Paul Krugman APRIL 7, 2017
This week’s New York Times interview with Donald Trump was horrifying, yet curiously unsurprising. Yes, the world’s most powerful man is lazy, ignorant, dishonest and vindictive. But we knew that already.
In fact, the most revealing thing in the interview may be Mr. Trump’s defense of Bill O’Reilly, accused of sexual predation and abuse of power: “He’s a good person.” This, I’d argue, tells us more about both the man from Mar-a-Lago and the motivations of his base than his ramblings about infrastructure and trade.
First, however, here’s a question: How much difference has it made, really, that Donald Trump rather than a conventional Republican sits in the White House?
The Trump administration is, by all accounts, a mess. The vast majority of key presidential appointments requiring Senate confirmation are unfilled; whatever people are in place are preoccupied with factional infighting. Decision-making sounds more like palace intrigues in a sultan’s seraglio than policy formulation in a republic. And then there are those tweets.
Yet Mr. Trump’s first great policy and political debacle — the ignominious collapse of the effort to kill Obamacare — owed almost nothing to executive dysfunction. Repeal-and-replace didn’t face-plant because of poor tactics; it failed because Republicans have been lying about health care for eight years. So when the time came to propose something real, all they could offer were various ways to package mass loss of coverage.
Similar considerations apply on other fronts. Tax reform looks like a bust, not because the Trump administration has no idea what it’s doing (although it doesn’t), but because nobody in the G.O.P. ever put in the hard work of figuring out what should change and how to sell those changes.
What about areas where Mr. Trump sometimes sounds very different from ordinary Republicans, like infrastructure?
A push for a genuine trillion-dollar construction plan (as opposed to tax credits and privatization), which would need Democratic support given the predictable opposition from conservatives, would be a departure. But given what we heard in the interview — basically incoherent word salad mixed with random remarks about transportation in Queens — it’s clear that the administration has no actual infrastructure plan, and probably never will.
True, there are some places where Mr. Trump does seem likely to have a big impact — most notably, in crippling environmental policy. But that’s what any Republican would have done; climate change denialism and the belief that our air and water are too clean are mainstream positions in the modern G.O.P.
So Trumpist governance in practice so far is turning out to be just Republican governance with (much) worse management. Which brings me back to the original question: Does the appalling character of the man on top matter?
I think it does. The substance of Trump policy may not be that distinctive in practice. But style matters, too, because it shapes the broader political climate. And what Trumpism has brought is a new sense of empowerment to the ugliest aspects of American politics.
By now there’s a whole genre of media portraits of working-class Trump supporters (there are even parody versions). You know what I mean: interviews with down-on-their-luck rural whites who are troubled to learn that all those liberals who warned them that they would be hurt by Trump policies were right, but still support Mr. Trump, because they believe that liberal elites look down on them and think they’re stupid. Hmm.
Anyway, one thing the interviewees often say is that Mr. Trump is honest, that he tells it like is, which may seem odd given how much he lies about almost everything, policy and personal. But what they probably mean is that Mr. Trump gives outright, unapologetic voice to racism, sexism, contempt for “losers” and so on — feelings that have always been an important source of conservative support, but have long been things you weren’t supposed to talk about openly.
In other words, Mr. Trump isn’t an honest man or a stand-up guy, but he is, arguably, less hypocritical about the darker motives underlying his worldview than conventional politicians are.
Hence the affinity for Mr. O’Reilly, and Mr. Trump’s apparent sense that news reports about the TV host’s actions are an indirect attack on him. One way to think about Fox News in general, and Mr. O’Reilly in particular, is that they provide a safe space for people who want an affirmation that their uglier impulses are, in fact, justified and perfectly O.K. And one way to think about the Trump White House is that it’s attempting to expand that safe space to include the nation as a whole.
And the big question about Trumpism — bigger, arguably, than the legislative agenda — is whether unapologetic ugliness is a winning political strategy.
Il cattivo, il dannoso e il minaccioso, di Paul Krugman
New York Times 7 aprile 2017
L’intervista di questa settimana di Donald Trump sul New York Times era spaventosa, eppure curiosamente non sorprendente. È vero, l’uomo più potente al mondo è trasandato, ignorante, disonesto e vendicativo. Ma questo lo sapevamo già.
