JUN 2, 2017
BERKELEY – In December 2015, the US Federal Reserve embarked on a monetary-tightening cycle, by raising the target range for the short-term nominal federal funds rate by 25 basis points (one-quarter of a percentage point). At the time, the Federal Open Market Committee (FOMC) – the Fed body that sets monetary policy – issued a median forecast predicting three things.
First, the FOMC indicated that the December 2015 rate increase would be the first of five such increases that it would make within the subsequent year, and the first of nine that would take place by, say, September 2017. Second, the federal funds rate would reach 2.25-2.5% within three months of the December 2015 increase. And, third, the Fed’s preferred measure of inflationary pressure – the core personal consumption expenditures (PCE) price index – would be at 1.9% per year by now.
All told, the FOMC’s forecast has not been borne out. If the Fed actually does increase interest rates this month, it will have undertaken only four of the nine anticipated rate hikes. Moreover, it believed that nine rate hikes before the end of this summer would be necessary to keep inflation below its target of 2% per year. But inflation is expected to rise at an annual rate of just 1.5% for the rest of this year, and next year.
In terms of inflationary pressure, the Fed’s forecast seems to have significantly overstated the strength of the US economy. Even with the Fed’s change of course (it is now pursuing a federal funds rate that is 1.5 percentage points below its December 2015 plan), inflationary pressure is still relatively weak. Indeed, despite the economic boost implied by slower policy tightening, the rate of inflation is still no higher than it was in the 2013-2014 period, when many worried that the Fed wasn’t providing enough stimulus.
We can draw three conclusions about the current situation. First, today’s weak inflation outlook suggests that the Fed’s monetary policies, in combination with fiscal policies, are not providing sufficient stimulus for the US economy – as was the case in 2013. Unfortunately, the FOMC does not appear to be particularly concerned about this possibility. Among FOMC members, Neel Kashkari, the impressive president of the Federal Reserve Bank of Minneapolis, is the only one who has dissented, calling on the Fed to pursue more stimulative policies.
The FOMC’s blind spot stems from the fact that it is relying more on its assessment of the labor market, which it considers to be at or above “full employment,” than on noisy month-to-month inflation data. But “full employment” is a rather tenuous and unreliable construct. It has now been 20 years since economists Douglas Staiger, James Stock, and Mark Watson showed that Fed policymakers should not be so confident in estimates of “full employment.” And yet, for some reason, the Fed community has not let this essential message sink in.
A second conclusion to be drawn from the current situation is that the Fed has now overestimated the strength of the US economy for 11 consecutive years. Elementary mathematics dictates that credible forecasts should at least overestimate half the time and undershoot half the time. If each year of Fed forecasting were a coin toss, we would now have had eleven heads in a row, and zero tails. The odds of that happening are one in 2,048.
The Fed clearly needs to take a deep look at its forecasting methodology and policymaking processes. It should ask if the current system is creating irresistible incentives for Fed technocrats to highball their inflation forecasts. And it should ensure that its policymakers view the 2% target for annual inflation as a goal to aspire to, rather than a ceiling to avoid.
A final conclusion is that the past two years have provided still more data to support former US Secretary of the Treasury Larry Summers’ grave suspicion that the economies of the global North are now trapped in a state of “secular stagnation.” Those who disagree, such as Kenneth Rogoff of Harvard University, tell us that all will soon be well, and that nobody will be talking about “secular stagnation” eight years hence. They may turn out to be right – but only if the Fed can bring itself to pursue stimulus policies that are as radical as they are necessary.
La verità dietro i numeri odierni dell’inflazione americana,
di J. Bradford DeLong
BERKELEY – Nel dicembre del 2015, la Federal Reserve degli Stati Uniti intraprese un ciclo di restrizione monetaria, elevando l’obbiettivo di oscillazione per i finanziamenti federali a breve termine di 25 punti base (un quarto di punto percentuale). A quel tempo, il Comitato Federale a Mercato Aperto (FOMC) – l’organismo della Fed che stabilisce la politica monetaria – emise una previsione mediana prevedendo tre cose.
La prima, il FOMC indicò che l’incremento del tasso del dicembre 2015 sarebbe stato il primo di cinque incrementi simili che esso avrebbe messo in atto nell’anno successivo, e il primo di nove che avrebbero avuto luogo entro, all’incirca, il settembre del 2017. La seconda, il tasso dei finanziamenti federali avrebbe raggiunto, entro tre mesi dall’incremento del dicembre 2015, il 2,25 – 2,5 %. E la terza, la misura preferita dalla Fed di pressione inflazionistica – l’indice dei prezzi delle spese per i consumi personali (PCE) – si sarebbe collocato ad oggi all’1,9% all’anno.
