Paul Krugman JAN. 29, 2018
The other day my barber asked me whether he should put all his money in Bitcoin. And the truth is that if he’d bought Bitcoin, say, a year ago he’d be feeling pretty good right now. On the other hand, Dutch speculators who bought tulip bulbs in 1635 also felt pretty good for a while, until tulip prices collapsed in early 1637.
So is Bitcoin a giant bubble that will end in grief? Yes. But it’s a bubble wrapped in techno-mysticism inside a cocoon of libertarian ideology. And there’s something to be learned about the times we live in by peeling away that wrapping.
If you’ve been living in a cave and haven’t heard of Bitcoin, it’s the biggest, best-known example of a “cryptocurrency”: an asset that has no physical existence, consisting of nothing but a digital record stored on computers. What makes cryptocurrencies different from ordinary bank accounts, which are also nothing but digital records, is that they don’t reside in the servers of any particular financial institution. Instead, a Bitcoin’s existence is documented by records distributed in many places.
And your ownership isn’t verified by proving (and hence revealing) your identity. Instead, ownership of a Bitcoin is verified by possession of a secret password, which — using techniques derived from cryptography, the art of writing or solving codes — lets you access that virtual coin without revealing any information you don’t choose to.
It’s a nifty trick. But what is it good for?
In principle, you can use Bitcoin to pay for things electronically. But you can use debit cards, PayPal, Venmo, etc. to do that, too — and Bitcoin turns out to be a clunky, slow, costly means of payment. In fact, even Bitcoin conferences sometimes refuse to accept Bitcoins from attendees. There’s really no reason to use Bitcoin in transactions — unless you don’t want anyone to see either what you’re buying or what you’re selling, which is why much actual Bitcoin use seems to involve drugs, sex and other black-market goods.
So Bitcoins aren’t really digital cash. What they are, sort of, is the digital equivalent of $100 bills.
Like Bitcoins, $100 bills aren’t much use for ordinary transactions: Most shops won’t accept them. But “Benjamins” are popular with thieves, drug dealers and tax evaders. And while most of us can go years without seeing a $100 bill, there are a lot of those bills out there — more than a trillion dollars’ worth, accounting for 78 percent of the value of U.S. currency in circulation.
So are Bitcoins a superior alternative to $100 bills, allowing you to make secret transactions without lugging around suitcases full of cash? Not really, because they lack one crucial feature: a tether to reality.
Although the modern dollar is a “fiat” currency, not backed by any other asset, like gold, its value is ultimately backed by the fact that the U.S. government will accept it, in fact demands it, in payment for taxes. Its purchasing power is also stabilized by the Federal Reserve, which will reduce the outstanding supply of dollars if inflation runs too high, increase that supply to prevent deflation. And a $100 bill is, of course, worth 100 of these broadly stable dollars.
Bitcoin, by contrast, has no intrinsic value at all. Combine that lack of a tether to reality with the very limited extent to which Bitcoin is used for anything, and you have an asset whose price is almost purely speculative, and hence incredibly volatile. Bitcoins lost about 40 percent of their value over the past six weeks; if Bitcoin were an actual currency, that would be the equivalent of a roughly 8,000 percent annual inflation rate.
Oh, and Bitcoin’s untethered nature also makes it highly susceptible to market manipulation. Back in 2013 fraudulent activities by a single trader appear to have caused a sevenfold increase in Bitcoin’s price. Who’s driving the price now? Nobody knows. Some observers think North Korea may be involved.
But what about the fact that those who did buy Bitcoin early have made huge amounts of money? Well, people who invested with Bernie Madoff also made lots of money, or at least seemed to, for a long time.
As Robert Shiller, the world’s leading bubble expert, points out, asset bubbles are like “naturally occurring Ponzi schemes.” Early investors in a bubble make a lot of money as new investors are drawn in, and those profits pull in even more people. The process can go on for years before something — a reality check, or simply exhaustion of the pool of potential marks — brings the party to a sudden, painful end.
When it comes to cryptocurrencies there’s an additional factor: It’s a bubble, but it’s also something of a cult, whose initiates are given to paranoid fantasies about evil governments stealing all their money (as opposed to private hackers, who have stolen a remarkably high proportion of extant cryptocurrency tokens). Journalists who write skeptically about Bitcoin tell me that no other subject generates as much hate mail.
So no, my barber shouldn’t buy Bitcoin. This will end badly, and the sooner it does, the better.
