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Perché non sono importanti tutti i posti di lavoro? Di Paul Krugman (New York Times 17 aprile 2017)

 

Why Don’t All Jobs Matter?

Paul Krugman APRIL 17, 2017

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President Trump is still promising to bring back coal jobs. But the underlying reasons for coal employment’s decline — automation, falling electricity demand, cheap natural gas, technological progress in wind and solar — won’t go away.

Meanwhile, last week the Treasury Department officially (and correctly) declined to name China as a currency manipulator, making nonsense of everything Mr. Trump has said about reviving manufacturing.

So will the Trump administration ever do anything substantive to bring back mining and manufacturing jobs? Probably not.

But let me ask a different question: Why does public discussion of job loss focus so intensely on mining and manufacturing, while virtually ignoring the big declines in some service sectors?

Over the weekend The Times Magazine published a photographic essay on the decline of traditional retailers in the face of internet competition. The pictures, contrasting “zombie malls” largely emptied of tenants with giant warehouses holding inventory for online sellers, were striking. The economic reality is pretty striking too.

Consider what has happened to department stores. Even as Mr. Trump was boasting about saving a few hundred jobs in manufacturing here and there, Macy’s announced plans to close 68 stores and lay off 10,000 workers. Sears, another iconic institution, has expressed “substantial doubt” about its ability to stay in business.

Overall, department stores employ a third fewer people now than they did in 2001. That’s half a million traditional jobs gone — about eighteen times as many jobs as were lost in coal mining over the same period.

And retailing isn’t the only service industry that has been hit hard by changing technology. Another prime example is newspaper publishing, where employment has declined by 270,000, almost two-thirds of the work force, since 2000.

So why aren’t promises to save service jobs as much a staple of political posturing as promises to save mining and manufacturing jobs?

One answer might be that mines and factories sometimes act as anchors of local economies, so that their closing can devastate a community in a way shutting a retail outlet won’t. And there’s something to that argument.

But it’s not the whole truth. Closing a factory is just one way to undermine a local community. Competition from superstores and shopping malls also devastated many small-city downtowns; now many small-town malls are failing too. And we shouldn’t minimize the extent to which the long decline of small newspapers has eroded the sense of local identity.

A different, less creditable reason mining and manufacturing have become political footballs, while services haven’t, involves the need for villains. Demagogues can tell coal miners that liberals took away their jobs with environmental regulations. They can tell industrial workers that their jobs were taken away by nasty foreigners. And they can promise to bring the jobs back by making America polluted again, by getting tough on trade, and so on. These are false promises, but they play well with some audiences.

By contrast, it’s really hard to blame either liberals or foreigners for, say, the decline of Sears. (The chain’s asset-stripping, Ayn Rand-loving owner is another story, but one that probably doesn’t resonate in the heartland.)

Finally, it’s hard to escape the sense that manufacturing and especially mining get special consideration because, as Slate’s Jamelle Bouie points out, their workers are a lot more likely to be male and significantly whiter than the work force as a whole.

Anyway, whatever the reasons that political narratives tend to privilege some jobs and some industries over others, it’s a tendency we should fight. Laid-off retail workers and local reporters are just as much victims of economic change as laid-off coal miners.

But, you ask, what can we do to stop service-sector job cuts? Not much — but that’s also true for mining and manufacturing, as working-class Trump voters will soon learn. In an ever-changing economy, jobs are always being lost: 75,000 Americans are fired or laid off every working day. And sometimes whole sectors go away as tastes or technology change.

While we can’t stop job losses from happening, however, we can limit the human damage when they do happen. We can guarantee health care and adequate retirement income for all. We can provide aid to the newly unemployed. And we can act to keep the overall economy strong — which means doing things like investing in infrastructure and education, not cutting taxes on rich people and hoping the benefits trickle down.

I don’t want to sound unsympathetic to miners and industrial workers. Yes, their jobs matter. But all jobs matter. And while we can’t ensure that any particular job endures, we can and should ensure that a decent life endures even when a job doesn’t.

 

Perché non sono importanti tutti i posti di lavoro? Di Paul Krugman

New York Times 17 aprile 2017

Il Presidente Trump sta ancora promettendo di riportare indietro i posti di lavoro nel carbone. Ma le ragioni di fondo del declino dell’occupazione carbonifera –  l’automazione, la domanda di elettricità in diminuzione, l’economicità del gas naturale, i progressi tecnologici nel solare e nell’eolico – non spariranno.

Nel frattempo, la settimana scorsa il Dipartimento del Tesoro ha ufficialmente (e correttamente) rinunciato a definire la Cina come manipolatrice di valuta, rendendo privo di senso tutto quello che Trump ha detto sul risuscitare il settore manifatturiero.

Dunque, l’Amministrazione Trump non farà mai niente di sostanziale per riportarci posti di lavoro nel settore minerario e manifatturiero? Probabilmente no.

Ma lasciatemi porre una diversa domanda: perché il dibattito pubblico sul lavoro si concentra così intensamente sulle miniere e sulle manifatture, mentre ignora sostanzialmente i grandi cali in alcuni settori dei servizi?

