Paul Krugman NOV. 6, 2017
Since last year’s presidential election a number of establishment Republicans have very publicly wrung their hands over what has happened to their party. George W. Bush has even lamented that he may turn out to have been the “last Republican president,” because Donald Trump represents something so alien to the party’s tradition.
But how different is Trump, really? He’s cruder, ruder and less competent than his Republican predecessors — although on that last point, we shouldn’t forget the Bush administration’s disastrous occupation of Iraq and botched response to Hurricane Katrina. But there’s a lot more continuity than his conservative critics want to admit. If Trumpism seems to be taking over the Republican Party, that’s largely because in many ways the party was already there.
What, after all, does the modern — by which I basically mean post-Reagan — Republican Party stand for? A cynic might say that it has basically served the interests of the economic elite while winning votes from the white working class with racial dog whistles. And the cynic would be right.
And if that’s what modern Republicanism is really about, how much has changed in the era of Trump? Consider two current news stories: the House Republican tax plan and the campaign that Ed Gillespie, a consummate Republican insider, has been running for governor of Virginia.
On the tax plan: It’s a good thing news analyses keep telling us that Trump is a populist, because you’d never suspect such a thing from the content of his party’s tax plan (or his health care plan, or actually any of his policies).
True, the plan contains a few initial tax breaks for middle-income families, but these erode or disappear over time. According to the nonpartisan Joint Committee on Taxation, by the time the law would be fully phased in, there would be huge income gains for millionaires — even bigger if you take repeal of the estate tax into account — with minimal benefits for a great majority of the population. In fact, tens of millions of middle- and lower-income families would end up facing tax increases, which is pretty amazing for a bill that would add $1.5 trillion to the deficit.
But just looking at how different income groups fare is only part of the story. Even among high-income Americans, the plan seems designed to reward those who don’t work for a living — or more precisely, the less you actually do to earn your income, the bigger your tax break. Business owners would owe less in taxes than high-earning professionals; passive investors, who just sit there and collect dividends, would owe less than those who at least run their businesses. And wealthy heirs, who did nothing to earn their wealth except choose the right parents, would pay no taxes at all.
Wait, there’s more. You may have heard that the plan would end the deductions for state and local income and sales taxes — which is true, if you’re an ordinary working American. But if you’re a business owner — or can pretend to be a business owner, since the law would open huge new opportunities for tax avoidance — you would still be able to deduct those taxes as business expenses.
In short, Trumpist tax policy is as elitist if not more elitist and anti-populist than the policies of previous Republican administrations. Same old, same old.
But what about Trump’s more or less naked white nationalism? Isn’t that a departure? Well, how different is it from Ronald Reagan’s talk about welfare queens driving Cadillacs, or the elder Bush’s Willie Horton ad? And in any case, we don’t have to argue about the past: Just look at how Ed Gillespie has campaigned in Virginia over the past few months.
Gillespie is, as I said, a consummate Republican insider, former chairman of the Republican National Committee and counselor to George W. Bush. So what does it say about the Republican establishment and its values that he has run a campaign completely focused on stirring up white racial hostility? As The Washington Post put it, “His campaign’s thrust has not been just a dog whistle to the intolerant, racially resentful parts of the Republican base; it’s been a mating call.”
So has Gillespie faced strong criticism from establishment Republicans for waging such a gutter campaign? No — there has been a bit of tut-tutting from lower-level figures, but hardly anything from people whose condemnation might matter.
In particular, if “never Trump” Republicans really wanted to purge Trumpism from the party, they’d be urging voters to reject Gillespie for his vile tactics. This column was written before Virginia’s vote, but Gillespie might well win — and if he does, the party will become even more Steve Bannon’s party than it is now. So how many in the Republican establishment have spoken up to say that Gillespie must lose if the party is to save its soul? Hardly any.
Oh, and if you’re in Virginia, reading this, and haven’t yet voted, please do. This is a hugely consequential election, and it will be a shame — indeed, a tragedy — if its outcome is determined by people who couldn’t be bothered to get to the polls.
Trump, Gillespie e il solito Partito Repubblicano, di Paul Krugman
New York Times 6 novembre 2017
Dalle elezioni presidenziali dello scorso anno un certo numero di repubblicani del gruppo dirigente si sono, in pubblico, torti le mani per quello che è accaduto al loro partito. George W. Bush si è persino lamentato perché può venir fuori che egli sia stato “l’ultimo Presidente repubblicano”, dato che Donald Trump rappresenta un fenomeno così estraneo alla tradizione del partito.
Ma quanto è diverso Trump, nella realtà? È più crudo, più rozzo e meno competente dei suoi predecessori repubblicani – sebbene per l’ultimo aspetto non dovremmo dimenticare la disastrosa occupazione dell’Irak della Amministrazione Bush e la risposta pasticciata all’uragano Katrina. Ma c’è molta più continuità di quella che i critici conservatori siano disposti ad ammettere. Se il trumpismo sembra aver dato il cambio al Partito Repubblicano, ciò dipende in gran parte dal fatto che il partito era per molti aspetti già a quel punto.
Dopo tutto, che cosa rappresenta il Partito Repubblicano moderno – con il che io soprattutto intendo successivo a Reagan? Un cinico potrebbe dire che esso fondamentalmente è al servizio degli interessi della elite economica, mentre con richiami razzisti conquista voti della classe lavoratrice bianca. E il cinico avrebbe ragione.
