Paul Krugman FEB. 3, 2017
For the past couple of months, thoughtful people have been quietly worrying that the Trump administration might get us into a foreign policy crisis, maybe even a war.
Partly this worry reflected Donald Trump’s addiction to bombast and swagger, which plays fine in Breitbart and on Fox News but doesn’t go down well with foreign governments. But it also reflected a cold view of the incentives the new administration would face: as working-class voters began to realize that candidate Trump’s promises about jobs and health care were insincere, foreign distractions would look increasingly attractive.
The most likely flash point seemed to be China, the subject of much Trumpist tough talk, where disputes over islands in the South China Sea could easily turn into shooting incidents.
But the war with China will, it seems, have to wait. First comes Australia. And Mexico. And Iran. And the European Union. (But never Russia.)
And while there may be an element of cynical calculation in some of the administration’s crisismongering, this is looking less and less like a political strategy and more and more like a psychological syndrome.
The Australian confrontation has gotten the most press, probably because it’s so weirdly gratuitous. Australia is, after all, arguably America’s most faithful friend in the whole world, a nation that has fought by our side again and again. We will, of course, have disputes, as any two nations will, but nothing that should disturb the strength of our alliance — especially because Australia is one of the countries we will need to rely on if there is a confrontation with China.
But this is the age of Trump: In a call with Malcolm Turnbull, Australia’s prime minister, the U.S. president boasted about his election victory and complained about an existing agreement to take some of the refugees Australia has been holding, accusing Mr. Turnbull of sending us the “next Boston bombers.” Then he abruptly ended the conversation after only 25 minutes.
Well, at least Mr. Trump didn’t threaten to invade Australia. In his conversation with President Enrique Peña Nieto of Mexico, however, he did just that. According to The Associated Press, he told our neighbor’s democratically elected leader: “You have a bunch of bad hombres down there. You aren’t doing enough to stop them. I think your military is scared. Our military isn’t, so I just might send them down to take care of it.”
White House sources are now claiming that this threat — remember, the U.S. has in fact invaded Mexico in the past, and the Mexicans have not forgotten — was a lighthearted joke. If you believe that, I have a Mexico-paid-for border wall to sell you.
The blowups with Mexico and Australia have overshadowed a more conventional war of words with Iran, which tested a missile on Sunday. This was definitely a provocation. But the White House warning that it was “putting Iran on notice” raises the question, notice of what? Given the way the administration has been alienating our allies, tighter sanctions aren’t going to happen. Are we ready for a war?
There was also a curious contrast between the response to Iran and the response to another, more serious provocation: Russia’s escalation of its proxy war in Ukraine. Senator John McCain called on the president to help Ukraine. Strangely, however, the White House has said nothing at all about Russia’s actions. This is getting a bit obvious, isn’t it?
Oh, and one more thing: Peter Navarro, head of Mr. Trump’s new National Trade Council, accused Germany of exploiting the United States with an undervalued currency. There’s an interesting economics discussion to be had here, but government officials aren’t supposed to make that sort of accusation unless they’re prepared to fight a trade war. Are they?
I doubt it. In fact, this administration doesn’t seem prepared on any front. Mr. Trump’s confrontational phone calls, in particular, don’t sound like the working out of an economic or even political strategy — cunning schemers don’t waste time boasting about their election victories and whining about media reports on crowd sizes.
No, what we’re hearing sounds like a man who is out of his depth and out of control, who can’t even pretend to master his feelings of personal insecurity. His first two weeks in office have been utter chaos, and things just keep getting worse — perhaps because he responds to each debacle with a desperate attempt to change the subject that only leads to a fresh debacle.
America and the world can’t take much more of this. Think about it: If you had an employee behaving this way, you’d immediately remove him from any position of responsibility and strongly suggest that he seek counseling. And this guy is commander in chief of the world’s most powerful military.
Thanks, Comey.
Donald la minaccia, di Paul Krugman
New York Times 3 febbraio 2017
Nei due mesi passati, persone riflessive si sono sommessamente preoccupate che la Amministrazione Trump potesse portarci ad una crisi della politica internazionale, forse addirittura ad una guerra.
In parte questa preoccupazione rifletteva la dipendenza di Donald Trump dalla retorica e dalla sfrontatezza, che funziona bene su Breitbart [1] e su Fox News, ma non risulta gradevole ai Governi stranieri. Ma rifletteva anche una fredda valutazione sulle motivazioni che la nuova Amministrazione avrebbe ricevuto: al momento in cui gli elettori della classe lavoratrice avessero cominciato a comprendere che le promesse del candidato sui posti di lavoro e sull’assistenza sanitaria erano insincere, i diversivi internazionali sarebbero apparsi sempre di più attraenti.
Il più probabile punto critico sembrava la Cina, l’oggetto di buona parte della dura retorica trumpista, dove le dispute sulle isole nel Mare della Cina Meridionale potevano facilmente tradursi in incidenti armati.