Nei fatti, forse l’aspetto più rivelatore dell’intervista è la difesa di Trump di Bill O’Reilly [1], accusato di violenze sessuali e di abuso di potere: “E’ una brava persona”. Direi che questo ci dice di più sia sull’uomo di Mar-a-Lago e sulle motivazioni del suo elettorato che non le sue contorsioni sulle infrastrutture e sul commercio.
C’è, tuttavia, una domanda preliminare: quanto è davvero grande la differenza tra Donald Trump e un normale repubblicano alla Casa Bianca?
L’Amministrazione Trump, da tutti i punti di vista, è un disastro. La grande maggioranza delle nomine cruciali del Presidente che richiedono una approvazione del Senato è incompiuta; chiunque sia in carica è ossessionato da possibili conflitti sulla sua correttezza [2]. L’assunzione delle decisioni somiglia di più agli intrighi di palazzo nel serraglio di un sultano che ai processi della politica in una repubblica. E poi ci sono quei tweet.
Tuttavia la prima grande iniziativa concreta e sconfitta politica di Trump – il crollo ignominioso del tentativo di liquidare la riforma sanitaria di Obama – non è dipesa quasi per niente da un cattivo funzionamento dell’esecutivo. L’obbiettivo della ‘abrogazione-e-sostituzione’ non è andato a sbattere per la modestia delle tattiche politiche; è fallito perché i repubblicani avevano detto menzogne sulla assistenza sanitaria per otto anni. Così, quando è venuto il momento di proporre qualcosa di concreto, tutto quello che avevano da offrire erano modi svariati per confezionare una massiccia riduzione della assistenza sanitaria.
Considerazioni simili si applicano su altri fronti. La riforma fiscale assomiglia a un fallimento non perché l’Amministrazione Trump non sappia cosa sta facendo (per quanto non lo sappia), ma perché nessuno nel Partito Repubblicano si è mai messo a fare il lavoro difficile di immaginare che cosa dovrebbe cambiare e come promuovere quei cambiamenti.
Che dire di quei settori nei quali talvolta il signor Trump appare molto diverso dai repubblicani normali, come le infrastrutture?
Una spinta per un effettivo piano di realizzazioni da un migliaio di miliardi di dollari (che è ben altra cosa dei crediti di imposta e delle privatizzazioni), che richiederebbe il sostegno dei democratici considerata la prevedibile contrarietà dei conservatori, sarebbe un punto di partenza. Ma considerato quello che abbiamo sentito nell’intervista – fondamentalmente un miscuglio di parole incoerenti mescolato con osservazioni casuali sul sistema dei trasporti pubblici nel Queens – è chiaro che l’Amministrazione non ha alcun effettivo programma di infrastrutture, e probabilmente non l’avrà mai.
È vero che ci sono alcuni settori nei quali sembra probabile che Trump abbia un grande impatto – soprattutto, in particolare, nell’azzoppare la politica per l’ambiente. Ma è quello che avrebbe fatto qualsiasi repubblicano; il negazionismo del cambiamento climatico e la convinzione che la nostra aria ed acqua siano anche troppo pulite sono posizioni largamente condivise nel Partito Repubblicano odierno.
Dunque, sino ad oggi in pratica il governo di Trump si sta rivelando semplicemente come un governo repubblicano con una gestione (molto) peggiore. Il che mi riporta alla domanda originaria: conta molto il carattere spaventoso dell’individuo che ha la massima carica?
Io penso che conti. In pratica, la politica di Trump può non essere così speciale. Ma conta anche lo stile, perché ad esso si conforma il più generale clima della politica. E ciò che il ‘trumpismo’ ha portato è stata una nuova sensazione di legittimazione degli aspetti più sgradevoli della politica americana.
