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L’adescamento della pompa del signor Donald Trump, di Paul Krugman (New York Times 15 maggio 2017)

 

The Priming of Mr. Donald Trump

Paul Krugman MAY 15, 2017

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Donald Trump has said many strange things in recent interviews. One can only imagine, for example, what America’s military leaders thought about his rambling, word-salad musings about how to improve our aircraft carriers.

Over here in Econoland, however, the buzz was all about Trump’s expressed willingness, in an interview with the Economist magazine, to pursue tax cuts even if they increase deficits, because “we have to prime the pump” — an expression he claimed to have invented. “I came up with it a couple of days ago and I thought it was good.”

Actually, the expression goes back generations — F.D.R. used it in a 1937 speech — and has been used many times since, including several times by Trump himself. What’s more, it’s a bad metaphor for modern times. Twenty years ago, in a paper warning that Japanese-style problems might eventually come to America, I urged that the phrase be withdrawn from circulation: “Since hardly anybody in the thoroughly urbanized societies of modern America and Japan has any idea what it means to prime a pump, I hereby suggest that we rename this the jump-start strategy.”

But why should anyone besides pedants care?

First, a mind is a terrible thing to lose. Senior moments, when you can’t remember a name or phrase, or misremember where it came from, happen to many of us. But that Economist interview was basically one long senior moment — and it wasn’t very different from other recent interviews with the commander in chief of the world’s most powerful military.

Second, we’re talking about some really bad economics here. There are times when temporary deficit spending can help the economy. In the first few years after the 2008 financial crisis, for example, unemployment was very high, and the Federal Reserve — normally our first line of defense against recessions — had limited ability to act, because the interest rates it controls were already very close to zero. That was a time for serious pump-priming; unfortunately, we never got enough of it, thanks to scorched-earth Republican opposition.

Now, however, unemployment is near historic lows; quit rates, which show how confident workers are in their ability to find new jobs, are back to pre-crisis levels: wage rates are finally rising; and the Fed has begun raising interest rates.

America may not be all the way back to full employment — there’s a lively debate among economists over that issue. But the economic engine no longer needs a fiscal jump-start. This is exactly the wrong time to be talking about the desirability of bigger budget deficits.

True, it would make sense to borrow to finance public investment. We desperately need to expand and repair our roads, bridges, water systems, and more. Meanwhile, the federal government can borrow incredibly cheaply: Long-term bonds protected from inflation are paying only about 0.5 percent interest. So deficit spending on infrastructure would be defensible.

But that’s not what Trump is talking about. He’s calling for exploding the deficit so he can cut taxes on the wealthy. And that makes no economic sense at all.

Then again, he may not understand his own proposals; he may be living in an economic and political fantasy world. If so, he’s not alone. Which brings me to my third point: Trump’s fiscal delusions are arguably no worse than those of many, perhaps most professional observers of the Washington political scene.

If you’re a heavy news consumer, think about how many articles you’ve seen in the past few weeks with headlines along the lines of “Trump’s budget may create conflict with G.O.P. fiscal conservatives.” The premise of all such articles is that there is a powerful faction among Republican members of Congress who worry deeply about budget deficits and will oppose proposals that create lots of red ink.

But there is no such faction, and never was.

There were and are poseurs like Paul Ryan, who claim to be big deficit hawks. But there’s a simple way to test such people’s sincerity: when they propose sacrifices in the name of fiscal responsibility, do those sacrifices ever involve their own political priorities? And they never do. That is, when you see a politician claim that deficit concerns require that we slash Medicaid, privatize Medicare, and/or raise the retirement age — but somehow never require raising taxes on the wealthy, which in fact they propose to cut — you know that it’s just an act.

Yet somehow much of the news media keeps believing, or pretending to believe, that those imaginary deficit hawks are real, which is a delusion of truly Trumpian proportions.

So I’m worried. Trump may be not just ignorant but deeply out of it, and his economic proposals are terrible and irresponsible, but they may get implemented all the same.

But maybe I worry too much; maybe the only thing to fear is fear itself. Do you like that line? I just came up with it the other day.

 

L’adescamento della pompa del signor Donald Trump, di Paul Krugman

New York Times 15 maggio 2017

In recenti interviste, Donald Trump ha detto molte cose stravaganti. Ci si immagini soltanto, per esempio, a cosa avranno pensato i dirigenti dell’esercito americano delle sue sconclusionate e insensate riflessioni su come migliorare le nostre portaerei.

Nel nostro caso, tuttavia, sul terreno dell’economia, il clamore ha riguardato interamente l’espressa volontà di Trump, in una intervista al settimanale Economist, di proporsi sgravi fiscali anche se essi accresceranno il deficit, perché “dobbiamo adescare la pompa” [1] – una espressione che egli ha sostenuto di aver inventato. “Mi è venuta in mente un paio di giorni fa, e l’ho trovata molto buona”.

Effettivamente, l’espressione risale indietro nel tempo per generazioni – Franklin Delano Roosevelt la utilizzò in un discorso del 1937 – e da allora è stata usata molte volte, in svariati casi da parte dello stesso Trump. Inoltre, è una pessima metafora per i tempi moderni. Venti anni fa, in un saggio che metteva in guardia su problemi del genere di quelli del Giappone che potevano manifestarsi anche in America, suggerii che la frase fosse tolta di circolazione: “Dal momento che nessuno nelle società altamente urbanizzate dell’America moderna ha una idea di quello che significhi ‘adescare una pompa’, io suggerisco all’istante che si gli si dia il nuovo nome di strategia per dare un impulso”.

