dei minimi salariali. Parla di infrastrutture, ma la solo cosa che assomiglia ad un programma è un documento che propone alcuni crediti di imposta per gli investitori privati, che non comporterebbe molto esborso di denaro pubblico neanche se comportasse nuovi investimenti (diversamente da regalie per investimenti che ci sarebbero stati comunque). Egli sembra veramente disposto a far saltare il deficit, ma attraverso sgravi fiscali ai ricchi; i benefici per i poveri e la classe media sembrano programmati nella forma di tagli selvaggi.
Perché, allora, si dovrebbe considerarlo un “populista”? Fondamentalmente è tutto relativo al fingere, al dare l’impressione di essere uno che scenderà in campo contro gli altezzosi progressisti delle élite (e naturalmente di corroborare il razzismo dei lavoratori per bene [1]). Forse un po’ di protezionismo; ma non c’è alcun cenno che il suo programma economico assomiglierà in nulla al populismo all’estero.
Nel qual caso, perché mai potremmo avere quegli “alti livelli degli zuccheri” dei populismi passati? Suppongo che una espansione guidata dagli sgravi fiscali sia possibile. Ma non ci sarà molto stimolo sul lato della spesa.
[1] Forse la traduzione merita un chiarimento. L’espressione “sale della terra” ha una origine evangelica, con essa Gesù si rivolse ai suoi seguaci, intendendo che essi, pure in minoranza, sarebbero stati il lievito dell’umanità. Mi pare che in inglese questo significato originario richieda una formulazione per esteso (“The salt of the earth”), mentre la forma aggettivale (“salt-of-earth”) si riferisca alla dote della “santità”, oppure della “rispettabilità”, o anche dell’essere semplicemente “persone per bene” (“decent”).
In questo caso, dunque, mi pare corretto intenderlo come una aggettivazione della “working class”, intendendo con ciò quei “lavoratori per bene” che, secondo la concezione della destra americana, non possono non essere provvisti anche di una certa dose di razzismo.
By mm
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