OCTOBER 10, 2017 9:50
Paul Krugman
Like the vast majority of economists, I was delighted to see Richard Thaler get the Nobel. Anyone with a bit of sense – a group that, believe it or not, includes many economists – knows that people aren’t perfectly rational. But the assumption of hyperrationality still plays far too large a role in the field. And Thaler didn’t just document deviations from rationality, he showed that there are consistent, usable patterns in those deviations.
The question, however, is how much difference this should make to the practice of economics. And here you have a division between two camps. One says that imperfect rationality changes everything; the other that the assumption of rationality is still the best game out there, or at least sets a baseline from which departures must be justified at length.
Which camp is right? My thought: it depends on the field, for reasons not entirely clear to me. Let me talk about two fields I know reasonably well: macroeconomics, which I think I know pretty well, and finance, where I am much less well-informed in general but am pretty familiar with at least some international areas. What strikes me is that vaguely Thalerish reasoning is hugely important in one, in the other not so much.
Let me state two propositions derived from the proposition that people are perfectly rational:
1.Rational investors will build all available information into asset prices, so movements in these prices will be driven only by unanticipated events – that is, they’ll follow a random walk, with no patterns you can exploit to make money
2.Rational wage- and price-setters will take all available information into account when setting labor and goods prices, implying that demand shocks will have real effects only if they’re unanticipated – in particular, that monetary policy “works” only if it’s a surprise, and can’t play a stabilizing role
Now, (1) is basically efficient markets theory, which we know is wrong in detail – there are lots of anomalies. In international finance, for example, there is the well-known uncovered interest parity puzzle: differences in national interest rates should be unbiased predictors of future changes in exchange rates, but in fact turn out to have no predictive power at all. And anyone who believed that rationality of investors precluded the possibility of massive, obvious mispricing – say, of subprime-backed securities – has not had a happy decade.
Yet the broader proposition that asset price movements are unpredictable, that patterns are subtle, unstable, and hard to make money off of, seems to be right. On the whole, it seems to me that considering the implications of rational behavior has done more good than harm to the field of finance.
What about (2)? That’s where Robert Lucas came in: trying to rationalize the observed facts of business cycles with perfectly rational behavior in the face of imperfect information. This approach had a huge effect on the practice of macroeconomics, at least academic macroeconomics. But at this point we can safely say that it took the whole field down a rabbit hole. Wage- and price-setting does not reflect the best available information about future monetary policies; if it did, we’d be seeing wage contracts moving rapidly around as Kevin Warsh’s prospects on Predictit fluctuate. Everything we know suggests that there is a lot of nominal downward rigidity and a lot of money illusion in general.
And assertions that this might be true in practice, but can’t be true in theory, and must therefore be assumed away both in research and in policy have been hugely destructive.
So, rationality is a lie. But in some parts of economics it seems to be a bit of a noble lie, useful as a guide for thinking as long as you keep your tongue firmly in your cheek. In other parts, however, it’s just a disaster.
As I said, I can think of some reasons why. In financial markets, smart investors can, within limits, arbitrage against the irrationality of others. There’s no equivalent in labor and goods markets (or in consumer behavior!). But in general, the uneven applicability of behavioral thinking is surely – of course – a subject for future research.
La razionalità e le tane del coniglio,
di Paul Krugman
Come la grande maggioranza degli economisti, sono stato felicissimo per la decisione di dare il Nobel a Richard Thaler. Chiunque con un po’ di buon senso – un gruppo che, lo crediate o no, include molti economisti – sa che le persone non sono perfettamente razionali. Ma l’assunto della iper razionalità gioca ancora un ruolo troppo largo nella disciplina. E Thaler non ha soltanto documentato deviazioni dalla razionalità, ha anche mostrato che in tali deviazioni ci sono schemi coerenti e utilizzabili.
La domanda, tuttavia, è quanta differenza questo dovrebbe comportare nella pratica dell’economia. E in questo caso si ha una divisione tra due campi. Uno dice che l’imperfetta razionalità cambia tutto; l’altro che l’assunto della razionalità è ancora la migliore scommessa disponibile, o almeno definisce un punto di riferimento per allontanarsi dal quale ci deve essere una esauriente giustificazione.
Quale campo ha ragione? La mia opinione è che dipende dalla disciplina, per ragioni che non mi sono interamente chiare. Fatemi parlare di due campi che conosco ragionevolmente bene: la macroeconomia, che conosco abbastanza bene, e la finanza, dove in generale sono molto meno ben informato, pur essendo abbastanza familiare con almeno qualche area internazionale. Quello che mi colpisce è che in uno la riflessione thaleriana è molto importante, nell’altro non altrettanto.
