JUN 13 1:13 PM
Paul Krugman
It was a weird scene: Trump cabinet members speaking up, one by one, to offer effusive, groveling praise to their boss. Even if the praise had been justified (in fact, Trump has achieved amazingly little), it was deeply un-American — the kind of thing you would expect to see in an authoritarian regime, not a republic where leaders are supposed to pretend to be humble servants of the people.
But it was of a piece with everything else we’ve been seeing, not just from Trump — who doesn’t have a democratic bone in his body — but from Republicans, who have so far showed themselves willing to accept any and all abuses of power, including almost comical levels of financial self-dealing. So this isn’t just a Trump story; it’s about what happened to the GOP.
I don’t have a full explanation. But surely a starting point is the realization that while America as a whole isn’t an authoritarian regime — yet — the modern Republican party in many ways is. That is, once you’ve made the decision to become Republican, you find yourself living in your own private Pyongyang.
I mean this in a couple of senses. One is that for the great majority of Congressional Republicans, loyalty to party is all that matters for their political futures. As this chart from Nate Silver shows, there are now very few swing districts, in which a Republican can lose short of a political earthquake;
This is true of Democrats too, but the Democratic party is a field of contending interest groups, while the GOP is monolithic. So if you’re a Republican politician, you care about following the party line — full stop.
But mightn’t even Republican voters turn on you if you seem too slavish to an obviously corrupt leadership? Well, where would those voters get such an idea? For all practical purposes, Republican primary voters get their news from wholly partisan media, which quite simply present a picture of the world that bears no resemblance to what independent sources are saying. Even though most Republicans in DC probably know better, their self-interest says to pretend to believe the official line.
So if you’re Representative Bomfog from a red state, your entire career depends on being an apparatchik willing to do and say anything the regime demands. Suggestions that the president’s men, and maybe the man himself, is in collusion with a foreign power? Fake news! Firing the FBI director in an obvious obstruction of justice? Let’s make excuses! Analyses suggesting that your bill will cause mass suffering? Never mind. Party loyalty is all — even if it demands humiliating displays of obsequious deference.
This is why I don’t trust claims that firing Mueller would cross some kind of red line. All indications are that there is no line.
The one thing that might cause Rs to turn on Trump would be the more or less certain prospect of a wave election so massive that even very safe seats get lost. And at the rate things are going, that could happen. But if it does, it will be nothing like a normal political process; it will be more like a revolution within the GOP, a regime change that would shatter the party establishment.
Here’s hoping.
La loro personale Pyongyang,
di Paul Krugman
È stata una scena sconcertante: i membri del Gabinetto di Trump che intervengono, uno dopo l’altro, per offrire calorosi, servili elogi al loro capo. Persino se gli elogi fossero giustificati (di fatto, Trump ha realizzato incredibilmente poco), è una situazione molto estranea all’America – il genere di cosa che vi aspettereste di vedere in un regime autoritario, non in una repubblica nelle quale gli uomini pubblici si suppone fingano di essere umili servitori del popolo.
Ma era un aspetto di tutto il resto cui stiamo assistendo, non solo da parte di Trump – che nel suo organismo non ha niente di democratico – ma da parte dei repubblicani, che sino a questo punto i sono dimostrati disponibili ad accettare ognuno e tutti gli abusi di potere, incluso il farsi i propri interessi finanziari a livelli quasi comici. Dunque, non si tratta solo della storia di Trump; riguarda quello che è accaduto al Partito Repubblicano.
Non ho una spiegazione completa. Ma certamente il punto di partenza è la comprensione che mentre l’America nel suo complesso non è un regime autoritario – tuttavia, il Partito Repubblicano odierno lo è in molti sensi. Vale a dire che, una volta che avete preso la decisione di diventare repubblicani, vi ritrovate a vivere in una vostra personale Pyongyang.
