MAY 11, 2017 36
HAMBURG – For US President Donald Trump, the measure of a country’s economic strength is its current-account balance – its exports of goods and services minus its imports. This idea is of course the worst kind of economic nonsense. It underpins the doctrine known as mercantilism, which comprises a hoary set of beliefs discredited more than two centuries ago. Mercantilism suggests, among other things, that Germany is the world’s strongest economy, because it has the largest current-account surplus.
In 2016, Germany ran a current-account surplus of roughly €270 billion ($297 billion), or 8.6% of GDP, making it an obvious target of Trump’s ire. And its bilateral trade surplus of $65 billion with the United States presumably makes it an even more irresistible target. Never mind that, as a member of the eurozone, Germany has no exchange rate to manipulate. Forget that Germany is relatively open to US exports, or that its policymakers are subject to the European Union’s anti-subsidy regulations. Ignore the fact that bilateral balances are irrelevant for welfare when countries run surpluses with some trade partners and deficits with others. All that matters for Trump is that he has his scapegoat.
Back in the real world, the explanation for Germany’s external surplus is not that it manipulates its currency or discriminates against imports, but that it saves more than it invests. The correspondence of savings minus investment with exports minus imports is not an economic theory; it’s an accounting identity. Germans collectively spend less than they produce, and the difference necessarily shows up as net exports.
Germany has a high savings rate for good reason. Its population is aging more rapidly than most. Its sensible people are sensibly saving for retirement. They are accumulating assets now so they can de-accumulate them later, when old-age dependency ratios are higher.
This is why the advice German leaders receive from White House advisers and even from some German economists – that Germany would be better off abandoning the euro and letting its currency appreciate – makes little sense. Changing the exchange rate would not diminish the incentive for Germans to save.
Moreover, allowing the exchange rate to appreciate would discourage investment in capital-intensive traded-goods sectors. To be sure, a stronger currency might increase investment in services by raising the relative price of nontraded goods. But the incentive to invest in services would have to be boosted massively, given that the sector is not capital intensive, to offset lower investment in export industries.
Better than fiddling with the currency would be to address saving and investment directly. Here is where the two principal parties vying in Germany’s upcoming election differ. Chancellor Angela Merkel’s Christian Democrats suggest cutting taxes. This makes sense insofar as the German government is a massive net saver; the 2016 budget surplus was €23.7 billion, a record high.
The problem is that there is no guarantee that German households, being voracious savers themselves, will spend the additional income. Extending investment tax credits to German firms might be more effective in boosting spending, but doing so would be politically problematic in a country where labor’s share of national income is already declining.
Martin Schulz’s Social Democrats, on the other hand, favor raising public spending, by investing in infrastructure in particular. In the current European environment of near-zero interest rates, there’s little risk that additional public investment will crowd out private investment. And Germany has massive unmet needs in health care, education, and communication and transportation infrastructure.
Some will object that infrastructure and public services are nontraded goods, so more spending on them won’t boost imports or narrow the current-account balance. But if the government, in a fully employed economy, redirects resources toward the production of nontraded goods, households and firms will have to find other ways of satisfying their demand for tradables. The only sure way of doing that is by purchasing additional imports, spending on which will inevitably increase.
The question, ultimately, is why Germany should seek to reduce its current-account surplus. One answer is to get out of Trump’s sights. A better answer, offered by the International Monetary Fund, is that doing so would be good for a world economy in which investment is in short supply, as evidenced by record-low interest rates. It would be good for Southern Europe, which needs to export more, but can only do so if someone else, like the largest Northern European economy, imports more.
Most of all, more investment in infrastructure, health, and education would be good for Germany itself. Well-targeted public investment can raise productivity and boost living standards, ameliorate concerns about inequality, and address Germany’s economic weaknesses. For example, there are exactly zero German universities in the top 50 globally. More public funds would make a difference. “The world’s strongest economy” can do better.
La Germania è sbilanciata o è fuori dai cardini?
di Barry Eichengreen
AMBURGO – Per il Presidente Donald Trump, la misura della forza economica di un paese è la sua bilancia di conto corrente – le sue esportazioni di beni e servizi meno le sue importazioni. Questa idea, naturalmente, è il peggior tipo di insensatezza economica. Essa sta alla base della dottrina conosciuta come il mercantilismo, che comprende un antico complesso di convincimenti già in discredito più di due secoli fa. Tra le altre cose, il mercantilismo suggerirebbe che la Germania è la più forte economia del mondo, poiché ha il più ampio surplus di conto corrente.
Nel 2016, la Germania ha gestito un surplus di conto corrente di circa 270 miliardi di euro (297 miliardi di dollari), ovvero l’8,6% del PIL, diventando un obbiettivo naturale della collera di Trump. E il surplus di 65 miliardi di dollari nel commercio bilaterale con gli Stati Uniti la rende un obbiettivo ancor più irresistibile. Non importa che, come membro dell’eurozona, la Germania non abbia un tasso di cambio da manipolare. Si dimentica che la Germania è relativamente aperta alle esportazioni degli Stati Uniti, o che le autorità pubbliche sono soggette ai regolamenti anti sussidi dell’Unione Europea. Si ignora il fatto che gli equilibri bilaterali sono irrilevanti per uno stato assistenziale, quando i paesi gestiscono surplus con alcuni partner commerciali e deficit con altri. Tutto quello che conta per Trump è che egli ha il suo capro espiatorio.
