Paul Krugman JUNE 1, 2017
As Donald Trump does his best to destroy the world’s hopes of reining in climate change, let’s be clear about one thing: This has nothing to do with serving America’s national interest. The U.S. economy, in particular, would do just fine under the Paris accord. This isn’t about nationalism; mainly, it’s about sheer spite.
About the economics: At this point, I think, we have a pretty good idea of what a low-emissions economy would look like. I’m sure that energy experts will disagree on the details, but the broad outline isn’t hard to describe.
Clearly, it would be an economy running on electricity — electric cars, electric heat, with internal combustion engines rare. The bulk of that electricity would, in turn, come from nonpolluting sources: wind, solar and, yes, probably nuclear.
Of course, sometimes the wind doesn’t blow or the sun shine when people want power. But there are multiple ways to deal with that issue: a robust grid that can ship electricity to where it’s needed; storage of various forms (batteries, but also maybe things like pumped hydro); dynamic pricing that encourages customers to use less power when it’s scarce and more when it isn’t; and some surge capacity — probably from relatively low-emission natural-gas-fired generators — to cope with whatever mismatch remains.
What would life in an economy that made such an energy transition be like? Almost indistinguishable from life in the economy we have now.
People would still drive cars, live in houses that were heated in the winter and cooled in the summer, and watch videos about superheroes and funny cats. There would be a lot of wind turbines and solar panels, but most of us would ignore them the same way we currently ignore the smokestacks of conventional power plants.
Wouldn’t energy be more expensive in this alternative economy? Probably, but not by much: Technological progress in solar and wind has drastically reduced their cost, and it looks as if the same thing is starting to happen with energy storage.
Meanwhile, there would be compensating benefits. Notably, the adverse health effects of air pollution would be greatly reduced, and it’s quite possible that lower health care costs would all by themselves make up for the costs of energy transition, even ignoring the whole saving-civilization-from-catastrophic-climate-change thing.
The point is that while tackling climate change in the way envisaged by the Paris accord used to look like a hard engineering and economic problem, these days it looks fairly easy. We have almost all the technology we need, and can be quite confident of developing the rest. Obviously the transition to a low-emissions economy, the phasing out of fossil fuels, would take time, but that would be O.K. as long as the path was clear.
Why, then, are so many people on the right determined to block climate action, and even trying to sabotage the progress we’ve been making on new energy sources?
Don’t tell me that they’re honestly worried about the inherent uncertainty of climate projections. All long-term policy choices must be made in the face of an uncertain future (duh); there’s as much scientific consensus here as you’re ever likely to see on any issue. And in this case, uncertainty arguably strengthens the case for action, because the costs of getting it wrong are asymmetric: Do too much, and we’ve wasted some money; do too little, and we’ve doomed civilization.
Don’t tell me that it’s about coal miners. Anyone who really cared about those miners would be crusading to protect their health, disability and pension benefits, and trying to provide alternative employment opportunities — not pretending that environmental irresponsibility will somehow bring back jobs lost to strip mining and mountaintop removal.
While it isn’t about coal jobs, right-wing anti-environmentalism is in part about protecting the profits of the coal industry, which in 2016 gave 97 percent of its political contributions to Republicans.
As I said, however, these days the fight against climate action is largely driven by sheer spite.
Pay any attention to modern right-wing discourse — including op-ed articles by top Trump officials — and you find deep hostility to any notion that some problems require collective action beyond shooting people and blowing things up.
Beyond this, much of today’s right seems driven above all by animus toward liberals rather than specific issues. If liberals are for it, they’re against it. If liberals hate it, it’s good. Add to this the anti-intellectualism of the G.O.P. base, for whom scientific consensus on an issue is a minus, not a plus, with extra bonus points for undermining anything associated with President Barack Obama.
And if all this sounds too petty and vindictive to be the basis for momentous policy decisions, consider the character of the man in the White House. Need I say more?
Trump respinge senza argomenti l’accordo sul clima di Parigi, di Paul Krugman
New York Times 1 giugno 2017
Mentre Donald Trump fa del suo meglio per distruggere le speranze del mondo di tenere a freno il cambiamento climatico, siamo chiari su un aspetto: questo non ha niente a che fare con il servire l’interesse nazionale dell’America. In particolare, l’economia degli Stati Uniti avrebbe solo vantaggi dall’accordo di Parigi. Non c’entra niente il nazionalismo; è una pura e semplice ripicca.
Sull’aspetto economico: a questo punto, penso, abbiamo un’idea abbastanza precisa di quello che sarebbe un’economia a basse emissioni. Sono certo che gli esperti di energia non saranno d’accordo su tutti i dettagli, ma il quadro generale non è difficile da descrivere.
Chiaramente, sarebbe un’economia che continuerebbe a basarsi sull’elettricità – macchine elettriche, riscaldamento elettrico, con motori a combustione interna sempre più rari. La parte principale di quella elettricità, a sua volta, verrebbe da fonti non inquinanti: l’eolico, il solare e, sì, probabilmente il nucleare.
