By Paul Krugman
MARCH 20, 2017 11:11
And now for something completely different. Ryan Avent has a nice summary of the argument in his recent book, trying to explain how dramatic technological change can go along with stagnant real wages and slowish productivity growth. As I understand it, he’s arguing that the big tech changes are happening in a limited sector of the economy, and are driving workers into lower-wage and lower-productivity occupations.
But I have to admit that I was having a bit of a hard time wrapping my mind around exactly what he’s saying, or how to picture this in terms of standard economic frameworks. So I found myself wanting to see how much of his story could be captured in a small general equilibrium model — basically the kind of model I learned many years ago when studying the old trade theory.
Actually, my sense is that this kind of analysis is a bit of a lost art. There was a time when most of trade theory revolved around diagrams illustrating two-country, two-good, two-factor models; these days, not so much. And it’s true that little models can be misleading, and geometric reasoning can suck you in way too much. It’s also true, however, that this style of modeling can help a lot in thinking through how the pieces of an economy fit together, in ways that algebra or verbal storytelling can’t.
So, an exercise in either clarification or nostalgia — not sure which — using a framework that is basically the Lerner diagram, adapted to a different issue.
Imagine an economy that produces only one good, but can do so using two techniques, A and B, one capital-intensive, one labor-intensive. I represent these techniques in Figure 1 by showing their unit input coefficients:
Here AB is the economy’s unit isoquant, the various combinations of K and L it can use to produce one unit of output. E is the economy’s factor endowment; as long as the aggregate ratio of K to L is between the factor intensities of the two techniques, both will be used. In that case, the wage-rental ratio will be the slope of the line AB.
Wait, there’s more. Since any point on the line passing through A and B has the same value, the place where it hits the horizontal axis is the amount of labor it takes to buy one unit of output, the inverse of the real wage rate. And total output is the ratio of the distance along the ray to E divided by the distance to AB, so that distance is 1/GDP.
You can also derive the allocation of resources between A and B; not to clutter up the diagram even further, I show this in Figure 2, which uses the K/L ratios of the two techniques and the overall endowment E:
Now, Avent’s story. I think it can be represented as technical progress in A, perhaps also making A even more capital-intensive. So this would amount to a movement southwest to a point like A’ in Figure 3:
We can see right away that this will lead to a fall in the real wage, because 1/w must rise. GDP and hence productivity does rise, but maybe not by much if the economy was mostly using the labor-intensive technique.
And what about allocation of labor between sectors? We can see this in Figure 4, where capital-using technical progress in A actually leads to a higher share of the work force being employed in labor-intensive B:
So yes, it is possible for a simple general equilibrium analysis to capture a lot of what Avent is saying. That does not, of course, mean that he’s empirically right. And there are other things in his argument, such as hypothesized effects on the direction of innovation, that aren’t in here.
But I, at least, find this way of looking at it somewhat clarifying — which, to be honest, may say more about my weirdness and intellectual age than it does about the subject.
Geometria del robot (per molto esperti),
di Paul Krugman
E adesso passiamo a qualcosa di molto diverso. Ryan Avent pubblica un bel sommario dell’argomento di un suo libro recente, cercando di spiegare come uno spettacolare mutamento tecnologico possa non essere in contraddizione con salari reali stagnanti e con una crescita della produttività piuttosto lenta. Da quello che comprendo, egli sta sostenendo che i grandi cambiamenti tecnologici stanno avendo luogo in un limitato settore dell’economia, e stanno spingendo i lavoratori verso occupazioni a più basso salario e a più bassa produttività.
Ma devo ammettere di aver avuto un po’ di difficoltà nel cercar di capire esattamente quello che dice, ovvero su come inquadrarlo nei termini di modelli economici tradizionali. Mi sono dunque ritrovato a voler vedere come buona parte di questa storia potrebbe essere espressa in un piccolo modello generale di equilibrio – fondamentalmente il modello che appresi molti anni fa quando studiavo la vecchia teoria del commercio.