Nel corso del fine settimana il Times Magazine ha pubblicato un servizio fotografico sul declino dei tradizionali venditori al dettaglio di fronte alla competizione di Internet. Le foto, mettendo in contrasto i “centri commerciali zombi” ampiamente sgombri di occupanti, con depositi grandissimi che conservano scorte per venditori on-line, erano impressionanti. Anche la sostanza economica è abbastanza impressionante.

Si consideri quello che è successo nel settore dei negozi. Persino mentre il signor Trump si dava delle arie per aver salvato qua e là poche centinaia di posti di lavoro manifatturieri, Macy’s annunciava programmi per chiudere 68 negozi e licenziare 10.000 lavoratori. Sears [1], un’altra organizzazione emblematica, ha espresso un “dubbio sostanziale” riguardo alla sua capacità di restare in attività. Soprattutto, il settore dei negozi impiega oggi un terzo di persone in meno del 2001. Si tratta di mezzo milione di posti di lavoro che se ne sono andati – circa diciotto volte i posti di lavoro che si sono perduti nell’estrazione del carbone nello stesso periodo.

E la vendita al dettaglio non è il solo settore dei servizi che è stato colpito duramente dai cambiamenti della tecnologia. Un altro principale esempio è la pubblicazione dei giornali, dove a partire dal 2000 l’occupazione è calata di 270.000 posti di lavoro, quasi due terzi del totale.

Perché dunque le promesse di salvare posti di lavoro nei servizi non sono una fonte dell’atteggiarsi in politica, al pari delle promesse di salvare i posti di lavoro minerari e manifatturieri?

Una risposta potrebbe essere che le miniere e le fabbriche talvolta funzionano come punti di riferimento delle economie locali, dunque la loro chiusura può devastare una comunità in un modo che la chiusura di un punto di vendita al dettaglio non provocherà mai. E in questo argomento c’è qualcosa di vero.

Ma non è tutta la verità. Chiudere una fabbrica è solo un modo per mettere in crisi una comunità locale. Anche la competizione da parte dei supermercati e dei centri commerciali ha devastato molti centri di provincia; adesso stanno fallendo anche molti centri commerciali di piccole cittadine. E non dovremmo sottovalutare il modo in cui il lungo declino dei piccoli giornali ha eroso il senso delle identità locali.

Una ragione diversa, meno dignitosa, per la quale le miniere e il settore manifatturiero sono diventati spettacolari per la politica, mentre non è accaduto per i servizi, riguarda il bisogno del colpevole. I demagoghi possono raccontare ai minatori di carbone che i progressisti hanno messo in liquidazione i loro posti di lavoro con i regolamenti ambientali. Possono raccontare ai lavoratori dell’industria che i loro posti di lavoro sono stati eliminati da stranieri cattivi. E possono promettere di riportare indietro quei posti di lavoro rendendo l’America nuovamente inquinata, comportandosi con durezza sul commercio, e così via. Queste sono false promesse, ma funzionano bene con alcuni pubblici.

All’opposto, è davvero difficile dar la colpa ai progressisti o agli stranieri, ad esempio, del declino di Sears (il proprietario amante di Ayn Rand [2] che mira allo scorporo delle attività della catena commerciale è un’altra storia, di quelle che probabilmente non trovano il favore del cuore del nostro paese).

Infine, è difficile sfuggire alla sensazione che il settore manifatturiero e in particolare minerario abbiano una considerazione speciale perché, come mette in evidenza Jamelle Bouie su Slate, è molto più probabile che i loro lavoratori siano maschi e considerevolmente più bianchi della forza lavoro nel suo complesso.

In ogni modo, qualsiasi sia la ragione per la quale i racconti tendono a privilegiare alcuni posti di lavoro ed alcune industrie sulle altre, è una tendenza che dovremmo combattere. I lavoratori del commercio al dettaglio e i giornalisti locali licenziati sono vittime del cambiamento economico nello stesso modo dei minatori del carbone licenziati.

Ma, vi chiedete cosa si può fare per fermare i tagli ai posti di lavoro nel settore dei servizi? Non molto – ma quello è anche vero per le miniere e per il manifatturiero, come gli elettori di Trump della classe lavoratrice presto impareranno. In ogni economia in continuo cambiamento, ci sono sempre posti di lavoro che si perdono: ogni giorno lavorativo vengono dimessi o licenziati 75.000 americani. E talvolta scompaiono interi settori, quando i gusti o le tecnologie cambiano.

Mentre non possiamo impedire che avvengano perdite di posti di lavoro, tuttavia, possiamo limitare i danni alle persone. Possiamo garantire l’assistenza sanitaria ed un adeguato reddito pensionistico per tutti. Possiamo fornire aiuto ai nuovi disoccupati. E possiamo agire per mantenere l’economia forte – il che significa fare cose come gli investimenti nelle infrastrutture e nell’istruzione, anziché tagliare le tasse sui ricchi e sperare nei benefici di una diffusione verso il basso di quei tagli.

Non vorrei apparire indifferente verso i minatori ed i lavoratori dell’industria. È vero, i loro posti di lavoro sono importanti. Ma tutti i posti di lavoro sono importanti. E mentre non possiamo garantire che ogni particolare posto di lavoro perduri, possiamo e dovremmo garantire che prosegua una vita dignitosa quando un posto di lavoro non c’è più.

 

 

 

[1] Due immagini delle due catene commerciali americane, Macy’s e Sears:

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[2] Scrittrice del ‘900 e icona dei reazionari americani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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