MAY 1, 2017 93
NEW YORK – The likely victory of Emmanuel Macron in the French presidential election has elicited a global sigh of relief. At least Europe is not going down the protectionist path that President Donald Trump is forcing the United States to take.
But advocates of globalization should keep the champagne on ice: protectionists and advocates of “illiberal democracy” are on the rise in many other countries. And the fact that an open bigot and habitual liar could get as many votes as Trump did in the US, and that the far-right Marine Le Pen will be in the run-off vote with Macron on May 7, should be deeply worrying.
Some assume that Trump’s poor management and obvious incompetence should be enough to dent enthusiasm for populist nostrums elsewhere. Likewise, the US Rust Belt voters who supported Trump will almost certainly be worse off in four years, and rational voters surely will understand this.
But it would be a mistake to conclude that discontent with the global economy – at least how it treats large numbers of those in (or formerly in) the middle class – has crested. If the developed liberal democracies maintain status quo policies, displaced workers will continue to be alienated. Many will feel that at least Trump, Le Pen, and their ilk profess to feel their pain. The idea that voters will turn against protectionism and populism of their own accord may be no more than cosmopolitan wishful thinking.
Advocates of liberal market economies need to grasp that many reforms and technological advances may leave some groups – possibly large groups – worse off. In principle, these changes increase economic efficiency, enabling the winners to compensate the losers. But if the losers remain worse off, why should they support globalization and pro-market policies? Indeed, it is in their self-interest to turn to politicians who oppose these changes.
So the lesson should be obvious: In the absence of progressive policies, including strong social-welfare programs, job retraining, and other forms of assistance for individuals and communities left behind by globalization, Trumpian politicians may become a permanent feature of the landscape.
The costs imposed by such politicians are high for all of us, even if they do not fully achieve their protectionist and nativist ambitions, because they prey on fear, inflame bigotry, and thrive on a dangerously polarized us-versus-them approach to governance. Trump has leveled his Twitter attacks against Mexico, China, Germany, Canada, and many others – and the list is sure to grow the longer he is in office. Le Pen has targeted Muslims, but her recent comments denying French responsibility for rounding up Jews during World War II revealed her lingering anti-Semitism.
Deep and perhaps irreparable national cleavages may be the result. In the US, Trump has already diminished respect for the presidency and will most likely leave behind a more divided country.
We must not forget that before the dawn of the Enlightenment, with its embrace of science and freedom, incomes and living standards were stagnant for centuries. But Trump, Le Pen, and the other populists represent the antithesis of Enlightenment values. Without blushing, Trump cites “alternative facts,” denies the scientific method, and proposes massive budget cuts for public research, including on climate change, which he believes is a hoax.
The protectionism advocated by Trump, Le Pen, and others poses a similar threat to the world economy. For three-quarters of a century, there has been an attempt to create a rules-based global economic order, in which goods, services, people, and ideas could move more freely across borders. To the applause from his fellow populists, Trump has thrown a hand grenade into that structure.
Given the insistence of Trump and his acolytes that borders do matter, businesses will think twice as they construct global supply chains. The resulting uncertainty will discourage investment, especially cross-border investment, which will diminish the momentum for a global rules-based system. With less invested in the system, advocates for such a system will have less incentive to push for it.
This will be troublesome for the entire world. Like it or not, humanity will remain globally connected, facing common problems like climate change and the threat of terrorism. The ability and incentive to work cooperatively to solve these problems must be strengthened, not weakened.
The lesson of all of this is something that Scandinavian countries learned long ago. The region’s small countries understood that openness was the key to rapid economic growth and prosperity. But if they were to remain open and democratic, their citizens had to be convinced that significant segments of society would not be left behind.
The welfare state thus became integral to the success of the Scandinavian countries. They understood that the only sustainable prosperity is shared prosperity. It is a lesson that the US and the rest of Europe must now learn.
Lezioni dagli antiglobalisti,
di Joseph E. Stiglitz
NEW YORK – La probabile vittoria di Emmanuel Macron alle elezioni presidenziali francesi ha suscitato un sospiro di sollievo globale. Almeno l’Europa non sta indirizzandosi sul sentiero protezionista sul quale il Presidente Donald Trump sta costringendo gli Stati Uniti.
Ma i sostenitori della globalizzazione dovrebbero tenere lo champagne in ghiaccio: i protezionisti ed i sostenitori della “democrazia illiberale” sono in crescita in molti altri paesi. E il fatto che un aperto estremista e bugiardo patentato possa prendere tanti voti come ha fatto Trump negli Stati Uniti, e che una estremista di destra come Marine Le Pen andrà al ballottaggio con Macron il 7 maggio, dovrebbe essere profondamente preoccupante.
Alcuni considerano che la modesta gestione e l’evidente incompetenza di Trump dovrebbe essere sufficiente ad attenuare l’entusiasmo per i toccasana populisti in tutto il mondo. Allo stesso modo, gli elettori della Rust Belt [1] che hanno appoggiato Trump quasi certamente in quattro anni andranno a star peggio, e gli elettori razionali certamente lo capiranno.