Tornando al mondo reale, la spiegazione del surplus verso l’estero della Germania non è che essa manipola la sua valuta o discrimina le importazioni, ma che essa risparmia più di quello che investe. Il fatto che esista una corrispondenza tra i risparmi meno gli investimenti e le esportazioni meno le importazioni non è una teoria economica; è una identità contabile. I tedeschi collettivamente spendono meno di quello che producono, e la differenza necessariamente si presenta come esportazioni nette.
La Germania ha elevati risparmi per buone ragioni. La sua popolazione sta invecchiando molto più rapidamente della maggioranza degli altri paesi. La sua gente giudiziosa risparmia giudiziosamente per le sue pensioni. Accumulano asset oggi in modo che possano utilizzarli domani, quando i tassi di dipendenza dalla vecchiaia diverranno più elevati.
Questa è la ragione per la quale il consiglio che i leader tedeschi ricevono dai consulenti della Casa Bianca ed anche da qualche economista tedesco – che la Germania starebbe meglio abbandonando l’euro e facendo rivalutare una propria valuta – ha poco senso. Cambiare il tasso di cambio non diminuirebbe l’incentivo dei tedeschi a risparmiare.
Inoltre, consentire un apprezzamento del tasso di cambio scoraggerebbe gli investimenti nei settori dei beni commerciabili ad alta intensità di capitale. Di certo, una valuta più forte potrebbe incrementare gli investimenti nei servizi elevando i prezzi relativi dei settori dei beni non esportabili. Ma l’incentivo a investire nei servizi dovrebbe essere incoraggiato massicciamente, dato che non sono un settore ad alta intensità di capitale, per bilanciare gli investimenti più bassi nelle industrie esportatrici.
Sarebbe meglio rivolgersi direttamente ai risparmi ed agli investimenti, piuttosto che armeggiare con la valuta. È qua dove i due principali partiti in lizza nelle prossime elezioni della Germania differiscono. I Cristiano Democratici della Cancelliera Angela Merkel propongono tagli alle tasse. Questa ha senso, dato che lo Stato tedesco è un grande risparmiatore netto; l’avanzo del bilancio del 2016 è stato di 23,7 miliardi di euro, un livello da record.
Il problema è che non ci sono garanzie che le famiglie tedesche, essendo anch’esse voraci risparmiatrici, spenderanno il reddito aggiuntivo. Ampliare i crediti di imposta sugli investimenti alle imprese tedesche potrebbe essere più efficace come incoraggiamento della spesa, ma farlo sarebbe politicamente problematico in un paese dove la quota del reddito nazionale del lavoro è già declinante.
I Social Democratici di Martin Schultz, d’altra parte, sono favorevoli ad un incremento della spesa pubblica, in particolare attraverso gli investimenti nelle infrastrutture. Nell’attuale contesto europeo di tassi di interesse prossimi allo zero, sono pochi i rischi che un investimento pubblico aggiuntivo spiazzi l’investimento privato. E la Germania ha grandi bisogni insoddisfatti di assistenza sanitaria, di istruzione e di infrastrutture di comunicazione e di trasporto.
Qualcuno obietterà che le infrastrutture e i servizi pubblici sono beni non commerciabili, dunque una spesa maggiore su di essi non incoraggerà le importazioni e non restringerà il bilancio di conto corrente. Ma se il Governo, in un’economia di pieno impiego, riorientasse le risorse verso la produzione di beni non commerciabili, le famiglie e le imprese dovrebbero trovare altri modi per soddisfare la loro domanda di beni commerciabili. L’unico modo sicuro per farlo sarebbe acquistare importazioni aggiuntive, la spesa sulle quali inevitabilmente crescerebbe.
La domanda, in ultima analisi, è perché la Germania dovrebbe cercar di ridurre il suo surplus di conto corrente. Una risposta sarebbe quella di uscire dal mirino di Trump. Una risposta migliore, offerta dal Fondo Monetario Internazionale, è che farlo sarebbe positivo per un’economia mondiale nella quale gli investimenti scarseggiano, come evidenziato dai tassi di interesse ai minimi storici. Sarebbe positivo per l’Europa del Sud, che ha bisogno di esportare di più, ma può farlo solo se qualcun altro, come le più ampie economie dell’Europa del Nord, importa maggiormente.
Soprattutto, più investimenti in infrastrutture, in salute e in istruzione sarebbero positivi per la Germania stessa. Investimenti pubblici ben indirizzati possono elevare la produttività e incoraggiare i livelli di vita, attenuare le preoccupazioni sull’ineguaglianza ed affrontare la debolezza economica della Germania. Ad esempio, non c’è precisamente nessuna Università tedesca tra le prime 50 del mondo. Più fondi pubblici potrebbero fare la differenza. “La più forte economia del mondo” può far meglio.
By mm
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