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Il nuovo clima del tradimento (dal blog di Paul Krugman, 14 luglio 2017)

 

The New Climate Of Treason

 JULY 14, 2017 4:31 PM 

Paul Krugman

The title of this post comes from a once-famous book about the senior British officials who, it turned out, spied for Stalin. I found myself thinking about that book’s title while watching the conservative movement react to news that yes, the Trump campaign was in contact with Russian agents, and was willing, indeed eager, to engage in collusion.

With very few exceptions, this reaction has taken two forms: defining collusion down, or celebrating it. Some are arguing that saying “I love it!” when Russian agents offer damaging information about your opponent doesn’t count as collusion unless it’s sustained (which it might have been, by the way – we just don’t know yet), or unless it determined the election outcome. By that standard, of course, Kim Philby did nothing wrong, since the West ended up winning the Cold War.

Others are basically saying that cooperating with a foreign dictator is no big deal if it protects us against real threats, like universal health care.

The important thing to notice is that almost the entire conservative movement has bought into one or both of these arguments. After all the flag-waving, all the attacks on Democrats’ patriotism, essentially the whole GOP turns out to be OK with the moral equivalent of treason if it benefits their side in domestic politics. Which raises the question: what happened to these people?

One answer might be that right-wing ideology, the commitment to tax cuts for the rich and pain for the poor, has such a grip on conservative minds that nothing else matters. But while this is true for some apparatchiks, my guess is that it’s not nearly as true for many – certainly not for the Republican base in the general public. So why has partisanship become so extreme that it trumps patriotism?

Well, I have a thought inspired by something my CUNY colleague Branko Milanovic wrote recently about civil wars. Branko – who knows something about Yugoslavia! – argues against the view that civil wars are caused by deep divisions between populations who don’t know each other. The causation, he argues, goes the other way: when a civil war begins for whatever reason, that’s when the lines between the groups are drawn, and what may have been minor, fairly benign differences become irreconcilable gulfs.

My suggestion is that something like this happened to America, minus the mass bloodshed (so far, anyway).

The radicalization of the GOP began as a top-down affair, driven by big-money interests that financed campaigns and think tanks, pushing the party to the right. But to win elections, the forces engaged in this push cynically appealed to darker impulses – racism first and foremost, but also culture war, anti-intellectualism, and so on. To make this appeal, they created a media establishment – Fox News, talk radio, and so on – which drew in many working-class whites. This meant that a large segment of the population was no longer hearing the same news – basically not experiencing the same account of reality – as the rest of us. So what had been real but not extreme differences became extreme differences in political outlook.

And political figures either adapted or were pushed out. There once were Republicans who would have reacted with horror to Trump’s embrace of Putin, but they’ve left the scene, or are no longer considered Republicans.

This has troubling implications for both the short and the long run. In the short run, it probably means that no matter how bad the Trump revelations get, most Republicans, both in the base and in Congress, will stick with him – because taking him down would be a victory for liberals, who are worse than anything.

In the long run, it makes you wonder whether and how we can get the country we used to be back. As Branko says, there was a time when Serbs and Croats seemed to get along fairly well, indeed intermarrying at a high rate. But could anyone now put Yugoslavia back together? At this rate, we’ll soon be asking the same question about America.

 

Il nuovo clima del tradimento, di Paul Krugman

Il titolo di questo post deriva da un libro un tempo famoso su ufficiali inglesi di grado elevato che, si scoprì, erano spie per conto di Stalin. Mi sono ritrovato a riflettere sul titolo di quel libro nel mentre osservavo le reazioni del movimento conservatore alle notizie secondo le quali, in effetti, nella campagna elettorale di Trump ci furono contatti con gli agenti russi, e c’era la disponibilità, addirittura l’ansia, di impegnarsi ad operare in combutta con loro.

Con minime eccezioni, questa reazione ha preso due forme: ridimensionare quella collusione, oppure esaltarla. Alcuni sostengono che il dire “mi piace tanto!”, quando agenti russi offrono informazioni dannose sull’altro candidato non è collusione, a meno che essa non sia confermata (la qual cosa, ovviamente, potrebbe essere avvenuta – semplicemente, noi non lo sappiamo ancora), o a meno che essa non abbia determinato il risultato delle elezioni. Con questo criterio, naturalmente, Kim Philby [1] non fece niente di sbagliato, dal momento che l’Occidente alla fine vinse la Guerra Fredda.