Bolle, bolle, frodi e guai, di Paul Krugman
New York Times 29 gennaio 2018
L’altro giorno il mio barbiere mi ha chiesto se doveva mettere tutti i suoi soldi nei Bitcoin. E la verità è che se avesse comprato Bitcoin, diciamo, un anno fa, adesso si sentirebbe piuttosto contento. D’altra parte, gli speculatori olandesi che comprarono i bulbi di tulipano nel 1635 si sentirono anch’essi per un po’ contenti, finché i prezzi dei tulipani non crollarono nel 1637.
Dunque, i Bitcoin sono una gigantesca bolla che finirà in dispiaceri? Si. Ma è una bolla incartata in un tecno-misticismo dentro un bozzolo di ideologia libertariana [1]. E scartare quell’involucro può essere istruttivo.
Se voi foste vissuti in una grotta e non aveste sentito parlare di Bitcoin, esso è il più grande, meglio conosciuto esempio di una “criptovaluta”: un asset che non ha alcuna esistenza fisica, non corrispondendo a niente se non a un registro digitale immagazzinato nei computer. Quello che rende le criptovalute diverse da ordinari conti correnti bancari, che sono anch’essi niente altro che registri digitali, è che esse non risiedono nei server di nessun particolare istituto finanziario. Invece, l’esistenza di un Bitcoin è documentata da testimonianze distribuite in svariati luoghi.
E la vostra proprietà non è verificata mostrando la vostra identità, e quindi rivelandola. La proprietà di un Bitcoin è verificata dal possesso di una password segreta, che – utilizzando tecniche che derivano dalla crittografia, l’arte dello scrivere o del decifrare codici – vi consente l’accesso alla moneta virtuale senza rivelare alcuna informazione indesiderata.
È un trucco ingegnoso. Ma a cosa serve?
In linea di principio, potete usare I Bitcoin per pagare oggetti per via telematica. Ma per farlo potete anche usare carte di debito, PayPal, Venmo etc. – e i Bitcoin si scopre che sono un sistema di pagamento goffo, lento e costoso. Di fatto, persino le conferenze sui Bitcoin talora rifiutano di accettare Bitcoin dai partecipanti. Non c’è proprio nessuna ragione di utilizzare i Bitcoin nelle transazioni – a meno che non vogliate che nessuno veda quello che state acquistando o vendendo, il che spiega molto per quale ragione l’effettivo uso dei Bitcoin pare riguardi le droghe, il sesso ed altri beni da mercato nero.
Dunque i Bitcoin non sono realmente moneta digitale. Più precisamente, sono una specie di equivalente digitale delle banconote da 100 dollari.
Le banconote da 100 dollari, come i Bitcoin, non vengono granché utilizzate per le transazioni ordinarie: la maggioranza dei negozi non le accettano. Ma i “Benjamins” [2] sono popolari tra i ladri, i commercianti di droga e gli evasori fiscali. E mentre la maggioranza di noi può passare anni senza vedere una banconota da 100 dollari, ci sono grandi quantità di quelle banconote in circolazione – per un valore superiore a mille miliardi di dollari, rappresentando il 78 per cento del valore della valuta circolante degli Stati Uniti.
Dunque i Bitcoin sono una alternativa migliore alle banconote da 100 dollari, consentendovi di fare transazioni segrete senza portare in giro valige piene di contanti? In realtà no, perché mancano di una caratteristica cruciale: il legame con la realtà.
Sebbene in dollaro moderno sia una valuta ‘per decreto’, diversamente dall’oro non garantita da nessun altro asset, il suo valore è in ultima analisi garantito dal fatto che il Governo degli Stati Uniti lo accetta, di fatto lo richiede come mezzo di pagamento delle tasse. Il suo potere di acquisto viene anche stabilizzato dalla Federal Reserve, che riduce l’offerta esagerata di dollari se l’inflazione corre troppo veloce, la incrementa per impedire la deflazione. E una banconota da 100 dollari, ovviamente, vale 100 di questi dollari generalmente stabili.
Il Bitcoin, all’opposto, non ha per niente valore intrinseco. Mettete assieme quella mancanza di legame con la realtà e la misura assai limitata nella quale sono utilizzati i Bitcoin, e avrete un asset il cui prezzo è quasi esclusivamente speculativo e di conseguenza enormemente volatile. Nelle sei settimane passate i Bitcoin hanno perso circa il 40 per cento del loro valore; se i Bitcoin fossero una effettiva valuta, sarebbe grosso modo l’equivalente di un tasso di inflazione annuale dell’8.000 per cento.
Inoltre, la natura disancorata da tutto del Bitcoin lo rende altamente suscettibile di manipolazioni di mercato. Sembra che nel passato 2013 le attività fraudolente di un singolo operatore abbiano provocato un incremento di sette volte il prezzo del Bitcoin. Oggi chi sta guidando il prezzo? Nessuno lo sa. Alcuni osservatori pensano che sia coinvolta la Corea del Nord.
