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La dottrina dell’infallibilità Trumpiana, di Paul Krugman (New York Times 23 ottobre 2017)

 

The Doctrine of Trumpal Infallibility

Paul Krugman OCT. 23, 2017

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Last week John Kelly, the White House chief of staff, tried to defend President Trump against charges that he was grossly insensitive to the widow of a U.S. soldier killed in action. In the process, Kelly accused Frederica Wilson, the member of Congress and friend of the soldier’s family who reported what Trump had said, of having behaved badly previously during the dedication of an F.B.I. building.

Video of the dedication shows, however, that Kelly’s claim was false, and that Representative Wilson’s remarks at the ceremony were entirely appropriate. So Kelly, a former general and a man of honor, admitted his error and apologized profusely.

See? I made a joke!

In reality, of course, Kelly has neither admitted error nor apologized. Instead, the White House declared that it’s unpatriotic to criticize generals — which, aside from being a deeply un-American position, is ludicrous given the many times Donald Trump has done just that.

But we are living in the age of Trumpal infallibility: We are ruled by men who never admit error, never apologize and, crucially, never learn from their mistakes. Needless to say, men who think admitting error makes you look weak just keep making bigger mistakes; delusions of infallibility eventually lead to disaster, and one can only hope that the disasters ahead don’t bring catastrophe for all of us.

Which brings me to the subject of the Federal Reserve. What?

The truth is that what I’m calling Trumpal infallibility — the insistence on clinging to false ideas and refuted claims, no matter what — is a disease that infested the modern Republican Party long before Trump. And one of the areas where the symptoms are especially severe is monetary policy.

You see, when the 2008 financial crisis struck, the Federal Reserve, led at the time by Ben Bernanke, took extraordinary action. It cut interest rates to zero and “printed money” on a huge scale — not literally, but it bought trillions of dollars’ worth of bonds by creating new bank reserves.

Many conservatives were aghast. TV pundits hyperventilated about hyperinflation, and even seemingly more respectable voices denounced the Fed’s actions. In 2010 a who’s who of conservative economists and pundits published an open letter warning that the Fed’s policies would cause inflation and “debase the dollar.”

But it never happened. In fact, the Fed’s preferred measure of inflation has consistently fallen short of its target of 2 percent a year.

Now, every economist makes bad forecasts now and then — if you don’t, you’re not taking enough risks. I’ve certainly made my share, including a bad market call on election night — which I retracted three days later, acknowledging that my political dismay had gotten the better of my analytical judgment. But I always try to face up to my mistakes and learn from them.

But I guess I’m just old fashioned that way. Four years after that open letter to Bernanke, Bloomberg tracked down many of the signatories to ask what they had learned. None of them — not one — was even willing to admit having been wrong.

So what happens to economists who never admit mistakes, and never change their views in the light of experience? The answer, apparently, is that they get put on the short list to be the new Fed chair.

Consider, for example, the case of Stanford’s John Taylor (one of the signatories of that open letter). Unlike some of the other names on the rumored list, he’s a highly cited academic economist.

Since the financial crisis, however, he has repeatedly demanded that the Fed raise interest rates in line with a policy rule he devised a quarter-century ago. Failing to follow that rule was supposed to cause inflation, which it hasn’t — but seven years of being consistently wrong hasn’t inspired any rethinking on his part.

What it has inspired is a descent into increasingly strange reasons the Fed should raise rates despite low inflation. Easy money, he declared, was part of a conspiracy to “bail out fiscal policy,” that is, an effort to help President Barack Obama. Or maybe it was like the monetary equivalent of rent control, discouraging lending the way rent control discourages building apartments — a bizarre analysis that had colleagues scratching their heads.

What these ever-odder interventions had in common was that they always offered some reason wrong was right — why Taylor had been right to warn against easy-money policies even though higher inflation, the problem he predicted as a result of these policies, never materialized. And never, ever, an admission that maybe something was wrong with his initial analysis.

Again, everyone makes forecast errors. If you’re consistently wrong, that should certainly count against your credibility; track records matter. But it’s much worse if you can never bring yourself to admit past errors and learn from them.

That kind of behavior makes it all too likely that you’ll keep making the same mistakes; but more than that, it shows something wrong with your character. And men with that character flaw should never be placed in positions of policy responsibility.

 

La dottrina dell’infallibilità Trumpiana, di Paul Krugman

New York Times 23 ottobre 2017

La scorsa settimana John Kelly, il dirigente dello staff della Casa Bianca, ha cercato di difendere il Presidente Trump dalle accuse secondo le quali sarebbe stato grossolanamente insensibile nei confronti della vedova di un soldato statunitense ucciso nel corso di una azione. Nell’occasione, Kelly ha accusato Frederica Wilson, componente del Congresso ed amica della famiglia del soldato che ha riferito cosa Trump aveva detto, di essersi comportata male in precedenza, durante la dedica di un edificio dell’FBI.

Il video della cerimonia mostra tuttavia che l’argomento di Kelly era falso, e che le osservazioni della congressista Wilson alla cerimonia erano interamente appropriate. Dunque Kelly, che ha i trascorsi di un generale e di un uomo d’onore, ha ammesso il suo errore e si è diffusamente scusato.

Vedete? Vi ho fatto uno scherzo!

