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Come usare l’indignazione, di Paul Krugman (New York Times 27 febbraio 2017)

 

The Uses of Outrage

Paul Krugman FEB. 27, 2017

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Are you angry about the white nationalist takeover of the U.S. government? If so, you are definitely not alone. The first few weeks of the Trump administration have been marked by huge protests, furious crowds at congressional town halls, customer boycotts of businesses seen as Trump allies. And Democrats, responding to their base, have taken a hard line against cooperation with the new regime.

But is all this wise? Inevitably, one hears some voices urging everyone to cool it — to wait and see, to try to be constructive, to reach out to Trump supporters, to seek ground for compromise.

Just say no.

Outrage at what’s happening to America isn’t just justified, it’s essential. In fact, it may be our last chance of saving democracy.

Even in narrowly partisan terms, Democrats would be well advised to keep listening to their base. Anyone who claims that being seen as obstructionist will hurt them politically must have slept through the past couple of decades. Were Democrats rewarded for cooperating with George W. Bush? Were Republicans punished for their scorched-earth opposition to President Obama? Get real.

It’s true that white working-class voters, the core of Donald Trump’s support, don’t seem to care about the torrent of scandal: They won’t turn on him until they realize that his promises to bring back jobs and protect their health care were lies. But remember, he lost the popular vote, and would have lost the Electoral College if a significant number of college-educated voters hadn’t been misled by the media and the F.B.I. into believing that Hillary Clinton was somehow even less ethical than he was. Those voters are now having a rude awakening, and need to be kept awake.

Outrage may be especially significant for the 2018 midterm elections: the districts that will determine whether Democrats can take back the House next year have both relatively well-educated voters and large Hispanic populations, both groups likely to care about Trump malfeasance even if the white working class doesn’t (yet).

But there is a much bigger issue here than partisan politics, important as that is, given the evident determination of a Republican Congress to cover up whatever Mr. Trump does. For democracy itself is very much on the line, and an outraged populace may be our last defense.

Mr. Trump is clearly a would-be autocrat, and other Republicans are his willing enablers. Does anyone doubt it? And given this reality, it’s completely reasonable to worry that America will go the route of other nations, like Hungary, which remain democracies on paper but have become authoritarian states in practice.

How does this happen? A crucial part of the story is that the emerging autocracy uses the power of the state to intimidate and co-opt civil society — institutions outside the government proper. The media are bullied and bribed into becoming de facto propaganda organs of the ruling clique. Businesses are pressured to reward the clique’s friends and punish its enemies. Independent public figures are pushed into collaboration or silence. Sound familiar?

But an outraged populace can and must push back, using the power of disapproval to counter the influence of a corrupted government.

This means supporting news organizations that do their job and shunning those that act as agents of the regime. It means patronizing businesses that defend our values and not those willing to go along with undermining them. It means letting public figures, however nonpolitical their professions, know that people care about the stands they take, or don’t. For these are not normal times, and many things that would be acceptable in a less fraught situation aren’t O.K. now.

For example, it is not O.K. for newspapers to publish he-said-she-said pieces that paper over administration lies, let alone beat-sweetening puff pieces about Trump allies. It’s not O.K. for businesses to supply Mr. Trump with photo ops claiming undeserved credit for job creation — or for business leaders to serve on “advisory” panels that are really just another kind of photo op.

It’s not even O.K. to go golfing with the president, saying that it’s about showing respect for the office, not the man. Sorry, but when the office is held by someone trying to undermine the Constitution, doing anything that normalizes him and lends him respectability is a political act.

I’m sure many readers would rather live in a nation in which more of life could be separated from politics. So would I! But civil society is under assault from political forces, so that defending it is, necessarily, political. And justified outrage must fuel that defense. When neither the president nor his allies in Congress show any sign of respecting basic American values, an aroused public that’s willing to take names is all we have.

 

Come usare l’indignazione, di Paul Krugman

New York Times 27 febbraio 2017

Siete indignati per la presa del potere da parte dei nazionalisti bianchi? Se lo siete, di certo non siete soli. Le prime settimane della amministrazione Trump sono state segnate da vaste proteste, da moltitudini indignate negli incontri dei congressisti con i loro elettorati nei vari municipi [1], dai boicottaggi delle imprese considerate favorevoli a Trump da parte dei loro clienti. E i democratici, in sintonia con la loro base, hanno assunto una linea dura di non collaborazione col nuovo regime.

Ma tutto questo è saggio? Come era inevitabile, si sentono voci che ammoniscono tutti a star calmi – ad aspettare e stare a vedere, a cercare di essere costruttivi, ad aprire un dialogo con i sostenitori di Trump, a cercare terreni per compromessi.

Dite semplicemente di no.

L’indignazione per ciò che sta accadendo all’America non è soltanto giustificata, è essenziale. In sostanza, può essere la nostra ultima possibilità di salvare la democrazia.

Persino in termini strettamente di parte, un buon consiglio per i democratici è di continuare ad ascoltare la loro base. Chiunque sostenga che essere considerati come ostruzionisti sarebbe un danno politico deve aver dormito alla grande negli ultimi due decenni. Ebbero forse un premio i democratici per aver collaborato con George W. Bush? Sono stati puniti i repubblicani per la loro opposizione da terra bruciata al Presidente Obama? Siamo seri.