Ciò detto, la previsione della Fed non si è confermata. Se la Fed questo mese aumenterà effettivamente i tassi di interesse, essa avrà intrapreso soltanto quattro rialzi del tasso, sui nove previsti. Inoltre, essa credeva che i nove rialzi del tasso prima della fine di questa estate sarebbero stati necessari per mantenere l’inflazione al di sotto del suo obbiettivo del 2% annuo. Ma ci si aspetta che l’inflazione cresca ad un tasso annuale di solo l’1,5% per il resto di quest’anno e per l’anno prossimo.
In termini di pressione inflazionistica, la previsione della Fed sembra aver sovrastimato la forza dell’economia statunitense in modo significativo. Persino con il cambio di indirizzo da parte della Fed (essa sta adesso perseguendo un tasso sui finanziamenti federali che si colloca 1,5 punti percentuali al di sotto del suo programma del dicembre 2015), la pressione inflazionistica è ancora relativamente debole. Infatti, nonostante la spinta economica implicita nelle più lenta politica di restrizione, il tasso di inflazione non è ancora altrettanto alto di quanto era nel periodo 2013-2014, quando molti si preoccupavano che la Fed non stesse fornendo uno stimolo sufficiente.
Possiamo trarre tre conclusioni dalla situazione attuale. La prima, la previsione odierna di una debole inflazione indica che le politiche monetarie della Fed, in combinazione con le politiche della finanza pubblica, non stanno fornendo uno stimolo sufficiente all’economia degli Stati Uniti – come avvenne nel 2013. Sfortunatamente, il FOMC non sembra essere particolarmente preoccupato di questa possibilità. Tra i membri del FOMC, Neel Kashkari, il notevole Presidente della Banca della Federal Reserve di Minneapolis, è l’unico che ha espresso dissenso, pronunciandosi perché la Fed persegua politiche di maggiore stimolo.
Il punto cieco della Fed deriva dal fatto che essa si sta basando più sul suo giudizio sul mercato del lavoro, che essa considera essere in condizioni di “piena occupazione” se non sopra, piuttosto che sui clamorosi dati dell’inflazione mese per mese. Ma la “piena occupazione” è un concetto piuttosto fragile e inaffidabile. Sono passati 20 anni da quando Douglas Staiger, James Stock e Mark Watson dimostrarono che le autorità della Fed non dovrebbero essere così fiduciose sulla “piena occupazione”. E tuttavia, per qualche ragione, gli ambienti della Fed non hanno consentito che questo essenziale messaggio venisse assimilato.
Una seconda conclusione da trarre dalla situazione attuale è che la Fed, ad oggi, ha sovrastimato la forza dell’economia degli Stati Uniti per 11 mesi consecutivi. Una matematica elementare insegna che previsioni credibili dovrebbero sovrastimare non più della metà del tempo e collocarsi al di sotto per l’altra metà. Se ogni anno facessimo testa o croce con le previsioni della Fed, adesso avremmo avuto undici teste in fila, e nessuna croce. La probabilità che avvenga una cosa del genere sono una su 2.048.
Chiaramente la Fed ha bisogno di fare una analisi seria della sua metodologia previsionale e dei suoi processi operativi. Dovrebbe chiedersi se il suo attuale sistema non stia creando per i tecnocrati della Fed incentivi irresistibili per andare a tutta velocità con le loro previsioni di inflazione. E dovrebbe garantire che il punto di vista delle autorità monetarie sull’obbiettivo del 2% di inflazione annuale sia un obbiettivo a cui aspirare, anziché un tetto da evitare.
Una conclusione finale è che i due anni passati hanno fornito ancora ulteriori dati a sostegno dal grave sospetto del passato Segretario al Tesoro Larry Summers, secondo il quale le economie del Nord globale sono adesso intrappolare in una condizione di “stagnazione secolare”. Coloro che non sono d’accordo, come Kenneth Rogoff dell’Università di Harvard, ci dicono che tutto andrà bene, e che tra otto anni nessuno starà più parlando di “stagnazione secolare”. Può darsi che si scoprirà che hanno ragione – ma soltanto se la Fed potrà decidersi a perseguire politiche di stimolo che siano altrettanto radicali di quanto è necessario.
By mm
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