In realtà, naturalmente, Kelly non ha né ammesso l’errore né si è scusato. Invece, la Casa Bianca ha dichiarato che non è patriottico criticare i generali – la qual cosa, oltre ad essere una posizione profondamente non-americana, è comica, considerate le molte volte che Donald Trump ha precisamente fatto la stessa cosa.

Ma noi siamo nell’epoca dell’infallibilità di Trump: siamo governati da individui che non ammettono mai un errore, che non si scusano mai e, fondamentale, non imparano niente dai loro errori. Non è il caso di dire che uomini che pensano che ammettere gli errori sia un segno di debolezza, semplicemente continuano a fare errori sempre più grandi; le illusioni dell’infallibilità alla fine conducono al disastro, e si può solo sperare che i disastri futuri non comportino la catastrofe per tutti noi.

Il che mi porta al tema della Federal Reserve. Cosa c’entra?

La verità è che quella che chiamo infallibilità trumpiana – l’insistenza di restare abbarbicati a idee false e di negare gli argomenti, non conta quali – è una malattia che infesta il moderno Partito Repubblicano da molto tempo prima di Trump. E una delle aree nelle quali i sintomi sono particolarmente gravi è la politica monetaria.

Vedete, quando scoppiò la crisi finanziaria del 2008, la Federal Reserve, guidata allora da Ben Bernanke, assunse un’iniziativa straordinaria. Tagliò i tassi a zero è ‘stampò moneta’ su vasta scala – non letteralmente, ma acquistò migliaia di miliardi di dollari in obbligazioni di pari valore creando nuove riserve bancarie.

Molti conservatori furono inorriditi. Commentatori televisivi andarono in iperventilazione per l’ossessione della iperinflazione, e persino voci in apparenza più rispettabili denunciarono le iniziative della Fed. Nel 2010 il Gotha degli economisti e dei commentatori conservatori pubblicò una lettera aperta ch metteva in guardia che le politiche della Fed avrebbero provocato inflazione e ‘svalutato il dollaro’.

Ma non accadde. Di fatto, la misura preferita dell’inflazione da parte della Fed è costantemente rimasta al di sotto del suo obbiettivo annuo del 2 per cento.

Ora, tutti gli economisti prima o poi fanno previsioni sbagliate – chi non le fa, vuol dire che non si prende sufficienti rischi. Io ne ho certamente fatto la mia parte, inclusa una previsione negativa sui mercati la notte delle elezioni – che ritrattai tre giorni dopo, riconoscendo che il mio sgomento politico aveva prevalso sul mio giudizio analitico. Ma ho sempre cercato di guardare in faccia i miei errori e di imparare da essi.

Ma ho l’impressione in quel modo di essere solo all’antica. Quattro anni dopo quella lettera aperta a Bernanke, Bloomberg rintracciò molti dei firmatari per chiedere cosa avessro imparato. Nessuno di loro – neppure uno – fu neanche disponibile ad ammettere di aver fatto uno sbaglio.

Cosa accade dunque agli economisti che non ammettono mai gli errori e non cambiano mai i loro punti di vista alla luce dell’esperienza? A quanto pare, la risposta è che ottengono di aggiungersi alla breve lista dei candidati alla Presidenza della Fed.

Si consideri, ad esempio, il caso di John Taylor dell’Università di Stanford (uno dei firmatari delle lettera aperta). Diversamente da alcuni degli altri nomi della lista di cui si vocifera, è un economista accademico molto citato.

Dal momento della crisi finanziaria, tuttavia, egli ha chiesto ripetutamente che la Fed alzasse i tassi di interesse, in linea con una regola politica concepita un quarto di secolo fa. Si riteneva che non seguire quella regola avrebbe provocato l’inflazione, il che non è accaduto – ma sette anni di continui sbagli non hanno provocato da parte sua alcun ripensamento.

Quello che hanno provocato è stata una china di motivazioni sempre più strane per le quali la Fed avrebbe dovuto elevare i tassi nonostante la bassa inflazione. La moneta facile, dichiarò, era parte di una cospirazione per un “salvataggio della politica della spesa pubblica”, ovvero uno sforzo per aiutare il Presidente Barack Obama. O forse era come l’equivalente monetario di un controllo delle rendite, scoraggiando i prestiti nello stesso modo nel quale il controllo delle rendite scoraggia dal costruire appartamenti – una analisi bizzarra che fece grattare la testa ai suoi colleghi.

Quello che questi sempre più strani interventi avevano in comune era che offrivano sempre qualche ragione perché ciò che era sbagliato divenisse giusto – poiché Taylor aveva avuto ragione nel mettere in guardia dalle politiche della moneta facile, sebbene con una inflazione più elevata, il problema che egli aveva previsto come risultato di queste politiche non si era mai materializzato. E mai una volta una ammissione che forse qualcosa era sbagliato, nelle sua analisi iniziale.

Lo ripeto, ognuno fa errori di previsione. Se voi sbagliate in continuazione, questo dovrebbe sicuramente pesare sulla vostra credibilità; i precedenti sono importanti. Ma è molto peggio se non vi mettete mai nelle condizioni di ammettere gli errori passati e di imparare da essi.

Quel genere di comportamento rende anche troppo probabile che continuerete a fare gli stessi errori; ma più ancora di quello, mostra che c’è qualcosa che non funziona nel vostro carattere. E gli individui con un tale carattere difettoso non dovrebbero essere collocati in posizioni di responsabilità politica.

 

 

 

 

 

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