Naturalmente, talvolta, quando le persone vogliono energia elettrica, il vento non soffia o il sole non splende. Ma ci sono molti modi per affrontare questo problema: reti potenti che possono trasportare l’elettricità dove è necessaria; immagazzinamento in varie forme (batterie, ma anche forse oggetti come la compressione idrica); sistemi di apprezzamento dinamico che incoraggiano i clienti ad usare meno elettricità quando è scarsa e ad usarne di più quando non lo è; ed una qualche crescita di capacità produttiva – probabilmente da generatori ad emissioni relativamente basse alimentati da gas naturale – per superare il problema di tutto quello che resta di incompatibile.
Come si vivrebbe in un’economia che ha reso possibile tale transizione energetica? Sarebbe quasi indistinguibile dalla vita nell’economia che abbiamo adesso.
Le persone continuerebbero a guidare le macchine, a vivere in abitazioni che vengono riscaldate in inverno e raffreddate in estate e a guardare video su supereroi e su buffi gatti. Ci sarebbero una gran quantità di turbine eoliche e di pannelli solari, ma la maggior parte di noi li ignorerebbe nello stesso modo in cui attualmente ignoriamo le ciminiere delle centrali elettriche convenzionali impianti.
In questa economia alternativa l’energia non sarebbe più costosa? Forse, ma non per molto: il progresso tecnologico nel solare e nell’eolico ha drasticamente ridotto il loro costo, e sembra che la stessa cosa stia cominciando ad accadere per l’immagazzinamento energetico.
Nello stesso tempo, ci sarebbe una compensazione di benefici. In particolare, gli effetti negativi sulla salute dell’inquinamento dell’aria sarebbero fortemente ridotti ed è abbastanza probabile che i minori costi di assistenza sanitaria da soli compenserebbero i costi della transizione energetica, anche non considerando l’aspetto complessivo di una civiltà messa in salvo da un catastrofico cambiamento del clima.
Il punto è che, mentre misurarsi con il cambiamento climatico nel modo individuato dall’accordo di Parigi si era soliti considerarlo come un difficile problema ingegneristico ed economico, oggi esso appare abbastanza semplice. Siamo vicini ad avere tutta la tecnologia che è necessaria, e si può essere abbastanza fiduciosi di sviluppare quella che resta. Ovviamente, per la transizione ad una economia a basse emissioni, per l’eliminazione dei combustibili fossili, ci vorrebbe del tempo, ma sarebbe possibile purché l’indirizzo fosse chiaro.
Perché, allora, così tante persone a destra sono determinate a bloccare l’iniziativa sul clima, e persino a cercare di sabotare il progresso che stiamo realizzando sulle nuove fonti energetiche?
Non venitemi a raccontare che costoro sono onestamente preoccupati sulla caratteristica incertezza delle previsioni climatiche. Tutte le scelte politiche di lungo termine devono essere fatte a fronte di un futuro incerto (bella scoperta!); su questo c’è un grande consenso nella scienza come non è mai probabile osservare su nessun altro tema. E in questo caso l’incertezza verosimilmente rafforza gli argomenti a favore dell’iniziativa, perché i costi del fare le scelte sbagliate sono asimmetrici: se si fa troppo si sono sprecati un po’ di soldi; se si fa troppo poco, abbiamo condannato la civiltà all’insuccesso.
E non mi raccontate che la faccenda riguarda i minatori del carbone. Chiunque realmente si fosse preoccupato di quei minatori, dovrebbe essersi preoccupato di proteggere la loro salute, le loro disabilità ed i loro sussidi pensionistici, e di cercare di offrire opportunità di impiego alternative – non far finta che l’irresponsabilità ambientale in qualche modo ci riporterà i posti di lavoro che sono stati perduti con l’estrazione a cielo aperto e la rimozione delle cime delle montagne.
Mentre non ha niente a che vedere con i posti di lavoro nel carbone, l’anti ambientalismo della destra in parte riguarda la protezione dei profitti dell’industria carbonifera, che nel 2016 ha dato il 97 per cento dei suoi contributi politici ai repubblicani.
Tuttavia, come ho detto, di questi tempi la battaglia contro l’iniziativa sul clima è largamente determinata da una pura e semplice ripicca.
Si faccia un po’ di attenzione all’attuale dibattito della destra – inclusi gli articoli sulle pagine dei commenti da parte dei principali dirigenti di Trump – e si scoprirà una profonda ostilità ad ogni idea secondo la quale alcuni problemi richiedono l’iniziativa collettiva, più che prendersela con la gente e far ingigantire i problemi stessi.
Oltre a ciò, molta della destra odierna sembra guidata soprattutto dalla ostilità nei confronti dei progressisti, piuttosto che da particolari tematiche. Se i progressisti sono a favore di qualcosa, loro sono contro. Se i progressisti odiano qualcosa, deve essere positiva. Si aggiunga a questo l’anti intellettualismo della base del Partito Repubblicano, per la quale il consenso scientifico su un tema è un disvalore, non un vantaggio, con punti di premio aggiuntivo se si danneggia tutto quello che è associato con il Presidente Barack Obama.
E se tutto questo appare troppo meschino e vendicativo per costituire la base di decisioni politiche epocali, si consideri il carattere dell’uomo insediato alla Casa Bianca. C’è bisogno che aggiunga qualcosa?
By mm
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