C’è ormai, sui media, un intero genere di ritratti di sostenitori di Trump della classe lavoratrice (ci sono anche versioni parodistiche [3]). Sapete a cosa mi riferisco: interviste a bianchi caduti in miseria delle aree rurali che sono preoccupati di apprendere che tutti quei progressisti che avevano messo in guardia che sarebbero stati danneggiati dalle politiche di Trump avevano ragione, ma ancora lo sostengono, perché credono che le élite progressiste li guardino dall’alto in basso e pensino che sono stupidi. Chissà …. [4]
In ogni caso, una cosa che spesso le interviste dicono è che Trump è onesto, che parla come mangia, il che può sembrare curioso considerato come mente praticamente su tutto, dalle cose personali alla politica. Ma quello che intendono è probabilmente che Trump esprime direttamente, senza infingimenti, il razzismo, il sessismo, il disprezzo per i ‘perdenti’ e così via – sentimenti che sono sempre stati una fonte importante della base conservatrice, ma sono state a lungo cose che non si pensava di affermare apertamente.
In altre parole, Trump non è una persona onesta e neanche affidabile, ma è probabilmente meno ipocrita degli uomini politici convenzionali sui motivi più oscuri sui quali si basa la loro visione del mondo.
Lì si spiega l’affinità con O’Reilly e l’apparente sensazione di Trump seconda la quale i resoconti giornalistici sul conduttore televisivo sono un attacco indiretto alla sua persona. Un modo di inquadrare Fox News in generale, e il signor O’Reilly in particolare, è che essi forniscono uno spazio sicuro per persone che vogliono una conferma che i loro impulsi più sgradevoli siano, in sostanza, giustificati e perfettamente corretti. E un modo per inquadrare il Trump della Casa Bianca è che egli stia tentando di espandere quello spazio sicuro sino a includervi la nazione nel suo complesso.
E la grande questione sul ‘trumpismo’ – più grande, probabilmente, della agenda legislativa – è se la sgradevolezza senza attenuanti non sia per caso una strategia politica vincente.
[1] Giornalista e conduttore televisivo conservatore. Relativamente al periodo nel quale è stato conduttore a Fox News è stato accusato di molestie sessuali da varie dipendenti. Fox News e la collegata 21° Century Fox hanno pagato un totale di 13 milioni di dollari di risarcimenti per molestie sessuali e ‘abusi verbali’ nei confronti di cinque donne che avevano fatto causa a Bill O’Reilly.
Può interessare il fatto che il termine “sexual predator” venga usato, da quanto capisco, per indicare una gamma abbastanza ampia di comportamenti offensivi, che vanno dal libertinaggio, alle molestie allo stupro. Da un punto di vista etico, l’aspetto rilevante è che in ogni caso la donna è una preda.
E questo è Bill O’Reilly:
[2] L’espressione “factional infighting” è a suo modo interessante. “Infighting” non è semplicemente un conflitto, ma un conflitto tra rivali, o tra individui che appartengono ad una stessa comunità o gruppo. E “factional” rafforza il concetto, riferendosi alla “fazione”, alla “partigianeria” intesa come fisiologica espressione del diritto di un Partito a tutelare il proprio punto di vista. Ci si riferisce dunque alle possibili obiezioni che le varie candidature possono provocare nelle audizioni al Senato sulla candidabilità degli interessati alle nomine presidenziali, che sono sottoposte a tale vaglio.
[3] Nel senso della benevola ironia dell’articolo in connessione di Alexandra Petri, “Tutti i racconti che ho sentito dai sostenitori di Trump la settimana scorsa”, apparso sul Washington Post il 4 aprile. C’è anche una signora Clara Blarnik, maritata con un immigrato privo di permesso di soggiorno, alla quale viene chiesto se il suo voto non fosse stato un po’ contraddittorio. Risposta: “Questo non ditelo a Bert. Ma è da anni che cerco di trovare un modo non appariscente (unobtrusive) di rompere il mio matrimonio, e questa mi è sembrata proprio la scappatoia che stavo cercando”.
[4] La traduzione di espressioni quali “Hmm” si presta a varie sfumature in ogni lingua e dialetto – perplessità, dubbio, dubbio ironico, obiezione inespressa ma anche condivisione etc., come spiega questa vignetta (dalle mie parti una forte condivisione, seppure inespressa, si direbbe “Ammòò”, ma non sarebbe compresa neppure nel paese vicino).
By mm
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