Paul Krugman MAY 5, 2017
On Sunday France will hold its presidential runoff. Most observers expect Emmanuel Macron, a centrist, to defeat Marine Le Pen, the white nationalist — please, let’s stop dignifying this stuff by calling it “populism.” And I’m pretty sure that Times rules allow me to state directly that I very much hope the conventional wisdom is right. A Le Pen victory would be a disaster for Europe and the world.
Yet I also think it’s fair to ask a couple of questions about what’s going on. First, how did things get to this point? Second, would a Le Pen defeat be anything more than a temporary reprieve from the ongoing European crisis?
Some background: Like everyone on this side of the Atlantic, I can’t help seeing France in part through Trump-colored glasses. But it’s important to realize that the parallels between French and American politics exist despite big differences in underlying economic and social trends.
To begin, while France gets an amazing amount of bad press — much of it coming from ideologues who insist that generous welfare states must have disastrous effects — it’s actually a fairly successful economy. Believe it or not, French adults in their prime working years (25 to 54) are substantially more likely than their U.S. counterparts to be gainfully employed.
They’re also just about equally productive. It’s true that the French over all produce about a quarter less per person then we do — but that’s mainly because they take more vacations and retire younger, which are not obviously terrible things.
And while France, like almost everyone, has seen a gradual decline in manufacturing jobs, it never experienced anything quite like the “China shock” that sent U.S. manufacturing employment off a cliff in the early 2000s.
Meanwhile, against the background of this not-great-but-not-terrible economy, France offers a social safety net beyond the wildest dreams of U.S. progressives: guaranteed high-quality health care for all, generous paid leave for new parents, universal pre-K, and much more.
Last but not least, France — perhaps because of these policy differences, perhaps for other reasons — isn’t experiencing anything comparable to the social collapse that seems to be afflicting much of white America. Yes, France has big social problems; who doesn’t? But it shows little sign of the surge in “deaths of despair” — mortality from drugs, alcohol and suicide — that Anne Case and Angus Deaton have shown to be taking place in the U.S. white working class.
In short, France is hardly a utopia, but by most standards it is offering its citizens a fairly decent life. So why are so many willing to vote for — again, let’s not use euphemisms — a racist extremist?
There are, no doubt, multiple reasons, especially cultural anxiety over Islamic immigrants. But it seems clear that votes for Le Pen will in part be votes of protest against what are perceived as the highhanded, out-of-touch officials running the European Union. And that perception unfortunately has an element of truth.
Those of us who watched European institutions deal with the debt crisis that began in Greece and spread across much of Europe were shocked at the combination of callousness and arrogance that prevailed throughout.
Even though Brussels and Berlin were wrong again and again about the economics — even though the austerity they imposed was every bit as economically disastrous as critics warned — they continued to act as if they knew all the answers, that any suffering along the way was, in effect, necessary punishment for past sins.
Politically, Eurocrats got away with this behavior because small nations were easy to bully, too terrified of being cut off from euro financing to stand up to unreasonable demands. But Europe’s elite will be making a terrible mistake if it believes it can behave the same way to bigger players.
Indeed, there are already intimations of disaster in the negotiations now taking place between the European Union and Britain.
I wish Britons hadn’t voted for Brexit, which will make Europe weaker and their own country poorer. But E.U. officials are sounding more and more like a jilted spouse determined to extract maximum damages in a divorce settlement. And this is just plain insane. Like it or not, Europe will have to live with post-Brexit Britain, and Greece-style bullying just isn’t going to work on a nation as big, rich and proud as the U.K.
Which brings me back to the French election. We should be terrified at the possibility of a Le Pen victory. But we should also be worried that a Macron victory will be taken by Brussels and Berlin to mean that Brexit was an aberration, that European voters can always be intimidated into going along with what their betters say is necessary.
So let’s be clear: Even if the worst is avoided this Sunday, all the European elite will get is a time-limited chance to mend its ways.
Che succede in Europa? Di Paul Krugman
New York Times 5 maggio 2017
Domenica in Francia ci sarà lo spareggio per le presidenziali. Molti osservatori si aspettano che Emmanuel Macron, un centrista, sconfigga Marine Le Pen, la nazionalista bianca – per favore, smettiamola di dare dignità a queste posizioni chiamandole “populismo”. E sono abbastanza sicuro che le regole del Times mi consentano di affermare esplicitamente che nutro molta speranza che l’opinione diffusa sia giusta. Una vittoria della Le Pen sarebbe un disastro per l’Europa e per il mondo.
Tuttavia penso che sia anche giusto avanzare un paio di domande su quello che sta succedendo. La prima, come si è arrivati a questo punto? La seconda, una sconfitta della Le Pen sarebbe qualcosa di più di una temporanea sospensione nella perdurante crisi europea?
Un po’ di contesto: come chiunque su questa sponda dell’Atlantico, non posso fare a meno di guardare alla Francia in parte con occhiali di colore trumpiano. Ma è importante comprendere che i paralleli tra la politica francese e quella americana esistono, nonostante grandi differenze nelle tendenze di fondo economiche e sociali.