Ma che dire del fatto che coloro che hanno fatto acquisti precoci di Bitcoin hanno realizzato grandi quantità di soldi? Ebbene, anche le persone che fecero investimenti con Bernie Madoff fecero molti soldi per un lungo periodo, o almeno così sembrava.
Come osserva Robert Shiller, il massimo esperto di bolle al mondo, le bolle degli asset sono come “schemi Ponzi [3] che avvengono naturalmente”. Gli investitori precoci in una bolla fanno molti soldi nel mentre nuovi investitori vengono attratti, e quei profitti richiamano ancora più persone. Il processo può andare avanti per anni prima che qualcosa – il fare i conti con la realtà o semplicemente l’esaurimento della platea delle vittime potenziali – porti la festa ad una improvvisa, dolorosa conclusione.
Nel caso delle criptovalute c’è un fattore aggiuntivo: è una bolla, ma è anche una specie di culto, i cui iniziati sono spinti a fantasie paranoidi sulla malvagità dei Governi che si appropriano di tutti i loro soldi (all’opposto degli hacker privati, che si sono impossessati di una fetta considerevolmente elevata dei gettoni di criptovalute in circolazione). I giornalisti che scrivono sui Bitcoin mi dicono che nessun altro tema provoca altrettante mail furiose.
Dunque no, il mio barbiere non dovrebbe acquistare Bitcoin. Tutto questo finirà male, e prima che succede meglio è.
[1] Per il termine “libertariano” si può leggere questa estrema sintesi della vita e del pensiero di Ayn Rand, considerata la capostipite di tale ideologia, che si trova nelle note sulla traduzione:
“Ayn Rand, è lo pseudonimo di Alisa Zinov’yevna Rosenbaum O’Connor (San Pietroburgo, 2 febbraio1905 – New York, 6 marzo1982); scrittrice, filosofa e sceneggiatrice statunitense di origine russa. La sua filosofia e la sua narrativa insistono sui concetti di individualismo, egoismo razionale (“interesse razionale”) e ed etica del capitalismo, nonché sulla sua opposizione al comunismo ed a ogni forma di collettivismo socialista e fascista. Il pensiero cosiddetto “oggettivista” della Rand ha – come anche tutto il “libertarianism” – molteplici origini liberali, anarchiche, antitotalitarie ed anche, più singolarmente, capitalistiche; spesso con esiti irreligiosi. Ma il mito dell’industriale creativo soffocato dalla burocrazia e costretto ad una resistenza addirittura “militante” – che è il tema del suo romanzo “Atlas Shrugged” – è certamente una passione americana, nel senso almeno che sarebbe arduo immaginarlo come tema di un romanzo, altrove. Più recentemente, il libro della Rand è stato indicato come riferimento favorito da parte di molti repubblicani americani.”
Questo spiega anche perché il termine “libertariano” è praticamente intraducibile con espressioni apparentemente contigue – ad esempio: radicale, o liberista o anche libertario – che in realtà alludono a ben altro nel pensiero politico europeo, pur presentando casuali somiglianze. Neanche mi pare si possa immaginare che si tratti di una ideologia organica, cresciuta nel tempo con una sua struttura di approfondimenti, di ricerca e di organizzazione interna, al pari di altre ideologie del secolo passato.
Forse è più giusto concepire il fenomeno del “libertarianismo” come tipicamente americano; una sorta di attrazione che agisce in modo ‘carsico’ sul conservatorismo americano, in certi momenti storici collegando le politiche presenti con una sensibilità antica e per qualche aspetto fondativa di una parte del pensiero politico di quel paese. E, in effetti, nel periodo recente quella attrazione è tornata a risultare evidente in movimenti come il Tea Party e in una componente probabilmente oggi maggioritaria del Partito Repubblicano.
[2] Così chiamati perché portano l’immagine del Presidente Benjamin Franklin.
[3] Charles Ponzi era un signore italo americano – nasce a Lugo di Romagna, trascorre l’adolescenza a Parma, trova lavoro alle Poste, si iscrive alla Sapienza di Roma e poi emigra a Boston – che agli inizi del secolo scorso, negli Stati Uniti, concepì una vasta – come spesso si chiama – ‘catena di S. Antonio’, inducendo molte persone a versare soldi con la promessa di trarne successivamente un vantaggio. In realtà la sua storia è abbastanza complessa – si snoda tra il Canada, gli Usa, varie galere, la Florida, il ritorno in Italia, il Brasile – e per averne un’idea si può leggere la voce su Wikipedia.
By mm
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