Ma sembra che la guerra con la Cina dovrà attendere. Nell’ordine, arriva prima l’Australia, e il Messico, e l’Iran, e l’Unione Europea. Ma mai la Russia.
E se ci può essere un elemento di cinico calcolo in questo spargimento di crisi da parte della Amministrazione, essa appare sempre meno una strategia politica e sempre più una patologia psicologica.
Lo scontro con l’Australia ha ricevuto la maggior parte dell’attenzione della stampa, probabilmente per la sua bizzarra gratuità. Dopo tutto, l’Australia è probabilmente l’amico più fedele nel mondo intero, una nazione che ha combattuto infinite volte al nostro fianco. Avremo dispute, come accade naturalmente a due nazioni, ma niente che possa disturbare la solidità della nostra alleanza – in particolare perché l’Australia è uno dei paesi sui quali dovremo far conto nell’ipotesi di uno scontro con la Cina.
Ma questa è l’epoca di Trump: in una telefonata con Malcolm Turnbull, il Primo Ministro australiano, il Presidente degli Stati Uniti si è vantato della sua vittoria elettorale e si è lamentato di un accordo esistente per ricevere alcuni rifugiati che l’Australia sta trattenendo, accusando il signor Turnbull di volerci spedire i “prossimi attentatori di Boston” Poi ha improvvisamente chiuso la conversazione dopo appena 25 minuti.
Ebbene, almeno Trump non ha minacciato di invadere l’Australia. È quello che invece ha fatto nella sua conversazione con Enrique Peña Nieto, il Presidente del Messico. Secondo l’Associated Press, ha detto al leader democraticamente eletto dei nostri vicini: “Avete un mucchio di cattivi soggetti da quelle parti. Non state facendo abbastanza per fermarli. Penso che le vostre forze armate siano spaventate. Le nostre non lo sono, dunque potrei spedirle laggiù per occuparsene.”
Fonti della Casa Bianca stanno ora sostenendo che questa minaccia – si tenga a mente che gli Stati Uniti hanno invaso il Messico nel passato, e i messicani non l’hanno dimenticato – era uno scherzo insignificante. Se ci credete, avrei da proporvi la storiella del muro al confine ripagato dal Messico.
Gli scatti d’ira con il Messico e l’Australia hanno messo in ombra una guerra di parole più convenzionale con l’Iran, che domenica ha sperimentato un missile. Ma l’avvertimento della Casa Bianca, secondo il quale questo fatto “metteva l’Iran sull’avviso”, solleva la domanda: avviso di che cosa? Dato il modo in cui la Amministrazione sta alienandosi i nostri alleati, non è probabile che ci siano sanzioni più severe. Siamo pronti per una guerra?
C’è stato anche un curioso contrasto tra la risposta all’Iran e la risposta ad un’altra, più seria, provocazione: l’escalation della Russia nella sua guerra per procura in Ucraina.
Il Senatore John McCain ha lanciato un appello al Presidente per un aiuto all’Ucraina. Tuttavia, stranamente, la Casa Bianca non ha detto proprio niente sulle azioni della Russia. Sta diventando un po’ ovvio, non è così?
Infine, un’ultima cosa: Peter Navarro, a capo del Nuovo Consiglio Nazionale sul Commercio di Trump. Ha accusato la Germania di approfittarsi degli Stati Uniti con una moneta svalutata. Ci sarebbe un interessante dibattito economico da sviluppare su questo tema, ma i dirigenti del Governo non si suppone avanzino accuse del genere solo se sono preparati a sostenere una guerra commerciale? Lo sono?
Io lo dubito. Di fatto, questa Amministrazione non sembra preparata su nessun fronte. Le telefonate aggressive di Trump, in particolare, non somigliano ad un calcolo di una strategia economica o anche politica – i cospiratori scaltri non perdono tempo a vantarsi delle loro vittorie elettorali e non si lamentano sui resoconti dei media sulle dimensioni delle loro folle.
No, quello cui stiamo assistendo fa pensare ad un uomo che è fuori dalle sue possibilità e dal suo controllo, che non può neppure fingere di padroneggiare i sentimenti della sua personale insicurezza. Le sue due prime settimane in carica sono state un caos completo, e le cose continuano semplicemente a peggiorare – forse perché egli risponde a ciascuna débâcle con un tentativo disperato di cambiare argomento, tentativo che porta soltanto a una nuova débâcle.
Da tutto ciò, l’America e il mondo non possono accettare molto altro. Ci si rifletta: se aveste un impiegato che si comporta in questo modo, lo rimuovereste immediatamente da ogni incarico di responsabilità e lo consigliereste calorosamente di cercarsi una forma di assistenza psicologica. E questo personaggio è il comandante in capo delle forze armate più potenti al mondo.
Grazie, Comey.
[1] È il blog di Bannon, il consigliere di estrema destra di Trump.
By mm
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