Altri fondamentalmente sostengono che cooperare con un dittatore straniero non è una faccenda così disdicevole, se ci protegge da minacce reali, come una assistenza sanitaria universalistica.

La cosa importante da notare è che quasi l’intero movimento conservatore ha fatto propri uno o entrambi questi argomenti. Alla fine di tutto lo sventolare bandiere, di tutti gli attacchi al patriottismo dei democratici, si scopre che sostanzialmente l’intero Partito Repubblicano è a suo agio con l’equivalente morale di un tradimento, se esso avvantaggia il proprio schieramento nelle vicende interne. Il che solleva la domanda: cosa è successo a questa gente?

Una risposta potrebbe essere che l’ideologia della destra, l’impegno per sgravi fiscali ai ricchi e per distribuire sofferenze ai poveri, ha una tale presa sulle menti dei conservatori che non conta nient’altro. Ma mentre questo è vero per alcuni burocrati di apparato, la mia impressione è che sia tutt’altro che vero per molti altri – certamente non per la basa repubblicana dentro la complessiva opinione pubblica. Dunque, perché la faziosità è divenuta così radicale da surclassare il patriottismo?

Ebbene, ho un pensiero ispirato da qualcosa che il mio collega all’Università della città di New York Branko Milanovic ha scritto di recente sulle guerre civili. Branko – che ne sa qualcosa per l’esperienza della Jugoslavia! – si oppone al punto di vista secondo il quale le guerre civili sono provocate dalle profonde divisioni tra popolazioni che non si conoscono l’una con l’altra. Le cause, sostiene, procedono in un altro senso: quando comincia, per una qualsiasi ragione, una guerra civile, ovvero quando le demarcazioni tra i gruppi sono segnate, e quelle che potevano essere differenze secondarie, abbastanza benigne, diventano abissi irreconciliabili.

La mia impressione è che in America sia accaduto qualcosa del genere, pur senza un massiccio spargimento di sangue (del resto, almeno sinora).

La radicalizzazione del Partito Repubblicano ebbe inizio come un fenomeno dall’alto in basso, guidato dagli interessi di grandi ricchezze che finanziavano campagne elettorali e gruppi di ricerca, spingendo il partito a destra. Ma per vincere le elezioni, le forze impegnate in questa spinta fecero appello ad impulsi più oscuri – il razzismo anzitutto e soprattutto, ma anche la cultura della guerra, l’anti intellettualismo, e cose del genere. Per realizzare questa attrazione, crearono fondazioni mediatiche – Fox News, spettacoli radiofonici ed altro – che attrassero molti lavoratori bianchi. Questo comportò che un ampio segmento della popolazione non attingeva più alle stesse notizie di tutti noi – giacché in sostanza non faceva esperienza della stessa narrazione di cose reali. Dunque, quelle che erano state differenze reali ma non incolmabili, divennero differenze radicali nell’atteggiamento politico.

E i personaggi della politica o si adattarono o vennero esclusi. Una volta c’erano repubblicani che avrebbero reagito con orrore all’abbraccio di Putin da parte di Trump, ma lasciarono la scena, oppure adesso non sono più considerati repubblicani.

Questo ha implicazioni problematiche sia nel breve che nel lungo periodo. Nel breve, probabilmente comporta che non sono importanti le rivelazioni su Trump, per quanto possano essere negative, la maggioranza dei repubblicani, sia alla base che nel Congresso, gli staranno vicini – perché abbatterlo sarebbe una vittoria dei progressisti, che sono peggio di tutto il resto.

Nel lungo periodo, tutto questo porta a chiedersi se e come potremo riavere il paese a cui eravamo abituati. Come dice Branko, ci fu un tempo nel quale i Serbi ed i Croati sembravano procedere assieme abbastanza bene, in effetti avevano un tasso di matrimoni misti elevato. Ma oggi chi potrebbe rimettere assieme la Jugoslavia? A questo ritmo, presto ci porremo la stessa domanda sull’America.

 

 

 

[1] Kim Philby, all’anagrafe Harold Adrian Russell Philby, talora indicato col suo acronimo H.A.R. Philby è stato un agente segreto britannico, che acquisì la cittadinanza sovietica nel 1963. Wikipedia

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