OCTOBER 29, 2017 11:43
Paul Krugman
Stan Collender has a characteristically perceptive discussion of the ongoing budget farce, and invokes Casablanca: “round up the usual suspects.” That struck me as the perfect motto for what I’m seeing, although I’m focusing on somewhat different aspects of the farce.
You see, until a few days ago the Trump sales pitch was a bit different from past GOP arguments for tax cuts, involving (a) a novel invocation of the supposed benefits of massive capital inflows from corporate tax cuts, and (b) outright lies on an unprecedented scale.
But what I’ve been seeing lately is a revival of some more traditional, Bush-era fraudulence. Two items in particular. First, the claim that the rich pay practically all the taxes, so that of course they have to get the bulk of the tax cut. Second, claims of vast growth, because Reagan.
On the first: you might think there was some contradiction between the incessant claim that this is a middle-class tax cut and the claim that the rich deserve to get the lion’s share. But doublethink is central to the whole enterprise.
Anyway, the claim about who pays taxes is a very familiar one to us old hands: say “taxes” when what you really mean are “federal income taxes,” as if this was the only tax.
In reality, while the federal income tax is indeed mainly paid by people with high incomes, it’s far from being the only tax. At the federal level, most people pay more in payroll taxes than in income taxes, and the payroll tax is actually regressive. And state and local taxes are also a big deal, and they’re definitely regressive. Efforts to estimate the overall distribution of taxes find that the system isn’t especially progressive: the wealthy pay a lot in taxes, but they also receive a lot of income, and the shares aren’t much out of line:
Figure 1
Meanwhile, about Reagan: yes, he cut taxes, and presided over average growth of more than 3 percent. But you know who else presided over growth of >3%?
Figure 2
Clinton you probably saw coming — and Clinton, of course, raised taxes yet presided over a boom that surpassed Reagan’s. Carter may be a surprise: what few realize is that overall performance under Carter was pretty good, but his timing was off: fast growth in the early years, a recession (and inflation) at the end.
In any case, holding up either Reagan or Clinton as a model, a reason to believe 3% growth is in easy reach, misses one huge factor: demography. Under Reagan the last of the baby boomers were just entering their prime working years; these days we’re on our way out the door. Jason Furman had a nice graph to illustrate just how much has changed:
Figure 3
So anyone invoking Reagan-era growth to justify outlandish projections now is ignorant, dishonest, or both.
Actually, of course, I shouldn’t be surprised to see some of the good old bogus arguments make a reappearance alongside the new set of lies. My experience over the years has been that the right never gives up an argument, even if it’s in flat contradiction to some other argument they’re making. They throw everything they have at the wall, in the hope that some of it sticks. And so it is with the tax “debate.”
Imbroglio sugli sgravi fiscali: i soliti sospetti
Paul Krugman
Stan Collender interviene come al solito in modo perspicace nel dibattito sulla perdurante farsa del bilancio, e si rifà a Casablanca: “raccogliete i soliti sospetti”. Mi colpisce come una espressione perfetta di quello cui stiamo assistendo, sebbene mi stia concentrando su aspetti diversi della farsa.
Vedete, sino a pochi giorni fa gli imbonimenti di Trump erano un po’ diversi dai passati argomenti del Partito Repubblicano sugli sgravi fiscali, riguardando: (a) una insolita invocazione dei supposti benefici dei flussi in ingresso dei capitali per effetto dei tagli alle tasse sulle società; (b) menzogne complete di dimensioni che non hanno precedenti.
Ma ciò a cui stiamo assistendo ultimamente è una ripresa di una sorta di imbroglio più tradizionale, dell’epoca di Bush. Due temi in particolare. Il primo, la pretesa che i ricchi paghino praticamente per intero le tasse, cosicché naturalmente è ad essi che tocca il grosso degli sgravi fiscali. La seconda, gli argomenti su una ampia crescita, sul modello di Reagan.
Sul primo: potreste pensare che esista una qualche contraddizione tra l’incessante pretesa che questo sia uno sgravio fiscale per le classi medie e l’argomento secondo il quale i ricchi si meritano di fare la parte del leone. Ma tutta l’impresa si basa su un pensiero duplice.
In ogni modo, la pretesa su chi paga le tasse è molto familiare per noi che siamo del mestiere: si dice “tasse” quando in realtà quello che si intende è “tasse federali sul reddito”, come se queste fossero l’unica tassazione.
In realtà, mentre la tassa federale sul reddito è in effetti principalmente pagata da persone con alti redditi, essa è tutt’altro che l’unica tassa. Al livello federale, la maggioranza delle persone paga di più per le tasse sugli stipendi che per quelle sui redditi, e le tasse sugli stipendi sono effettivamente regressive. E anche le tasse degli Stati e delle comunità locali sono una grande faccenda, e sono certamente regressive. I tentativi di stimare la distribuzione complessiva delle tasse arrivano alla conclusione che il sistema non è particolarmente progressivo: i ricchi pagano molto in tasse ma ricevono anche molto di reddito, e le quote sono abbastanza in proporzione:
Figura 1
Mentre, a proposito di Reagan: è vero, tagliò le tasse, e governò in un periodo con una crescita media superiore al 3 per cento. Ma sapete chi altri governò con una crescita superiore al 3 percento?
Figura 2
Clinton probabilmente ve l’aspettavate – e Clinton, come è noto, elevò le tasse e ciononostante fu Presidente in una espansione che superò quella di Reagan. Carter può essere una sorpresa: ciò che pochi comprendono è che la prestazione complessiva con Carter fu abbastanza buona, ma la sua tempistica fu negativa: rapida crescita nei primi anni, recessione (e inflazione) alla fine.
In ogni caso, mantenendo Reagan o Clinton come punti di riferimento, una ragione per credere che una crescita del 3% sia a portata di mano trascura in grande fattore: la demografia. Con Reagan le ultime generazioni del boom demografico stavano appena entrando nei loro primi anni lavorativi; oggi ne siamo fuori. Jason Furman ha un bel grafico per illustrare esattamente quanto sia stato grande il cambiamento:
Figura 3 ([1])
Dunque, chiunque invochi oggi l’epoca di Reagan per giustificare stravaganti previsioni è ignorante, disonesto o entrambe le cose.
In realtà, ovviamente, non dovrei essere sorpreso di vedere alcuni dei consolidati vecchi argomenti fasulli ricomparire nel nuovo assortimento di bugie. La mia esperienza nel corso del tempo è stata che la destra non rinuncia mai ad un argomento, persino se esso è in patente contraddizione con altri argomenti che stanno avanzando. Tirano tutto quello ce hanno sulla parete, nella speranza che qualcosa ci resti attaccato. E così è con il “dibattito” sulle tasse.
[1] Il titolo del grafico significa: “Crescita della popolazione civile non istituzionalizzata in età lavorativa (25-54 anni)”. Ovvero, sono escluse le persone che operano nelle forze armate o che sono ospiti di istituzioni statali come le carceri, i manicomi o simili.
By mm
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