Paul Krugman SEPT. 4, 2017
The waters are receding in Houston, and so, inevitably, is national interest. But Harvey will leave a huge amount of wreckage behind, some of it invisible. In particular, we don’t yet know just how much poison has been released by flooding of chemical plants, waste dumps, and more. But it’s a good bet that more people will eventually die from the toxins Harvey leaves behind than were killed during the storm itself.
Oh, and if you trust the current administration to handle Harvey’s aftermath right, I’ve got a degree from Trump University you might want to buy. There are already signs of dereliction: Many toxic waste sites are flooded, but the Environmental Protection Agency is conspicuously absent.
Anyway, Harvey was an epic disaster. And it was a disaster brought on, in large part, by bad policy. As many have pointed out, what made Houston so vulnerable to flooding was rampant, unregulated development. Put it this way: Greater Houston still has less than a third as many people as greater New York, but it covers roughly the same area, and probably has a smaller percentage of land that hasn’t been paved or built on.
Houston’s sprawl gave the city terrible traffic and an outsized pollution footprint even before the hurricane. When the rains came, the vast paved-over area meant that rising waters had nowhere to go.
So is Houston’s disaster a lesson in the importance of urban land-use regulation, of not letting developers build whatever they want, wherever they want? Yes, but.
To understand that “but,” consider the different kind of disaster taking place in San Francisco. Where Houston has long been famous for its virtual absence of regulations on building, greater San Francisco is famous for its NIMBYism — that is, the power of “not in my backyard” sentiment to prevent new housing construction. The Bay Area economy has boomed in recent years, mainly thanks to Silicon Valley; but very few new housing units have been added.
The result has been soaring rents and home prices. The median monthly rent on a one-bedroom apartment in San Francisco is more than $3,000, the highest in the nation and roughly triple the rent in Houston; the median price of a single-family home is more than $800,000.
And while geography — the constraint imposed by water and mountains — is often offered as an excuse for the Bay Area’s failure to build more housing, there’s no good reason it couldn’t build up. San Francisco housing is now quite a lot more expensive than New York housing, so why not have more tall buildings?
But politics has blocked that kind of construction, and the result is housing that’s out of reach for ordinary working families. In response, some workers engage in extreme commuting from affordable locations, spending as much as four hours each way. That’s no way to live — and no way to run a city.
Houston and San Francisco are extreme cases, but not that extreme. It turns out that America’s big metropolitan areas are pretty sharply divided between Sunbelt cities where anything goes, like Houston or Atlanta, and those on the East or West Coast where nothing goes, like San Francisco or, to a lesser extent, New York. (Chicago is a huge city with dense development but relatively low housing prices; maybe it has some lessons to teach the rest of us?)
The point is that this is one policy area where “both sides get it wrong” — a claim I usually despise — turns out to be right. NIMBYism is bad for working families and the U.S. economy as a whole, strangling growth precisely where workers are most productive. But unrestricted development imposes large costs in the form of traffic congestion, pollution, and, as we’ve just seen, vulnerability to disaster.
Why can’t we get urban policy right? It’s not hard to see what we should be doing. We should have regulation that prevents clear hazards, like exploding chemical plants in the middle of residential neighborhoods, preserves a fair amount of open land, but allows housing construction.
In particular, we should encourage construction that takes advantage of the most effective mass transit technology yet devised: the elevator.
In practice, however, policy all too often ends up being captured by interest groups. In sprawling cities, real-estate developers exert outsized influence, and the more these cities sprawl, the more powerful the developers get. In NIMBY cities, soaring prices make affluent homeowners even less willing to let newcomers in.
Can America break out of these political traps? Maybe. In blue states where cities build too little, there’s a growing political movement calling for more housing supply. Until now, there’s been much less evidence of second thoughts about unmanaged development in red states, but Harvey may serve as a wake-up call.
One thing is clear: How we manage urban land is a really important issue, with huge impacts on American lives.
Perché non possiamo avere città in ordine? Di Paul Krugman
New York Times 4 settembre 2017
Le acque si stanno ritirando da Houston, e nello stesso modo, inevitabilmente, si ritira l’interesse della nazione. Ma Harvey si lascerà una gran quantità di devastazioni alle spalle, alcune delle quali invisibili. In particolare, non sappiamo ancora quanto veleno è stato rilasciato in seguito agli allagamenti degli stabilimenti chimici, delle discariche dei rifiuti e di altro ancora. Ma è quasi certo che alla fine moriranno più persone per i veleni che Harvey si lascia dietro che non quelle che sono state uccise durante la stessa tempesta.
Inoltre, se credete che l’attuale Amministrazione gestisca nel modo giusto le conseguenze di Harvey, ho ricevuto dalla Trump University un riconoscimento che potreste voler prendere per buono. Ci sono già segni di devastazione: molti siti di rifiuti sono allagati, ma la Agenzia della Protezione Ambientale si distingue per la sua assenza.
