Paul Krugman
NOVEMBER 28, 2017 8:53 PM
OK, folks, this is basically to scratch my own intellectual itch — later this week Senate Republicans either will or won’t enact the biggest tax scam in history, and analysis won’t make any difference. But inspired by the Furman-Summers beatdown of Republican economists lending cover to disgusting dishonesty by their political masters, I found myself looking for a simple analytical representation of the effects of cutting corporate taxes. By simple, of course, I mean for economists: for anyone else this may as well have been written in cuneiform. You have been warned.
OK, so the naive, super-optimistic version of what corporate tax cuts will do — roughly speaking the Tax Foundation version, without the incompetence — treats America as a small, perfectly open economy that faces an infinite, perfectly elastic supply of foreign capital at some given rate of return. It also ignores leprechaun economics — the potentially large difference between GDP and national income when foreigners own a lot of your capital stock. Meanwhile, America is neither small nor perfectly open, so that the rate of return to foreigners depends on how much capital we suck in — and since around a third of corporate profits already go to foreigners, they’re likely to collect a significant fraction of the gains from a tax cut.
So, can we put all of that in a simple framework? I think we can. In fact, just one diagram, although for those not raised on traditional trade geometry it may look a bit intricate, But it’s all very simple, believe me!
Starting point: we can think of a downward-sloping demand for capital, reflecting its marginal product. We can also think of an upward-sloping supply of capital, with the upward slope reflecting both the size of the US — we’re probably around half of the world’s capital market not subject to capital controls — and the imperfect nature of capital mobility, even now.
We can think of corporate taxes as putting a wedge between the rate of return to capital before taxes — which is assumed equal to its marginal product — and the after-tax return received by investors. So it’s kind of like an excise tax on capital, and looks like Figure 1:
Now imagine cutting the corporate tax rate. This narrows the wedge, as shown in Figure 2:
OK, a bunch of things happen.
First of all, the pre-tax return on capital falls as the capital stock rises. That reduced rate of return shows up in increased wages. So that part, shown as the green rectangle at the top, is the part of the tax cut that’s passed through to increased wages. How big that gain is depends on the relative elasticity of capital supply and capital demand.
As I’ve been arguing for a while, in the short run the supply of capital is likely to be pretty inelastic, because capital inflows have to take place via a strong dollar that in itself deters investment. So in the short run not much of the tax cut flows to wages. In the long run workers will get more of it, but the long run is likely to be measured in decades, not years.
Meanwhile, owners of capital gain. However, some — around a third — of these owners are foreigners, not U.S. residents, so about a third of the rise in after-tax returns — the red rectangle in Figure 2 — represents a welfare loss to the United States.
On the other hand — on the third hand? — more capital will come in, and this capital will pay taxes, representing an offsetting overall welfare gain — the yellow rectangle. Overall US national income can go either way; semi-realistic calculations suggest that it’s close to a wash.
So who benefits from this tax cut? There’s some wage gain, but also some revenue loss; if the revenue loss leads to cuts in programs that benefit workers (as it would), workers may well be worse off. Owners of capital, both foreign and domestic, gain.
Taken as a whole, this isn’t a slam-dunk case against corporate tax cuts: if the initial rates are very high and capital inflows sufficiently elastic, they could be a good idea. But they hardly look like the magic elixir Republicans are claiming.
Incidenza ed effetti sul welfare dei tagli delle tasse sule società (per molto esperti)
di Paul Krugman
Va bene gente, questo post è fondamentalmente allo scopo di grattarmi i pruriti intellettuali – per la fine di questa settimana i repubblicani del Senato approveranno oppure no il più grande imbroglio fiscale della storia e una analisi non farà alcuna differenza. Ma, ispirato dalla batosta di Furman-Summers sugli economisti repubblicani che si prestano a dar copertura alla disgustosa disonestà dei loro padrini politici, mi sono ritrovato a ricercare una semplice rappresentazione analitica degli effetti dei tagli delle tasse alle società. Ma con semplice, naturalmente, mi riferisco agli economisti; per tutti gli altri questo potrebbe benissimo essere scritto in caratteri cuneiformi. Con il che siete messi in guardia.
Dunque, l’ingenua, super ottimistica versione degli effetti che avranno i tagli alle tasse delle società – parlando approssimativamente, la versione di Tax Foundation al netto dell’incompetenza – tratta l’America come una piccola economia, perfettamente aperta, che fronteggia un’offerta infinita e perfettamente elastica di capitali stranieri, ad un qualche stabilito tasso di rendimento. Essa anche ignora ‘l’economia degli gnomi’ – la differenza potenzialmente ampia tra il PIL e il reddito nazionale, quando gli stranieri sono in possesso di una grande quantità delle riserve di capitale. Di contro, l’America non è piccola né perfettamente aperta, cosicché il tasso di rendimento per gli stranieri dipende da quanto capitale noi risucchiamo – e dal momento che circa un terzo dei profitti delle società vanno già agli stranieri, è probabile che essi raccolgano una parte significativa dei vantaggi derivanti dai tagli alle tasse. Dunque, possiamo inserire tutto questo in un semplice modello? Io penso che possiamo farlo. Di fatto, basta un solo diagramma, sebbene per coloro che non sono stati allevati sulla tradizionale geometria commerciale possa sembrare un po’ intricato. Ma è tutto molto semplice, credetemi!