In effetti, la mia sensazione è che questo genere di analisi sia un po’ un’arte smarrita. C’era un tempo nel quale gran parte della teoria commerciale ruotava intorno a diagrammi che illustravano due paesi, due beni, modelli a due fattori; oggi non è proprio così. Ed è vero che i piccoli modelli possono ingannare, e i ragionamenti geometrici possono risucchiarvi in un modo esagerato. È anche vero, tuttavia, che questo stile di modellazione può aiutare molto nel riflettere su come i pezzi di un’economia stanno assieme, in un modo che l’algebra o la narrazione verbale di storie non possono fare.
Dunque, un esercizio sia di chiarificazione che di nostalgia – non sono sicuro di cosa si tratti – utilizzando uno schema che è fondamentalmente il diagramma di Lerner [1], adattato ad un soggetto diverso.
Si immagini un’economia che produce soltanto un bene, ma può farlo utilizzando due tecniche, la tecnica A e la tecnica B, una ad alta intensità di capitale ed una ad alta intensità di lavoro. Rappresento queste tecniche nella Figura 1 mostrando i loro coefficienti di immissione per componente:
In questo caso AB è l’isoquanto [2] relativo ad una unità di un bene dell’economia, le varie combinazioni di K e di L [3] che esso può usare per produrre una unità di prodotto. E è il fattore di dotazione dell’economia [4]; finché il rapporto aggregato di K su L si colloca tra le intensità di fattore delle due tecniche, esse saranno entrambe utilizzate. In quel caso, il rapporto tra il salario e il prezzo di locazione del capitale sarà rappresentato dalla inclinazione della linea AB.
Aspettate, c’è dell’altro. Dal momento che ogni punto della linea che collega A e B ha lo stesso valore, il luogo dove esso tocca l’asse orizzontale è la quantità di lavoro che serve per acquistare una unità di prodotto, l’inverso del tasso salariale reale. E la produzione totale è il rapporto della distanza lungo il raggio verso il punto E diviso per la distanza verso la linea AB, cosicché quella distanza è 1/PIL.
Si può anche dedurre l’allocazione delle risorse tra A e B; per non ingombrare ancora di più il diagramma, lo mostro nella Figura 2, che utilizza i rapporti tra capitale e lavoro delle due tecniche e la dotazione complessiva E:
Veniamo adesso alla spiegazione di Avent. Penso che essa possa essere rappresentata come il progresso tecnico in A, forse anche rendendo A a maggiore intensità di capitale. Cosicché questo corrisponderebbe ad uno spostamento verso sud ovest sino ad un punto simile ad A’ nella Figura 3:
Possiamo subito osservare che questo porterà ad una caduta del salario reale, perché 1/w deve crescere. Il PIL e di conseguenza la produttività effettivamente crescono, ma forse non di quanto crescerebbero se l’economia stesse soprattutto utilizzando la tecnica ad alta intensità di lavoro.
Cosa dire della allocazione del lavoro tra i settori? Lo possiamo vedere nella Figura 4, dove il progresso tecnico dell’utilizzo del capitale in A effettivamente porta ad una quota più elevata di forza lavoro che è occupata nella soluzione ad alta intensità di lavoro B:
Dunque è vero, è possibile ad una semplice analisi generale di equilibrio fissare molto di quello che Avent sta sostenendo. Ciò non significa che egli, ovviamente, abbia ragione in senso empirico. Peraltro ci sono altre cose nella sua argomentazione, quali gli effetti ipotizzati sulla direzione dell’innovazione, che qua non sono rappresentati.
Ma, almeno, trovo questo modo di guardare al soggetto in qualche modo chiarificante – il che, ad essere onesti, può dire di più sulla mia stranezza e sulla mia età intellettuale che non sul soggetto stesso.
[1] Il Diagramma di Lerner (1952) è uno strumento per mettere in relazione i prezzi dei beni ed i prezzi dei fattori in un modello a due fattori e a due beni.
[2] L’isoquanto è l’insieme delle diverse combinazioni dei fattori produttivi ( input ) che consentono di produrre la stessa quantità di produzione totale ( output ). Gli isoquanti sono detti anche isoquanti di produzione e sono utilizzati in economia politica nella teoria dell’impresa.
[3] Capitale e lavoro.
[4] Per “factor endowment” normalmente si intende la somma di territorio, lavoro, capitale, imprenditoria che una economia ha a disposizione e può sfruttare nella attività manifatturiera.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"