Ma sarebbe un errore concluderne che la scontentezza per l’economia globale – almeno per come essa tratta un gran numero dei componenti (o dei passati componenti) delle classi medie – abbia raggiunto il punto più alto. Se le democrazie liberali del mondo sviluppato mantengono le politiche dello status quo, si continueranno a perdere i consensi dei lavoratori che vengono messi in liquidazione. Molti continueranno ad avere l’impressione che almeno Trump, la Le Pen e gente di quella sorta proclamano di condividere le loro sofferenze. L’idea che gli elettori si rivolteranno al protezionismo ed al populismo di loro iniziativa, potrebbe non essere niente di più di un ottimistico pensiero cosmopolitano.
I sostenitori delle economie liberali di mercato hanno bisogno di rendersi conto che molte riforme ed avanzamenti tecnologici possono lasciare vari gruppi sociali – probabilmente ampi – in condizioni peggiori. In via di principio, questi cambiamenti accrescono l’efficienza economica, mettendo i vincitori nelle condizioni di compensare i perdenti. Ma se i perdenti restano in condizioni peggiori, perché dovrebbero sostenere la globalizzazione e le politiche di mercato? In effetti, è nel loro stesso interesse rivolgersi ai politici che si oppongono a questi cambiamenti.
Dunque la lezione dovrebbe essere evidente: in assenza di politiche di progresso, inclusi i programmi di un forte stato assistenziale, di formazione a nuovi posti di lavoro e di altre forme di assistenza agli individui ed alle comunità lasciati indietro dalla globalizzazione, le politiche alla Trump possono diventare aspetti permanenti del paesaggio.
I costi provocati da tali politiche sarebbero alti per tutti noi, anche se esse non realizzeranno per intero le loro ambizioni protezionistiche e autoctone, giacché esse prendono di mira la paura, infiammano la faziosità e prosperano su un approccio di governo basato su una pericolosa polarizzazione degli uni contro gli altri. Trump ha lanciato i suoi attacchi si Twitter contro il Messico, la Cina, la Germania, il Canada e molti altri – e la lista è destinata a crescere per tutto il tempo in cui sarà in carica. La Le Pen ha preso di mira i musulmani, ma i suoi recenti commenti che negano ogni responsabilità francese per aver concentrato gli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, hanno rivelato il suo persistente antisemitismo.
Il risultato può essere quello di profondi e forse irreparabili divisioni all’interno delle nazioni. Negli Stati Uniti, Trump ha già ridotto il rispetto per la Presidenza e con molta probabilità si lascerà alle spalle un paese più diviso.
Non dobbiamo dimenticare che prima dell’avvento dell’Illuminismo, con la sua adesione alla scienza e alla libertà, i redditi e i livelli di vita furono stagnanti per secoli. Ma Trump, la Le Pen e gli altri populisti rappresentano l’antitesi dei valori dell’Illuminismo. Trump parla di “fatti alternativi”, nega il metodo scientifico e propone tagli massicci sulla ricerca pubblica, incluso il cambiamento climatico, che ritiene sia una balla.
Il protezionismo sostenuto da Trump, dalla Le Pen e da altri costituisce una minaccia simile per l’economia del mondo. Per tre quarti di secolo, c’è stato un tentativo di creare un ordine economico globale basato su regole, nel quale i beni, i servizi, le persone e le idee potevano muoversi più liberamente attraverso i confini. Tra gli applausi dei suoi colleghi populisti, Trump ha gettato una bomba a mano dentro tale struttura.
Data l’insistenza di Trump e dei suoi seguaci sulla importanza dei confini, le imprese ci penseranno due volte nel costruire catene globali dell’offerta. La conseguente incertezza scoraggerà gli investimenti, specialmente gli investimenti oltre frontiera, il che diminuirà l’impulso per un sistema globale basato su regole. Con minori investimenti nel sistema, i suoi sostenitori avranno meno incentivi per puntare su di esso.
Questo sarà problematico per il mondo nel suo complesso. Piaccia o no, l’umanità resterà connessa globalmente, affrontando problemi comuni come il cambiamento climatico e la minaccia del terrorismo. La possibilità e l’incentivo a risolvere con la cooperazione questi problemi deve essere rafforzata, non indebolita.
La lezione di tutto questo è qualcosa che i paesi scandinavi hanno imparato molto tempo fa. I piccoli pasi della regione impararono che l’apertura era la chiave per una rapida crescita economica e per la prosperità. Ma se essi dovevano restare aperti e democratici, i loro cittadini dovevano essere persuasi che segmenti significativi della società non sarebbero rimasti indietro.
Lo stato assistenziale divenne dunque essenziale per il successo dei paesi scandinavi. Avevano compreso che la sola prosperità sostenibile era una prosperità condivisa. È una lezione che adesso devono imparare gli Stati Uniti e il resto dell’Europa.
[1] Letteralmente la “Cintura della ruggine” è la grande area che comincia a New York e attraversa il settentrione passando per la Pennsylvania, la Virginia Occidentale, l’Ohio, l’Indiana e la parte più bassa della penisola del Michigan, per finire nella parte settentrionale dell’Illinois, in quella orientale dello Iowa e in quella sud orientale del Wisconsin. Ovvero, l’area che è stata caratterizzata maggiormente dai fenomeni della deindustrializzazione manifatturiera. Tale ‘Cintura’ è ben visibile in questa cartina da Wikipedia, dove le aree con una perdita maggiore di posti di lavoro manifatturieri sono segnate dal color marrone (perdite superiori al 58%) e in rosso (perdite dal 46 al 53%); mentre le aree con maggiori guadagni sono segnate dai colori verde chiaro e verde (i dati sono relativi al periodo dal 1954 al 2002):
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"