Per cominciare, pur avendo la Francia una impressionante quantità di cattiva stampa – gran parte della quale deriva dagli ideologi che ribadiscono incessantemente che i generosi Stati del benessere non possono non comportare effetti disastrosi – la sua è in effetti un’economia di discreto successo. Lo si creda o no, gli adulti francesi nella loro principale età lavorativa (dai 25 ai 54 anni) hanno sostanzialmente maggiori possibilità di essere occupati proficuamente dei loro omologhi americani.
Sono anche produttivi proprio circa nella stessa misura. È vero che la Francia nel complesso produce circa un quarto di meno per persona di quello che facciamo noi – ma questo dipende principalmente dal fatto che hanno maggiori vacanze e vanno in pensione più giovani, che ovviamente non sono circostanze sgradevoli.
E mentre la Francia ha conosciuto, come quasi tutti, un declino nei posti di lavoro manifatturieri, non ha mai conosciuto niente di simile allo “shock cinese” che ha spedito l’occupazione degli Stati Uniti giù da un precipizio nei primi anni 2000.
Contemporaneamente, a fronte del contesto di un’economia non straordinaria ma non miserabile, la Francia offre una rete di sicurezza sociale che va oltre i sogni più pazzeschi dei progressisti americani: assistenza sanitaria garantita di elevata qualità per tutti, congedi generosamente pagati per i nuovi genitori, asili per tutti e molto di più.
Da ultimo ma non per ultimo, la Francia – forse a causa di queste differenze politiche, forse per altre ragioni – non sta sperimentando niente di paragonabile al collasso sociale che pare stia affliggendo una gran parte dell’America bianca. È vero, la Francia ha grandi problemi sociali: chi non li ha? Ma ci sono pochi segni della crescita delle “morti per disperazione” – la mortalità che viene dalle droghe, dall’alcol e dai suicidi – che Ann Case e Angus Deaton [1] hanno dimostrato stanno prendendo piede nella classe lavoratrice bianca statunitense.
In breve, sarebbe arduo definire la Francia un’utopia, ma secondo la maggioranza degli standard offre ai suoi cittadini una vita abbastanza dignitosa. Perché, dunque, così in tanti sono disponibili a votare – consentitemi nuovamente di non usare eufemismi – una estremista razzista?
Senza dubbio ci sono varie ragioni, in particolare un’ansia culturale sugli immigrati islamici. Ma sembra chiaro che i voti per la Le Pen saranno in parte voti di protesta contro quello che è percepito come un arrogante, insensibile governo dell’Unione Europea. E sfortunatamente quella percezione ha un elemento di verità.
Coloro tra noi che hanno osservato le istituzioni europee alle prese con la crisi del debito che prese avvio in Grecia e si diffuse in gran parte dell’Europa, rimasero impressionati dal misto di insensibilità e di arroganza che prevalse in quel frangente.
Anche se Bruxelles e Berlino hanno sbagliato in continuazione in materia di economia – anche se l’austerità da loro imposta è stata altrettanto disastrosa economicamente di quello che avevano ammonito i critici – continuano ad agire come se conoscessero tutte le risposte, come se ogni sofferenza lungo il percorso sia stata, in sostanza, una necessaria punizione per peccati passati.
Gli eurocrati, da un punto di vista politico, la fecero franca con questo comportamento perché si trattava di piccole nazioni facili da intimidire, troppo spaventate dall’essere escluse dai finanziamenti europei per opporsi a richieste irragionevoli. Ma i gruppi dirigenti europei farebbero un errore tremendo se credessero di potersi comportare nello stesso modo con protagonisti più importanti.
In effetti, ci sono già i primi cenni di un disastro nei negoziati che si stanno adesso avviando tra Unione Europea e Inghilterra.
Vorrei che gli inglesi non avessero votato per la Brexit, che renderà l’Europa più debole e il loro proprio paese più povero. Ma i dirigenti dell’Unione Europea assomigliano sempre di più a un coniuge abbandonato determinato a provocare i più grandi danni in una causa di divorzio. E questo è francamente proprio folle. Piaccia o no, l’Europa continuerà a convivere con l’Inghilterra dopo la Brexit, e una prepotenza del genere di quella usata contro la Grecia è solo destinata a non funzionare con una nazione così grande, ricca e orgogliosa come il Regno Unito.
Il che mi riporta alle elezioni francesi. Dovremmo essere atterriti dalla possibilità di una vittoria della Le Pen. Ma dovremmo anche essere preoccupati che una vittoria di Macron venga interpretata da Bruxelles e Berlino come se la Brexit sia stata una aberrazione, come se gli elettori europei possano in ogni momento essere indotti con la paura ad accettare ciò che quelli che sono meglio di loro stabiliscono sia necessario.
Dunque, siamo chiari: anche se questa domenica si eviterà il peggio, quello che le classi dirigenti europee otterranno è una possibilità a termine di correggere i loro indirizzi.
[1] Angus Deaton ha ricevuto nell’anno 2016 il premio Nobel per l’economia. In particolare hanno provocato grande interesse i suoi studi, assieme ad Anne Case, sulla involuzione delle attese di vita nella popolazione bianca americana. Su questo blog, con un semplice ricerca alla voce ‘Deaton’, si trovano riflessioni su quegli studi, a cura di Krugman, Stiglitz ed altri.
By mm
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