È vero che gli elettori della classe operaia bianca, cruciali nel sostegno a Trump, non sembrano preoccuparsi per la valanga di scandali: non gli volteranno le spalle finché non capiranno che le sue promesse di riportare posti di lavoro e di proteggere la loro assistenza sanitaria erano menzogne. Ma si ricordi che egli è stato sconfitto nel voto popolare, e avrebbe perso anche nel Collegio Elettorale se un numero significativo di elettori con istruzione superiore non fossero stati fuorviati dai media e dall’FBI a credere che Hillary Clinton era addirittura meno onesta di lui. Quegli elettori stanno adesso conoscendo un brusco risveglio, ed hanno bisogno di essere aiutati a restare svegli.

L’indignazione potrebbe essere particolarmente significativa in occasione delle elezioni di medio termine del 2018: i collegi elettorali che stabiliranno se i democratici potranno riprendere il controllo della Camera dei Rappresentanti il prossimo anno hanno un elettorato che ha un buon grado di istruzione e che è composto in larga parte da popolazione ispanica, gruppi che è probabile siano interessati alle malefatte di Trump anche se i lavoratori bianchi (ancora) non se ne curano.

Ma in questo caso c’è un tema molto più grande della politica di parte, per l’importanza che esso ha, considerata l’evidente determinazione del Congresso a maggioranza repubblicana a dare una copertura a tutto quello che Trump fa. Perché è la democrazia stessa ad essere in gioco, e una popolazione indignata può essere la nostra ultima difesa.

Chiaramente Trump è un aspirante autocrate, e gli altri repubblicani lo sostengono con piena disponibilità. C’è qualcuno che può metterlo in dubbio? Considerato questo dato di fatto, è del tutto ragionevole preoccuparsi che l’America prenda l’indirizzo di altre nazioni, come l’Ungheria, che sulla carta restano democrazie ma nella pratica sono diventati Stati autoritari.

Come accade una cosa del genere? Un aspetto cruciale di queste vicende è che le autocrazie emergenti utilizzano il potere dello Stato per intimidire e cooptare la società civile – ovvero quelle istituzioni che sono esterne al Governo in senso stretto. I media subiscono prepotenze e vengono corrotti per diventare di fatto organi di propaganda dei gruppi dominanti. Le imprese sono sollecitate a premiare gli amici delle cricche di governo e a punire i loro nemici. I personaggi pubblici indipendenti sono spinti alla collaborazione o al silenzio. Sono cose che vi suonano familiari?

Ma una popolazione indignata può e deve resistere, usando il potere del dissenso per contrastare l’influenza di un Governo corrotto.

Questo significa dare il proprio sostegno alle organizzazioni nel settore dell’informazione che fanno il loro lavoro e rigettare quelle che agiscono come agenti del regime. Significa avere rapporti con le imprese che sostengono i nostri valori e non con quelle che sono disponibili ad acconsentire a metterli a repentaglio. Significa fare in modo che le personalità pubbliche, per quanto esercitino professioni non direttamente politiche, sappiano che le persone sono attente alle posizioni che assumono o non assumono. Perché questi non sono tempi normali, e molte cose che sarebbero accettabili in una situazione meno inquietante, adesso non sono più giuste.

Ad esempio, non è giusto che i giornali pubblichino articoli nello stile di una falsa imparzialità che nasconde le bugie della Amministrazione, per non dire degli articoli compiacenti in cambio di favoritismi con gli amici di Trump. Non è giusto che le imprese forniscano a Trump servizi fotografici che vantano meriti immeritati per la creazione di posti di lavoro – oppure che dirigenti di impresa si prestino a incontri “di consulenza” che sono solo un altro modo di fare servizi fotografici.

Non è neanche giusto andare a giocare a golf con il Presidente [2], dicendo che era un modo per mostrare rispetto per la carica, non per l’uomo. Mi dispiace, ma quando la carica è detenuta da un individuo che cerca di minare la Costituzione, fare ogni cosa che lo faccia apparire normale e gli dia rispettabilità è un atto politico.

Sono certo che molti lettori vorrebbero piuttosto vivere in una nazione nella quale la maggior parte della esistenza sia separata dalla politica. Lo vorrei anch’io! Ma la società civile è sottoposta ad un assalto da forze politiche, cosicché difenderla è necessariamente un atto politico. E l’indignazione giustificata deve alimentare tale difesa. Quando né il Presidente né i suoi sostenitori nel Congresso mostrano alcun segno di rispetto per i valori fondamentali degli americani, una opinione pubblica esacerbata alla quale venga la voglia di dare un nome e un cognome ai suoi nemici è tutto quello che abbiamo.

 

 

 

[1] Gli incontri dei congressisti con i propri elettorati presso i municipi – che vengono chiamati “town hall meetings”, ovvero incontri nelle sale municipali, ma possono aver luogo presso scuole, biblioteche, anche chiese – sono incontri dei congressisti eletti, ai quali vengono invitati i loro elettori per fare il punto sulla situazione generale della politica, e soprattutto su temi specifici. Come, ad esempio, in queste settimane il tema della cosiddetta “abrogazione e sostituzione” della legge di riforma della assistenza sanitaria di Obama. Molti dirigenti repubblicani si sono trovati di recente ad affrontare assemblee piuttosto irritate dalla prospettiva di un drastico nuovo aumento delle persone prive di assicurazione sanitaria. Nella foto, un incontro di questo genere nel Connecticut:

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[2] Non è casuale; ha provocato sconcerto il fatto che il numero 3 del golf mondiale Roy McIlroy si sia prestato ad un incontro di golf con Trump.

 

 

 

 

 

 

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