Intendo questo in un paio di sensi. Uno è che per la grande maggioranza dei repubblicani del Congresso, la fedeltà al Partito è tutto quello che conta per il loro futuro politico. Come mostra questo grafico di Nate Silver, adesso ci sono molto pochi distretti elettorali oscillanti, nei quali un repubblicano può perdere di misura a seguito di un sommovimento politico:
Questo è vero anche per i democratici, ma il Partito Democratico è un campo di contesa per gruppi di interesse, mentre il Partito Repubblicano è un monolite. Se siete dunque un politico repubblicano, la vostra preoccupazione è quella di andare dietro la linea del Partito e nient’altro.
Ma non potrebbero anche gli elettori repubblicani cambiare direzione, se il loro candidato appare troppo servile nei confronti di una leadership evidentemente corrotta? Ebbene, dove quegli elettori prenderebbero un’idea del genere? Da un punto di vista pratico, gli elettori repubblicani derivano le loro notizie da media interamente di parte, che molto semplicemente presentano una rappresentazione del mondo che non ha alcuna somiglianza con quello che sostengono le fonti indipendenti. Anche se la maggioranza dei repubblicani a Washington probabilmente non sono così ingenui, il loro interesse personale gli dice di fingere di credere alla linea ufficiale del Partito.
Dunque, se siete il “congressista Bomfog[2]” e venite da uno Stato repubblicano, la vostra intera carriera dipende dall’essere un uomo di apparato disponibile a fare e a dire tutto quello che il regime vi impone. Le indicazioni secondo le quali gli uomini del Presidente, e forse lui stesso, sono in collusione con una potenza straniera? False notizie! Il licenziamento del direttore dell’FBI nell’ambito di un evidente tentativo di ostacolare la giustizia? Facciamogli le nostre scuse! Le analisi secondo le quali la vostra proposta di legge provocherà grandi sofferenze? Non hanno importanza. La fedeltà al Partito è tutto – anche se richiede un umiliante sfoggio di ossequiosa deferenza.
Ecco perché non credo agli argomenti secondo i quali il licenziamento di Mueller supererebbe una linea rossa di qualche genere. Tutte le indicazioni dicono che non c’è nessuna linea.
L’unica cosa che potrebbe provocare i Repubblicani a rivoltarsi contro Trump sarebbe la prospettiva più o meno certa di un’ondata elettorale così massiccia da far perdere persino i seggi molto sicuri. E al ritmo al quale le cose stanno procedendo, potrebbe accadere. Ma se accadesse, non sarebbe niente di simile ad un normale processo politico; sarebbe più una rivoluzione all’interno del Partito Repubblicano, un cambiamento di regime che manderebbe in pezzi il gruppo dirigente.
È quello che stiamo sperando.
[1] Il grafico mostra la situazione elettorale dei due Partiti. Le diverse tonalità di celeste/blu e di rosa/rosso/marrone rispettivamente per i democratici e per i repubblicani, indicano i distretti con risultati schiaccianti (blu e marrone), quelli con forti prevalenze (celeste e rosso) e quelli con inclinazioni più modeste (celeste chiaro e rosa). Il color giallo indica invece le situazioni oscillanti (Swing districts). Nelle elezioni del 1992 e 1996 i distretti oscillanti erano assai più numerosi, mentre quelli a maggioranze schiaccianti erano assai minori per entrambi i partiti.
[2] Il Senatore BOMFOG significa un uomo politico che ripete frasi trite, dette e ridette. L’origine della espressione è questa: BOMFOG è l’acronimo della frase “the brotherhood of man, under the fatherhood of God” (che significa “spirito fraterno dell’uomo, avendo Dio come Padre”). Era un’espressione che il Governatore di New York Nelson Rockfeller usava infilare in tutti i suoi discorsi, al punto tale che i giornalisti avevano preso a riferirla con l’acronimo. Dopodiché è diventata sinonimo di un “Quaquaraquà”, come più o meno diremmo noi, ovvero di qualcuno che chiacchiera a vuoto.
By mm
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