Ma perché qualcuno dovrebbe mai interessarsene, a parte i pedanti?

In primo luogo, perché perdere il cervello è una cosa tremenda. Momenti di amnesia succedono a molti, quando non si riesce a ricordare un nome o una frase, o non si ricorda da dove provenga. Ma quell’intervista all’Economist era fondamentalmente un lungo episodio di amnesia – e non era molto diverso da altre recenti interviste con il comandante in capo del più potente esercito del mondo.

In secondo luogo, perché in questo caso stiamo parlando davvero di pessima economia. Ci sono periodi nei quali una temporanea spesa in deficit può aiutare l’economia. Nei primi anni dopo la crisi finanziaria del 2008, ad esempio, la disoccupazione era molto alta e la Federal Reserve – normalmente la nostra prima linea di difesa dalle recessioni – aveva limitate possibilità di agire, perché i tassi di interesse che essa controlla erano già molto vicini allo zero. Quello era un tempo per ‘adescare le pompe’; sfortunatamente non ne avemmo a sufficienza, per l’opposizione da terra bruciata dei repubblicani.

Ora, tuttavia, la disoccupazione è ai minimi storici; la percentuale delle persone che lasciano un lavoro, che indica quanta fiducia hanno i lavoratori di trovare nuovi posti di lavoro, è tornata ai livelli precedenti alla crisi; i tassi salariali sono finalmente in crescita e la Fed ha cominciato ad alzare i tassi di interesse.

Può darsi che l’America non sia tornata completamente alla piena occupazione – su questo tema c’è un animato dibattito tra gli economisti. Ma il motore dell’economia non ha più bisogno di un impulso della finanza pubblica. Questo è esattamente il momento sbagliato per mettersi a parlare della desiderabilità di deficit più grandi.

È vero, avrebbe senso indebitarsi per finanziare investimenti pubblici. Abbiamo un bisogno disperato di ampliare e riparare le nostre strade, i nostri ponti, i sistemi idrici ed altro ancora. Nel frattempo, il Governo Federale può indebitarsi a condizioni eccezionalmente convenienti: i bond a lungo termine protetti dall’inflazione stanno pagando un interesse soltanto di circa lo 0,5 per cento. Dunque la spesa in deficit sulle infrastrutture sarebbe difendibile.

Ma non è quello di cui Trump sta parlando. Egli sta sostenendo di far esplodere il deficit per effetto degli sgravi fiscali sui ricchi. E questo non ha affatto alcun senso economico.

Dunque, ancora una volta, potrebbe non comprendere le sue stesse proposte; può darsi che viva in un mondo di fantasia, sia da un punto di vista economico che politico. Se fosse così non sarebbe solo. La qual cosa mi porta al mio terzo punto: le illusioni di finanza pubblica di Trump probabilmente non sono peggiori di quelle di molti, probabilmente della maggioranza degli osservatori di professione sulla scena politica di Washington.

Se siete dei forti consumatori di notiziari, pensate a quanti articoli avete letto nelle passate settimane con titoli di questo genere: “Il bilancio di Trump può entrare in conflitto con i conservatori del Partito Repubblicano in materia di finanza pubblica”. La premessa di tutti quegli articoli è che c’è una potente fazione tra i membri repubblicani del Congresso che si preoccupa profondamente dei deficit di bilancio e si opporrà alle proposte che creano grandi conti in rosso.

Ma una tale fazione non esiste, e non c’è mai stata.

Ci sono stati e ci sono quelli come Paul Ryan che si atteggiano, che sostengono di essere grandi falchi del deficit. Ma c’è un modo semplice per verificare la sincerità di tali individui: quando propongono sacrifici nel nome della responsabilità finanziaria, quei sacrifici hanno mai riguardato le loro personali priorità politiche? Si scopre che non lo fanno mai. Ovvero, quando vedete un uomo politico che sostiene che le preoccupazioni sul deficit richiedono che si abbatta la spesa su Medicaid, che si privatizzi Medicare e/o si elevi l’età del pensionamento – ma per qualche ragione non richiedono mai che si alzino le tasse sui ricchi, che di fatto propongono di tagliare – voi capite che si tratta solo di una messinscena.

Tuttavia, in qualche modo molti dei media delle informazioni cominciano a credere, o a fingere di credere, che quegli immaginari falchi del deficit siano veri, e quella è una illusione di proporzioni autenticamente trumpiane.

Dunque mi preoccupo. Può darsi che Trump sia non solo ignorante ma profondamente fuori di testa, e le sue proposte economiche siano tremende e irresponsabili, ma che ciononostante possano comunque essere messe in atto.

Ma forse mi preoccupo troppo; può darsi che l’unica cosa di cui aver paura sia la paura stessa. Vi piace questa frase? Mi è venuta in mente proprio l’altro giorno [2].

 

 

 

[1] “Adescare una pompa” significa “riempire di liquido parte di un apparecchio idraulico per metterlo in funzione” (Treccani). Roosevelt si riferiva alla sua politica di ampliamento della spesa pubblica, con una espressione che l’America rurale degli anni ’30 intendeva perfettamente.

[2] L’ironia consiste nel fatto che anche questa frase – come quella sull’ “adescare la pompa” – fu coniata da Franklin Delano Roosevelt negli anni ’30.

 

 

 

 

 

 

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