Punto di partenza: possiamo riferirci ad una domanda di capitale che inclina verso il basso, riflettendo il suo prodotto marginale. Possiamo anche riferirci ad una offerta di capitale che inclina verso l’alto, dove tale indirizzo riflette sia le dimensioni degli Stati Uniti – siamo probabilmente circa la metà del mercato dei capitali globale non soggetto a controllo – e la natura imperfetta, anche adesso, della mobilità del capitale.
Possiamo pensare alle tasse sulle società come un cuneo che viene collocato tra il tasso del rendimento del capitale prima delle tasse – che è assunto eguale al suo prodotto marginale – e il rendimento dopo le tasse ottenuto dagli investitori. Dunque è una sorta di tassa sui consumi del capitale, e assomiglia alla Figura 1:
Ora si immagini di tagliare l’aliquota fiscale delle società. Il cuneo si restringe, come mostrato dalla Figura 2:
È così, accadono un mucchio di cose.
Prima tra tutte, il rendimento sul capitale prima delle tasse cade allorché le riserve di capitale crescono. Questo ridotto tasso di rendimento si manifesta in un accrescimento dei salari. Dunque quella parte, espressa dal rettangolo verde in alto, è la parte dei tagli delle tasse che sono transitati verso salari aumentati. Quanto grande sia questo guadagno dipende dalla elasticità relativa dell’offerta e della domanda di capitale.
Come da un po’ vengo sostenendo, nel breve periodo è probabile che l’offerta di capitale sia abbastanza anelastica, perché i flussi in ingresso dei capitali devono prendere posto attraverso un dollaro forte che di per sé scoraggia gli investimenti. Dunque, nel breve periodo non molto dei tagli delle tasse finisce ai salari. Nel lungo periodo i lavoratori ne percepiscono una quota maggiore, ma il lungo periodo è probabile si debba misurare in decenni, non in anni.
Nel frattempo i possessori di capitale si avvantaggiano. Tuttavia, una parte – circa un terzo – di questi possessori sono stranieri, non sono residente statunitensi, così circa un terzo della crescita dei rendimenti dopo le tasse – il rettangolo rosso nella Figura 2 – rappresenta una perdita di benessere per gli Stati Uniti.
D’altra parte – il terzo aspetto – arriverà più capitale, e questo capitale pagherà le tasse, rappresentando una compensazione nei vantaggi complessivi di benessere – il rettangolo giallo. Il reddito nazionale complessivo degli Stati Uniti può procedere in entrambi i modi; calcoli abbastanza realistici indicano che esso è vicino ad una sostanziale parità.
Dunque, chi beneficia di questi tagli delle tasse? C’è qualche guadagno per i salari, ma c’è anche qualche perdita nelle entrate; se le entrate perdute portano a tagli nei programmi di cui beneficiano i lavoratori (come dovrebbe accadere), è del tutto possibile che i lavoratori ci rimettano. Ci guadagnano i possessori dei capitali, sia stranieri che statunitensi.
Preso nel suo complesso, questo non è un argomento definitivo contro i tagli alle tasse: se le aliquote iniziali sono molto alte e i flussi in ingresso dei capitali sufficientemente elastici, potrebbe essere una buona idea. Ma non assomiglia certo al magico elisir di cui i repubblicani parlano.
[1] Provo a ‘tradurre’ le due tabelle. Fondamentalmente, il loro significato è che le variazioni tra la situazione attuale e quella successiva ai tagli alle tasse delle società sono quasi nulle, mentre i vantaggi per le imprese ed i più ricchi saranno indiscutibili.
Sull’asse verticale stanno i tassi di rendimento del capitale, che dipendono dalla articolazione delle linee dell’offerta dei capitali e della domanda, che corrisponde al prodotto marginale del capitale. I rettangoli che stanno in mezzo sono una sorta di cuneo fiscale (compatto nella figura 1 – rettangolo celeste – e articolato in vari rettangoli nella figura 2). I rettangoli della figura 2 mostrano i soggetti che si avvantaggiano delle novità: il rettangolo verde indica gli incrementi dei salari che percepiranno pur qualcosa dalla riduzione delle tasse sulle società; i rettangoli gialli indicano il cuneo fiscale iniziale – giallo scuro, che è più modesto del rettangolo celeste nella Figura 1 perché le tasse sono state ridotte – e quello derivante dagli accresciuti investimenti stranieri (giallo chiaro, derivante da un gettito fiscale maggiore); sempre nella Figura 2 compaiono i guadagni degli investitori nazionali (celeste) e in quelli stranieri (rettangolo rosso).
In conclusione: i salari aumentano di un po’; i vantaggi del capitale vanno in parte agli investitori nazionali e in parte agli stranieri. Quello che il modello non può quantificare, ma che pure è decisivo, è il fatto che la riduzione delle tasse comporterà una perdita di entrate, insufficientemente compensata dall’aumento di gettito derivante dai maggiori capitali stranieri. Questa riduzione complessiva del gettito significherà tagli ai programmi federali. I lavoratori, dunque, per un aspetto avranno salari più elevati, per l’altro minori sussidi assistenziali.
La tesi repubblicana di vantaggi cospicui sui lavoratori è dunque irrealistica: essi saranno bilanciati da minori programmi pubblici (non si dimentichi che la proposta di legge già prevede un serio peggioramento nella assistenza sanitaria con l’abrogazione del cosiddetto ‘mandato individuale’ e dei sussidi ai lavoratori e alla popolazione con redditi bassi). Mentre le due cose certe saranno: vantaggi per i ricchi e per le società, aumento del deficit pubblico.
By mm
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