Paul Krugman AUG. 21, 2017
With Steve Bannon out of the White House, it’s clearer than ever that Donald Trump’s promise to be a populist fighting for ordinary workers was worth about as much as any other Trump promise — that is, nothing. His agenda, such as it is, amounts to reverse Robin Hood with extra racism — the conventional Republican strategy of taking from struggling families to give to the rich, while distracting lower-income whites by attacking Those People, with the only difference being just how blatantly he plays the race card.
At first sight, however, the Trump version of this strategy doesn’t seem to be going very well. The attempt to repeal Obamacare was almost a caricature of trickle-down policy — take health coverage away from 20-plus million Americans while cutting taxes on a handful of wealthy individuals. But it was massively unpopular, and appears to have failed in Congress.
The next item on the agenda, tax “reform,” may not fare much better. I use scare quotes because a true reform, reducing some tax rates but making up for the lost revenue by closing loopholes, was never going to happen. Straight-out tax cuts, which benefit corporations and the wealthy while blowing up the deficit, might still go through, but even that looks doubtful.
So is the Trump agenda dead? Not necessarily, because trickle-down has never been the whole story of the Republican assault on workers. Or to put it another way: Don’t just watch Congress, keep your eyes on what federal agencies are doing.
When you step back and take the long view on trickle-down policies, what you realize is that Trump’s legislative failure is more the rule than the exception. The election of Ronald Reagan was supposed to have set America on a path toward lower taxes and smaller government — and it did, for a while. But those changes have largely been reversed.
According to the Congressional Budget Office, back in 1980 the top 1 percent paid 33 percent of its income in federal taxes. Under Reagan, that share briefly fell below 25 percent. But as of 2013, the most recent year covered, Obama’s tax hikes had brought federal taxes on the 1 percent back up to 34 percent of income.
What about safety net programs? Some were savagely cut — but others have grown, a lot. Take Medicaid, which in 1980 covered only 7 percent of nonelderly Americans. Today that number is up to 21 percent.
Looking only at taxing and spending, then, one might conclude that the conservative economic agenda has largely failed. But here’s the thing: While the rich still pay taxes and the safety net has in some ways gotten stronger, the decades since Reagan have nonetheless been marked by vastly increased inequality, with stagnating wages for most, but soaring incomes for a tiny elite. How did that happen?
Yes, globalization probably played some role, as did technology. But other wealthy countries, just as exposed to the winds of global change, haven’t seen anything like America’s headlong rush into a new Gilded Age. To understand what happened to us, and in particular to American workers, you need to look at policy — and especially the kind of policy that often flies under the media’s radar.
Take one example, covered a few months ago in a striking Times essay: the decline in the fortunes of truck drivers, whose pay used to make them members of the middle class. No more: Their real wages have fallen about a third since the 1970s, with most of the decline taking place during the Reagan years.
Now, globalization and technology haven’t destroyed trucking jobs; on the contrary, the industry is facing a labor shortage. What happened to truckers was, basically, the collapse of their bargaining power due in part to a changed ideological climate — not least at the National Labor Relations Board — that encouraged private employers to fight unionization, and in part to deregulation that undercut the position of unionized firms.
Take another example, at the opposite end of the spectrum: Does anyone doubt that financial deregulation played an important role in surging incomes at the very top of the income distribution?
Which brings us back to Trump and the effect he’ll have on America’s working class. Right now it looks as if he may have much less impact on taxing and spending than most people expected. But other policies, often made administratively by federal agencies rather than via legislation, can matter a lot.
True, Trump failed in his attempt to appoint a deeply anti-labor fast-food executive to head the Department of Labor. But the fact that he even tried to appoint Andrew Puzder tells you a great deal.
The point is that progressives shouldn’t celebrate too much over Trump’s legislative failures. As long as he’s in office, he retains a lot of power to betray the working people who supported him. And in case you haven’t noticed, betraying those who trust him is a Trump specialty.
Cosa farà Trump ai lavoratori americani? Di Paul Krugman
New York Times 21 agosto 2017
Con Steve Bannon fuori dalla Casa Bianca, è più chiaro che mai che la promessa di Donald Trump di essere un populista che si batte per i comuni lavoratori aveva più o meno lo stesso valore di ogni altra sua promessa – ovvero, nessuno. Il suo programma, per quello che rappresenta, corrisponde a fare l’opposto di Robin Hood con l’aggiunta del razzismo – la strategia convenzionale dei repubblicani del togliere alle famiglie in difficoltà per dare ai ricchi, nello stesso tempo sviando i bianchi con redditi più bassi con l’attacco a Quella Gente, l’unica differenza essendo soltanto il modo in cui egli gioca apertamente la carta razzista.
Tuttavia, a prima vista, la versione di Trump di questa strategia non sembra che funzioni benissimo. Il tentativo di abrogare la riforma sanitaria di Obama era quasi una caricatura della politica del trickle down [1] – togliere la copertura assicurativa a una ventina di milioni di americani nel mentre si tagliano le tasse ad una manciata di individui ricchi. Ma è risultato completamente impopolare, e pare che nel Congresso non abbia funzionato.
