By Lawrence H. Summers October 17
Kevin Hassett, the White House’s chief economist, accused me of an ad-hominem attack against his analysis of the Trump administration’s tax plan. I am proudly guilty of asserting that it is some combination of dishonest, incompetent and absurd. Television does not provide space to spell out the reasons why, so I am happy to provide them here.
I believe strongly in civility in public policy debates, and before the Trump administration do not believe I have ever used words like “dishonest” in disagreeing with the policy analyses of other economists. Part of my rationale for speaking so strongly here is that Hassett questioned the integrity of the Tax Policy Center — a group staffed by highly respected former civil servants — by calling their work “scientifically indefensible” and “fiction.”
[The average American family will get $4,000 from tax cuts, Trump team claims]
Then, Hassett invokes Art Okun as support for his spurious arguments. To paraphrase Lloyd Bentsen: I worked with Art Okun; I knew Art Okun; Art Okun was my friend. Kevin, you are no Art Okun.
As CEA chairman, Okun stood for honest, objective economic analysis rooted in the professional consensus. In the last year of his life, he made clear how dubious he found the claims of supply side economics. In contrast, Hassett throws around the terms scientific and peer-reviewed, yet there is no peer-reviewed support for his central claim that cutting the corporate tax rate from 35 percent to 20 percent would raise wages by $4,000 per worker.
The claim is absurd on its face. The cut in corporate tax rates from 35 percent to 20 percent would cost slightly less than $200 billion a year. There is a legitimate debate among economists about how much the cut would benefit capital and how much it would benefit labor. Hassett’s “conservative” claim that the cut would raise wages by $4,000 in an economy with 150 million workers is a claim that workers would benefit by $600 billion — or 300 percent of the tax cut! To my knowledge, such a claim is unprecedented in analyses of tax incidence. Hassett doubles down by holding out the further possibility that wages might rise by $9,000.
Yes, I am aware that some of the wage increase might be expected to come from the growth-inducing benefits of a corporate tax cut. Such a cut might spur investment. But any possible growth benefit is attenuated by the facts that first, the economy is very close to or at full employment; second, the costs of capital are already at record low levels; third, the tax cuts will put upward pressure on interest rates; and fourth, the move to a territorial system, which reduces taxes on overseas income of U.S. companies, will encourage outsourcing. None of this is factored into Hassett’s analysis or the studies he cites.
At a more technical level, professional economists will recognize that the White House Council of Economic Advisers’ analysis and Hassett’s TPC speech are shot through with error. Some examples: In the presence of full expensing, a corporate rate reduction has no effect on the cost of capital for equity-financed investments and raises the cost of capital for debt-financed investments. Changes in transfer pricing practices induced by tax policy changes do not represent changes in economic welfare or real incomes of Americans. In modern economic science, regressions of wage growth on tax rates cannot be understood as causal without a theory of the level of tax rates. Theory suggests relationships between changes in corporate taxes and changes in wages rather than between the level of corporate taxes and wage growth. The observation that low tax rates coincide with significant growth in Eastern Europe is of dubious relevance to the United States. Lower corporate taxes, as Stantcheva and others have argued, raise managerial incentives to hold down wages on behalf of shareholders.
Considering all this, if a PhD student submitted the CEA analysis as a term paper in public finance, I would be hard pressed to give it a passing grade. I predict that as debates on tax policy unfold, many serious Republican economists will endorse parts of the Trump plan. I doubt that any will associate themselves with the CEA analysis. If Hassett wishes to preserve the CEA’s reputation and his own, next time he will not attack honest analysts and will be much more careful.
L’analisi fiscale del principale economista di Trump non è solo sbagliata, è disonesta,
di Lawrence H. Summers
Kevin Hassett, il capo economista della Casa Bianca, mi ha accusato di un attacco personale contro la sua analisi del piano fiscale della Amministrazione Trump. Sono orgogliosamente colpevole di aver sostenuto che tale analisi è una combinazione di disonestà, incompetenza e assurdità. La televisione non mi fornisce spazio per dire esattamente le mie ragioni, sono dunque contento di pubblicarle qua.
Io credo fortemente nella civiltà dei dibattiti pubblici di politica, e prima di essermi rivolto alla Amministrazione Trump non credo di aver mai usato parole come “disonesto” nel non concordare con analisi politiche di altri economisti. In parte la ragione per essermi espresso duramente in questo caso è stata che Hassett ha messo in dubbio l’integrità di Tax Policy Center – un gruppo composto da passati servitori pubblici altamente rispettati – definendo il loro lavoro “scientificamente indifendibile” e “romanzesco”.
[La squadra di Trump sostiene che una famiglia media americana riceverà 4.000 dollari dagli sgravi fiscali]
In seguito, Hassett ha invocato il sostegno di Art Okun [1] per i suoi argomenti fasulli. Potrei parafrasare Lloyd Bentsen: io ho lavorato con Art Okun; conoscevo Art Okun; Art Okun era mio amico. Kevin non è in nessun senso come Art Okun.