In ogni modo, Harvey è stato un disastro epico. Ed è stato un disastro provocato, in larga parte, da cattive politiche. Come molti hanno messo in evidenza, quello che ha reso Houston così vulnerabile alla inondazione è stato uno sviluppo rampante, senza regole. Diciamo così: la Houston metropolitana ha ancora meno di un terzo della popolazione della New York metropolitana, ma copre grosso modo un’area simile, e probabilmente ha una percentuale minore di territorio che non è stata asfaltata o sulla quale non si è edificato.
La estensione di Houston aveva dato alla città un traffico terribile e l’impatto di un inquinamento fuori misura anche prima dell’uragano. Quando sono arrivate le piogge, la vasta superficie eccessivamente asfaltata ha comportato che le acque crescenti non avevano dove andare.
Dunque il disastro di Houston è una lezione sull’importanza delle regole dell’uso del territorio urbano, del non permettere ai costruttori di edificare quello che vogliono, dovunque vogliono? Sì, ma.
Per comprendere quel “ma” si consideri il diverso tipo di disastro che sta prendendo piede a San Francisco. Laddove Houston è stata famosa per lungo tempo per la sua sostanziale assenza di regole nell’edificazione, l’area metropolitana di San Francisco è famosa per il suo ’nimbismo’ [1] – ovvero, per il potere nell’impedire nuove costruzioni immobiliari provocato dal diffuso sentimento “non nel mio giardino”. L’economia dell’Area della Baia è molto cresciuta negli anni recenti, principalmente grazie a Silicon Valley; ma molto poche nuove unità abitative sono state aggiunte.
Il risultato è stato che le rendite immobiliari ed i prezzi delle abitazioni sono saliti alle stelle. La rendita mensile media su un appartamento con una stanza da letto a San Francisco è superiore ai 3.000 dollari, la più alta della nazione e quasi il triplo della rendita a Houston; il prezzo medio di una casa di una sola famiglia supera gli 800.000 dollari.
E se la geografia – i limiti imposti dal mare e dalle montagne – è spesso presentata come una scusa per l’incapacità dell’Area della Baia di costruire più abitazioni, non c’è nessuna buona ragione per non elevarle.
Le abitazioni di San Francisco sono adesso assai più costose di quelle di New York, perché dunque non avere edifici più alti?
Ma la politica ha bloccato questo genere di costruzioni, e il risultato sono abitazioni che non sono alla portata delle comuni famiglie di lavoratori. Di conseguenza alcuni lavoratori si impegnano in un pendolarismo estremo da localizzazioni sostenibili, spendendo sino a quattro ore per ogni viaggio. Non è un modo per vivere – e non è un modo per governare una città.
Houston e San Francisco sono casi estremi, ma non così estremi. Si scopre che le grandi aree metropolitane dell’America sono nettamente divise tra le città del Sunbelt, come Houston e Atlanta, dove funziona tutto, e quelle della Costa Occidentale o Orientale, come San Francisco o, in minore misura, New York, dove non funziona niente (Chicago è una città grande con uno sviluppo serrato ma con prezzi delle abitazioni relativamente bassi: forse ha qualche lezione da insegnare a tutte le altre?).
Il punto è che questa è un’area della politica dove “entrambi gli schieramenti fanno cose sbagliate”, un argomento che di solito detesto ma che in questo caso è appropriato. Il “nimbismo” è negativo per le famiglie dei lavoratori e per l’economia americana nel suo complesso, soffocando la crescita precisamente dove i lavoratori sono più produttivi. Ma uno sviluppo senza restrizioni impone grandi costi nella forma della congestione del traffico, dell’inquinamento e, come si è visto, della vulnerabilità ai disastri.
Perché non possiamo avere politiche urbane corrette? Non è difficile vedere che cosa si dovrebbe fare. Dovremmo avere regole che impediscono chiari rischi, come l’esplosione di stabilimenti chimici nel mezzo di quartieri residenziali, che conservano una giusta quantità di territori liberi, ma permettono la edificazione di abitazioni.
In particolare, dovremmo incoraggiare le costruzioni che si avvantaggiano della più efficace tecnologia di massa di trasporto pubblico sinora ideata: l’ascensore.
Tuttavia, in pratica, la politica troppo spesso finisce per essere catturata dai gruppi di interesse. Nelle città in espansione, i costruttori immobiliari esercitano una influenza sproporzionata, e maggiormente queste città si espandono, più potenti diventano i costruttori. Nelle città ‘nimby’, i prezzi crescenti rendono i possessori benestanti ancora meno disponibili a consentire l’ingresso dei nuovi arrivati.
L’America può venir fuori da queste trappole della politica? Negli Stati democratici dove le città costruiscono troppo poco, c’è un movimento politico crescente che chiede maggiore offerta di alloggi. Sino ad ora, ci sono state molte meno prove di ripensamenti su uno sviluppo non governato negli Stati repubblicani, ma Harvey può servire come un campanello di allarme.
Una cosa è chiara: il modo in cui governiamo il territorio urbano è davvero un tema importante, con vasti impatti sulla vita degli americani.
[1] NIMBY sta per “Not in My backyard”, ovvero ‘non nel mio cortile’. Nuove abitazioni non devone essere edificate vicino alla propria abitazione, gli impianti per i rifiuti devono essere collocati altrove etc.
By mm
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