Il prossimo tema dell’agenda, la “riforma” del fisco, non è destinato a funzionare meglio. Uso l’espressione tra virgolette perché una vera riforma, che riduca alcune aliquote al tempo stesso elevando le entrate perdute con la chiusura delle elusioni del fisco, non è mai stata destinata a realizzarsi. Espliciti tagli fiscali, che beneficiano le imprese e i ricchi mentre fanno esplodere il deficit, potrebbero ancora essere sperimentati, ma anche quello sembra dubbio.
È dunque già morta e sepolta l’agenda di Trump? Non necessariamente, perché il trickle down non è mai stata l’intera spiegazione dell’assalto repubblicano ai lavoratori. O, per dirla in altro modo: non guardate soltanto il Congresso, tenete gli occhi su quello che stanno facendo le Agenzie federali.
Quando, sulle politiche del trickle down, si fa un passo indietro e si assume la lunga prospettiva, quello che si comprende è che il fallimento legislativo di Trump è più la regola che l’eccezione. Si suppose che l’elezione di Ronald Reagan avesse stabilizzato l’America su un percorso di tasse più basse e funzioni pubbliche ridotte – e fu così, per un po’. Ma quei cambiamenti sono stati in larga parte cancellati.
Secondo l’Ufficio Congressuale del Bilancio, nel passato 1980 l’uno per cento dei più ricchi pagava il 33 per cento del proprio reddito in tasse federali. Sotto Reagan, quella quota scese per un breve periodo al di sotto del 25 per cento. Ma a partire dal 2013, il più recente anno disponibile, gli incrementi fiscali di Obama hanno riportato le tasse federali dell’1 per cento dei più ricchi al 34 per cento del loro reddito.
Cosa dire dei programmi della sicurezza sociale? Alcuni sono stati selvaggiamente tagliati – ma altri sono molto cresciuti. Si prenda Medicaid che nel 1980 interessava soltanto il 7 per cento degli americani non anziani. Oggi quel dato è salito al 21 per cento.
Dunque, tenendo conto solo della tassazione e della spesa pubblica, si potrebbe concludere che l’agenda economica conservatrice è ampiamente fallita. Ma questo è il punto: mentre i ricchi pagano ancora le tasse e le reti della sicurezza sociale sono in vari modi diventate più forti, nondimeno i decenni che ci separano da Reagan sono stati segnati da una diseguaglianza ampiamente cresciuta, con salari stagnanti per la maggioranza, ma con redditi che sono saliti alle stelle per una minuscola elite. Come è successo?
È vero, la globalizzazione probabilmente ha avuto un qualche peso, come il progresso tecnologico. Ma gli altri paesi ricchi, nel momento in cui erano esposti ai venti del cambiamento globale, non hanno conosciuto niente di simile alla corsa in avanti dell’America verso una nuova età dell’oro. Per capire cosa è successo da noi, e in particolare ai lavoratori americani, si deve osservare la politica – e specialmente quel genere di politica che spesso non è percepita dai media.
Si prenda un esempio, sul quale pochi mesi fa ci fu un sorprendente saggio sul Times: il declino delle fortune dei camionisti, i cui compensi normalmente li collocavano come membri della classe media. Non è più così: i loro salari sono calati di un terzo a partire dagli anni ’70, con la maggior parte del calo che ebbe luogo durante gli anni di Reagan.
Ora, la globalizzazione e la tecnologia non hanno distrutto i posti di lavoro dei camionisti; al contrario, il settore sta conoscendo una penuria di lavoratori. Quello che è successo ai camionisti è stato, fondamentalmente, il collasso del loro potere contrattuale, in parte dovuto alle modifiche del clima ideologico, non da ultimo presso l’Ufficio Nazionale delle Relazioni del Lavoro – che ha incoraggiato i datori di lavoro privati a combattere la sindacalizzazione – è in parte alla deregolamentazione che ha eroso la posizione delle imprese sindacalzzate.
Si prenda un altro esempio, al lato opposto dello spettro: qualcuno dubita che la deregolamentazione finanziaria abbia giocato un ruolo importante nella crescita dei redditi ai livelli più alti della distribuzione del reddito?
La qual cosa mi riporta a Trump e all’effetto che avrà sulla classe lavoratrice americana. In questo momento sembra che potrà avere un impatto molto minore di quella che la maggioranza delle persone si aspettava, quanto a tassazione e a spesa pubblica. Ma altre politiche, spesso gestite in via amministrativa dalle Agenzie federali anziché tramite la legislazione, possono avere un peso rilevante.
È vero, Trump non è riuscito nel suo tentativo di nominare un dirigente del settore del fast-food apertamente ostile ai lavoratori a capo del Dipertimento del Lavoro. Ma il fatto che abbia anche solo provato a nominare Andrew Puzder vi dice molto.
Il punto è che i progressisti non dovrebbero troppo celebrare i fallimenti legislativi di Trump. Finché sarà in carica, manterrà molto potere per tradire i lavoratori che l’hanno sostenuto. E nel caso non l’abbiate notato, tradire quelli che hanno fiducia in lui è una specialità di Trump.
[1] Ovvero, della politica che si basa sulla ipotesi che gli sgravi fiscali sui più ricchi finiranno col trasmettere benefici anche su quelli che stanno in basso sulla scala sociale, letteralmente “sgoccioleranno verso il basso”.
By mm
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