Come Presidente del CEA, Okun si batté per una analisi economica onesta e obbiettiva, basata sul consenso della disciplina. Nell’ultimo anno della sua vita, egli mise in chiaro quanto trovasse dubbie le pretese dell’economia dal lato dell’offerta. All’opposto, Hassett butta lì espressioni come ‘scientifico’ e ‘provvisto della verifica dei suoi colleghi’, tuttavia non esiste alcuna verifica di esperti per la sua centrale pretesa che tagliare la aliquota fiscale delle società dal 35 al 20 per cento aumenterebbe i salari di 4.000 dollari per lavoratore.
Una pretesa scopertamente assurda. Il taglio delle aliquote fiscali dal 35 al 20 per cento costerebbe un po’ meno di 200 miliardi all’anno. C’è un dibattito legittimo tra gli economisti su quanto di quel taglio ne trarrebbe beneficio il capitale e quanto il lavoro. L’ipotesi “conservativa” di Hassett secondo la quale il taglio alzerebbe i salari di 4.000 dollari in una economia composta da 150 milioni di lavoratori, corrisponde alla pretesa che ai lavoratori andrebbero 600 miliardi di dollari – ovvero il 300 per cento dello sgravio fiscale! Tale pretesa, a mia conoscenza, è senza precedenti nelle analisi sull’incidenza del fisco. Hassett la raddoppia offrendo l’ulteriore possibilità che i salari aumentino per 9.000 dollari per lavoratore.
È vero, sono consapevole che ci si potrebbe aspettare che l’incremento dei salari derivi dai benefici suscitatori di crescita di un taglio del fisco sulle società. Un tale taglio potrebbe spronare gli investimenti. Ma ogni possibile vantaggio per la crescita è attenuato dalle circostanze per le quali: anzitutto l’economia è molto vicina alla piena occupazione; in secondo luogo, i costi del capitale sono già ai minimi livelli storici; in terzo luogo, i tagli fiscali spingerebbero in alto i tassi di interesse; e in quarto luogo, la strategia di un sistema territoriale, che riduca le tasse sui redditi all’estero delle società statunitensi, incoraggerebbe gli acquisti all’estero. Niente di questo viene esaminato distintamente nella analisi di Hassett o negli studi che egli cita.
A un livello più tecnico, gli economisti di professione riconosceranno che l’analisi del Consiglio dei Consulenti Economici della Casa Bianca e il discorso di Hassett al Tax Policy Center sono infarciti di errori. Alcuni esempi: in presenza di una spesa abbondante, una riduzione della aliquota sulle società non ha alcun effetto sul costo del capitale per investimenti finanziati col patrimonio ed aumenta il costo del capitale per investimenti finanziati col debito. Cambiamenti nelle pratiche di definizione dei prezzi indotte da modifiche nella politica fiscale non rappresentano modifiche nel benessere economico o nei redditi reali degli americani. Nella scienza economica moderna le regressioni [2] sulla crescita dei salari o sulle aliquote fiscali non possono essere interpretate come fattori causali senza una teoria del livello delle aliquote fiscali. La teoria indica relazioni tra i cambiamenti nella tassazione sulle società e i cambiamenti nei salari, anziché tra il livello della tassazione sulle società e la crescita dei salari. L’osservazione secondo la quale nell’Europa dell’Est aliquote fiscali basse coincidono con una crescita significativa è di dubbia rilevanza per gli Stati Uniti. Tasse sulle società più basse, come Stantcheva e altri hanno sostenuto, aumentano gli incentivi dei manager per tenere i salari bassi nell’interesse degli azionisti.
Considerando tutto questo, se uno studente di dottorato presentasse l’analisi del Consiglio dei Consulenti economici della Casa Bianca come tesi di dottorato, difficilmente sarei spinto a concedergli un voto di sufficienza. Prevedo che con lo sviluppo del dibattito sulla politica fiscale, molti economisti repubblicani seri appoggeranno il piano di Trump. Dubito che qualcuno aderirà alle analisi del CEA. Se Hassett intende preservare la reputazione del Consiglio e la sua propria, la prossima volta non dovrebbe attaccare analisti onesti e dovrebbe essere più scrupoloso.
[1] Arthur Melvin “Art” Okun (November 28, 1928 – March 23, 1980) è stato un economista americano. Ha svolto le funzioni di Presidente del Consiglio dei consulenti economici tra il 1968 e il 1969. Prima era stato docente alla Yale University e, in seguito, membro della Brookings Institution a Washington.
[2] La regressione formalizza e risolve il problema di una relazione funzionale tra variabili misurate sulla base di dati campionari estratti da un’ipotetica popolazione infinita. Originariamente Galton utilizzava il termine come sinonimo di correlazione, tuttavia oggi in statistica l’analisi della regressione è associata alla risoluzione del modello lineare. Per la loro versatilità, le tecniche della regressione lineare trovano impiego nel campo delle scienze applicate: chimica, geologia, biologia, fisica, ingegneria, medicina, nonché nelle scienze sociali: economia, linguistica, psicologia e sociologia. (Wikipedia)
Un esempio di regressione lineare:
By mm
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