E, se è questo ciò che rappresenta il moderno repubblicanesimo, quanto è cambiato nell’epoca di Trump? Si considerino due attuali storie dai notiziari: il piano fiscale dei repubblicani della Camera dei Rappresentanti e la campagna elettorale nella quale Ed Gillespie, un consumato addetto ai lavori repubblicano, si sta candidando come Governatore della Virginia.
Sul piano fiscale: è una cosa positiva che le analisi sui resoconti dell’informazione continuino a riferici che Trump è un populista, perché non avreste mai sospettato una cosa del genere sulla base del progetto fiscale del suo Partito (o del suo progetto di riforma sanitaria, o di qualsiasi sua politica).
È vero, il piano contiene pochi iniziali sgravi fiscali per le famiglie di medio reddito, ma questi si erodono e scompaiono col tempo. Secondo l’indipendente Joint Committee on Taxation, nel tempo in cui la legge fosse interamente messa in funzione, ci sarebbero grandi vantaggi per i redditi dei milionari – persino più grandi se si mette nel conto l’abrogazione delle tasse di successione – con benefici minimi per la grande maggioranza della popolazione. Di fatto, decine di milioni di famiglie di redditi medi e bassi finirebbero col far fronte ad aumenti della tasse, il che è piuttosto straordinario per una proposta di legge che aumenterebbe il deficit di 1.500 miliardi di dollari.
Ma osservare come i diversi gruppi di rendito se la passerebbero è solo una parte del racconto. Persino tra gli americani ad alto reddito, il piano sembra congegnato per premiare coloro che non lavorano per vivere – o più precisamente, meno si fa per mettere assieme il proprio reddito, più grande è lo sgravio fiscale. I proprietari di imprese dovrebbero meno tasse dei professionisti con guadagni elevati; gli investitori passivi, che semplicemente stanno seduti e raccolgono dividendi, dovrebbero meno tasse di coloro che almeno fanno funzionare le loro imprese. E gli eredi benestanti, che non hanno fatto niente per guadagnarsi la loro ricchezza ad eccezione di scegliersi i genitori giusti, non pagherebbero proprio nessuna tassa.
Aspettate, c’è dell’altro. Potete aver sentito dire che il piano interromperebbe le deduzioni per le tasse sui redditi degli Stati e delle comunità locali e per le tasse sulle vendite – il che è vero, se siete normai americani che lavorano. Ma se siete proprietari di un’impresa – o potete far finta di esserlo, dal momento che la legge vi aprirebbe nuove grandi opportunità di elusione del fisco – sareste ancora nelle condizioni di dedurre quelle tasse come spese di impresa.
In breve, la politica fiscale di Trump è elitaria, se non più elitaria ed antipopulista delle politiche delle precedenti Amministrazioni repubblicane. La stessa vecchia storia.
Ma che dire del più o meno scoperto nazionalismo bianco di Trump? Non è una deviazione? Ebbene, quanto è diverso tutto questo dai discorsi di Ronald Reagan sulle “regine della assistenza” che guidano le Cadillac [1], o dalla propaganda di Bush padre sul caso di Willie Horton [2]? E, in ogni caso, non abbiamo bisogno di ragionare del passato: basta guardare a come Ed Gillespie ha condotto la campagna elettorale in Virginia negli ultimi pochi mesi.
Gillespie è, come ho detto, un consumato individuo del gruppo dirigente repubblicano, passato Presidente del Comitato Nazionale Repubblicano e consigliere di George W. Bush. Dunque, cosa ci dice del gruppo dirigente repubblicano e dei suoi valori il fatto che egli stia conducendo una campagna elettorale completamente concentrata sul fomentare l’ostilità razziale bianca? Come si esprime il Washington Post: “Il suo indirizzo elettorale non è stato solo un ammiccamento alle componenti della base repubblicana intolleranti e razzialmente prevenute; è stato un richiamo della foresta”.
Gillespie, dunque, si è trovato dinanzi a forti critiche da parte del gruppo dirigente repubblicano per aver intrapreso una campagna così volgare? No – ci sono stati un po’ di inviti a soprassedere da parte di persone di secondo livello, ma proprio niente da parte delle persone la cui condanna avrebbe avuto importanza.
In particolare, se i repubblicani del “mai con Trump” intendevano davvero liberare il Partito dal trumpismo, avrebbero dovuto sollecitare gli elettori a respingere Gillespie per le sue tattiche sconce. Questo articolo è stato scritto prima del voto della Virginia, ma Gillespie potrebbe effettivamente vincere – e se egli vince, il suo partito diventerà ancora di più il partito di Steve Bannon di quanto non sia oggi. In quanti nel gruppo dirigente repubblicano hanno fatto sentire la loro voce per dire che Gillespie deve andarsene se il partito vuole salvare la sua anima? Praticamente nessuno.
Infine, se siete in Virginia e state leggendo questo articolo senza aver ancora votato, per piacere fatelo. Questa è una elezione con vaste conseguenze, e sarà una vergogna – in effetti, una tragedia – se il suo risultato è determinato da persone che non potevano prenderso il disturbo di andare ai seggi.
[1] Nei suoi attacchi alle reti dell’assistenza sociale, Reagan se la prendeva frequentemente con le donne di colore, che a suo dire godevano dei sussidi assistenziali mentre giravano su macchine di lusso.
[2] Willie Horton era un afroamericano che, mentre scontava una condanna per omicidio, godette di un permesso di fine settimana, secondo le norme dello Stato del Massachussetts e si rese responsabile di un nuovo di gravi offese ad altri cittadini. Fu al centro di una aspra polemica tra repubblicani e democratici (Bush padre e Dukakis) nella quale il caso singolo divenne occasione per una campagna abbastanza chiaramente razzistica.
By mm
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