Consentitemi di fissare due concetti derivati dall’idea che le persone sono perfettamente razionali:
1 – Gli investitori razionali incorporeranno tutte le informazioni disponibili nei prezzi di un asset, cosicché i movimenti in questi prezzi saranno guidati soltanto da eventi non anticipati – cioè, essi seguiranno un indirizzo random, senza che si possa sfruttare alcuno schema per fare soldi
2 – Coloro che fissano il salario razionale – e i prezzi – metteranno in conto tutte le informazioni disponibili allorché stabiliscono i prezzi dei salari e dei beni, il che comporta che gli shock della domanda avranno effetti reali solo se non sono stati anticipati – in particolare, che la politica monetaria “funziona” solo se è una sorpresa, e non può giocare un ruolo di stabilizzazione.
Ora, il concetto numero 1 è fondamentalmente la teoria dei mercati efficienti, che noi sappiamo nel dettaglio essere sbagliata – ci sono molte anomalie. Nella finanza internazionale, ad esempio, c’è il ben noto mistero della parità non coperta dall’interesse: le differenze nei tassi di interesse nazionali dovrebbero essere fattori di previsione imparziali dei futuri cambiamenti dei tassi di cambio, ma di fatto si scopre che non hanno alcun potere previsionale. E chiunque abbia creduto che la razionalità degli investitori impediva massicce, evidenti errate determinazioni dei prezzi – ad esempio, i titoli garantiti dai subprime – non ha avuto un decennio tranquillo.
Eppure, il concetto più generale che i movimenti nei prezzi degli asset sono imprevedibili, che i modelli sono sottili, instabili ed è difficile trarne guadagni, sembra essere giusto. Nel complesso, mi pare che considerare le implicazioni del comportamento razionale, abbia fatto più bene che male alla disciplina della finanza.
Che dire del concetto numero 2? È quello nel quale è intervenuto Robert Lucas: cercare di razionalizzare i fatti osservabili dei cicli economici con un comportamento perfettamente razionale, a fronte di informazioni imperfette. Questo approccio ha avuto un vasto effetto nella pratica della macroeconomia, almeno di quella accademica. Ma a questo punto, possiamo con sicurezza affermare che essa ha ridotto l’intera disciplina ad una tana del coniglio [1]. La definizione dei salari – e dei prezzi – non riflette la migliore informazione disponibile sulle future politiche monetarie; se lo fa, noi staremmo osservando contrazioni salariali che si muovono rapidamente tutte le volte che le prospettive di Kevin Warsh [2] su Predictit fluttuano. Tutto quello che sappiamo è che c’è una gran quantità di rigidità nominale verso il basso (dei salari) e in generale una gran quantità di illusione monetaria.
E i giudizi secondo i quali questo potrebbe essere vero in pratica, ma non può essere vero in teoria, e di conseguenza debbano essere trascurate sia nella ricerca che nella azione politica, si sono rivelati altamente distruttivi.
Dunque la razionalità è una menzogna. Ma per alcuni aspetti dell’economia essa sembra essere un po’ come una menzogna a fin di bene, utile come una guida per ragionare finché si resta in un ambito decisamente scherzoso. Per altri aspetti, tuttavia, è solo un disastro.
Come ho detto, io posso ragionare di qualche spiegazione. Nei mercati finanziari, investitori intelligenti possono, entro certi limiti, usare l’arbitraggio basandosi sull’irrazionalità altrui. Sui mercati del lavoro e dei beni (o nel comportamento dei consumatori!) non c’è alcun equivalente. Ma in generale la incostante applicabilità del pensiero comportamentale è certamente – come è evidente – un tema per future ricerche.
[1] Suppongo che il senso (e l’origine) di questa espressione vada ricercato nel racconto di Carroll su Alice nel paese delle meraviglie. Quindi un luogo un po’ ambiguo: da una parte, seguire il Coniglio Bianco nella sua tana (come fece Alice) è una esperienza audace e illuminante, che rompe paradigmi ed abitudini; dall’altra, un luogo illusorio e interamente fantastico.
[2] Pare sia il più probabile candidato di Trump al futuro rinnovo del Presidente della Fed, un uomo di destra, non specialista, con una vasto curriculum di previsioni sbagliate.
By mm
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